Michele Ciavarella: andare all’estero per poi tornare

Lavoro e processi, formazione e lavoro, ambiti, categorie essenziali per creare le condizioni di sostenibilità ambientale e oserei dire, esistenziale. Tra gli elementi sostanziali per suddetta costruzione, l’orientamento formativo-professionale. A tale fine, abbanews, prosegue il suo percorso nelle pieghe dell’orientamento biografico, vale a dire interviste specifiche, dove i percorsi  dei  protagonisti, delineano scenari suggestivi di crescita e realizzazione personale.

In questa sede ospitiamo il prof. Michele Ciavarella, ingegnere meccanico, considerato dal rating di Standford, tra i migliori ricercatori italiani, a cui seguiranno le interviste di due giovani brillanti ingegneri meccanici che hanno messo a disposizione la loro conoscenza, abilità e attitudini a due grandi marchi del panorama nazionale ed internazionale, la Ferrari e la Brembo Italia.

Che cosa li accomuna, oltre all’Ingegneria meccanica? Il Politecnico di Bari. Una realtà accademica all’avanguardia, rafforzata dalla nomina, nel 2019, del rettore Francesco Cupertino, attualmente 48 anni, tra i rettori più giovani di Italia, docente di Convertitori, macchine e azionamenti elettrici.

Gli interessi del Prof. Ciavarella riguardano la meccanica del contatto, tra cui l’adesione, l’attrito, l’usura,  la fatica, la frattura meccanica dei mezzi, la corrugazione dei binari ferroviari. Tematiche che anche ai profani delle scienze della tecnologia, risuonano come elementi molto importanti per migliorare le performance dei trasporti, il cosiddetto settore della movimentazione, cruciale per lo sviluppo di un paese.

Prof. Ciavarella, come è nata in lei, l’interesse per l’ingegneria, trai banchi di scuola? Ha mai avuto dubbi sul percorso universitario da intraprendere?

Fin da piccolo, ho nutrito un’autentica passione per i motori e per le macchine. Nel periodo estivo, durante gli anni liceali (liceo scientifico), facevo il meccanico in modo gratuito, lavoravo con le moto e poi con le macchine, mi sporcavo le mani nel vero senso della parola e non prestavo un’attenzione specifica allo studio. Successivamente, incentivato dalla presenza di due studenti molto bravi nella classe prima di me, decisi di diventare il primo della classe e ci riuscì, tra lo stupore e forse un certo fastidio da parte dei miei amici. Presi quegli studenti come modello di riferimento.

Da un punto di vista “applicativo” in quegli anni mi sperimentavo anche nelle costruzioni. Mi ero costruito un go kart, con molta soddisfazione. Alcuni miei amici costruivano invece macchine per le palestre. Uno di loro ha poi aperto una palestra. Le scelte di vita poi sono molto variegate.

Come ha vissuto gli anni universitari?

Studiavo e mi applicavo con leggera solerzia. Per ogni esame, studiavo sempre più libri che sceglievo in modo autonomo. Amavo e amo la teoria, la sua interpretazione e la sua applicazione in modo risolutivo ad un problema, a una necessità. L’ingegnere è colui deputato al problem solving, a risolvere i problemi all’università.

Mi permetta una breve parentesi di storia scientifica, pensiamo alla prima auto elettrica di Ferdinand Porche del 1898, la P1, ma ci sono volute 100 anni per sviluppare le batterie che risolvessero il problema dell’autonomia energetica con TESLA e altri. Fu l’analisi di costi e benefici che spinse gli ingegneri a lavorare sul motore a scoppio.

Lei ha viaggiato molto per la sua professione. Ritiene che le esperienze all’estero siano fondamentali nella formazione di una persona?

Dopo essermi laureato in Ingegneria Meccanica,  iniziai il dottorato in Ingegneria meccanica, il primo anno come miliare in marina, per proseguire gli altri due anni  all’Università di  Oxford.  Lavorai come ricercatore presso il Cnr, poi nella mia carriera ho preso diversi anni sabbatici, in cui svolsi esperienze ad Harvard, in Francia – alla prestigiosa École Polytechnique – in Germania e ad Amburgo.

Tengo a sottolineare che viaggiare è importante quanto tornare per creare delle condizioni di lavoro e di sviluppo in Italia. All’estero, per esempio in Inghilterra o negli Stati Uniti, si assume il personale docente direttamente, attraverso un colloquio, il curriculum scientifico, la visione progettuale, il merito del professore è merito dell’università stessa. L’ateneo è valutato per la qualità dei professori che, a loro volta, parteciperanno alle call internazionali nei programmi di ricerca e di didattica. In questo modo anche le università piccole producono investimento tecnologico.

Quanto è importante l’aspetto delle risorse economiche nella professione di ingegnere?

La parte gestionale e normativa è un altro aspetto fondamentale. Un ingegno se non è finanziato e regolato non ha modo di esprimersi. Il Politecnico di Bari si sta muovendo sempre di più per creare delle sinergie con il tessuto industriale,  così come attraverso l’ incentivazione a livello accademico della ricerca di base, essenziale allo sviluppo e progresso tecnologico in un’ottica di sostenibilità.

Mi sento di citare Romano Prodi che tempo fa asserì che chi crea e opera al Sud in modo eccellente è doppiamente eccellente. Il  nostro Magnifico Rettore Cupertino ha una visione che guarda al presente-futuro in modo innovativo e propulsivo, proseguendo la filosofia del Poliba che incentiva la sinergia e la collaborazione tra pubblico e privato.

Ci può fare degli esempi di accordo tra pubblico e privato in campo accademico, rivolti al potenziamento tecnologico?

Per esempio nel 2017,  è stato realizzato un laboratorio pubblico-privato presso il Dipartimento Interateneo di Fisica Michelangelo Merlin del Politecnico di Bari e dell’Università di Bari rivolto alla ricerca sulla sensoristica e sull’ottica, il progetto PolySense, frutto della collaborazione con l’azienda americana Thorlabs Inc, leader mondiale nell’opto-meccanica e nella fotonica; così come gli accordi instaurati con Bosch per l’automotive, Openwork per l’informatica. Tra i primi, l’accordo di Avio Aero di General Electric, chiamato Energy Factory Bari.

L’anno scorso il rettore Cupertino e l’amministratore delegato e direttore generale di Terna Luigi Ferraris hanno firmato un accordo per la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione dell’infrastruttura elettrica nazionale Un autentico innovation hub, un laboratorio pubblico-privato interdisciplinare tra ricercatori e professionisti per progetti scientifici. Così come il laboratorio pubblico-privato IOT 4.0 tra il Politecnico, l’Isires (Istituto Italiano di Ricerca e Sviluppo) di Torino, la multinazionale Elettric80 per sostenere lo sviluppo dei tecnologico e le potenzialità dei giovani.

Lo IOT.4.0 ha un proprio sito che rileva la coniugazione tra università e impresa, nell’ambito dell’applicazione dell’Internet of Things (l’Internet delle Cose), logistica integrata, come la gestione intelligente della logistica dei grandi magazzini.

Accordi e sinergie che aprono scenari molto produttivi per le giovani generazioni. Crede che la sinergia pubblico-privata sia un modello vincente?

Lo è quando si lavora insieme per progetti comuni di sicuro impatto sociale, ecologico e in rispetto con la libertà culturale dei professori che deriva direttamente dalla Costituzione, pur nel rispetto della società, degli studenti e di ogni stakeholder delle università e aprendoci, intendo noi professori, alla valutazione,  un nodo particolarmente delicato per gli atenei. Direi che in questi ultimi anni, da quando sussiste un sistema di valutazione, seppur perfettibile, non è aumentata solo la produzione nel settore della ricerca, ma anche la qualità. Nel passato siamo stati accusati dall’estero di fare doping accademico, ma le eccellenze non fanno doping e questo discorso non vale solo per l’Italia.

Siamo in procinto di ricevere il famigerato Recovery fund. Si tratta di un’occasione unica per il nostro paese. Nel settore dell’automotive e della movimentazione si potrebbe fare molto Ci sono le condizioni per attuare dei progetti validi e risolutivi?

In questo campo, come in ogni settore di ricerca e innovazione, è necessario avere le idee chiare sugli investimenti per la ricerca di base; se parliamo di trasferimento tecnologico, deve essere palese che tipo di tecnologia, che cosa si intende favorire.

Non a caso, nell’ autunno 2020, il presidente del Cnr Massimo Inguscio è stato tra i firmatari della lettera appello con il fisico Giorgio Parisi dell’Accademia dei Lincei e l’immunologo Alberto Mantovani, indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in cui numerosi scienziati del nostro Paese hanno ribadito come l’adeguamento degli stanziamenti per la ricerca scientifica agli standard dei Paesi avanzati, a valere sul Recovery Fund, sia un passaggio cruciale per la ripartenza del Paese.

In particolare, nell’appello si legge che l’aumento degli investimenti dovrebbe realizzarsi lungo tre linee critiche: finanziamento di bandi competitivi per progetti di ricerca; mappatura, potenziamento e apertura sistematica ai ricercatori di tutto il Paese delle grandi infrastrutture di ricerca; incremento e valorizzazione del capitale umano secondo un piano strategico di concorsi.

Sono necessari fondi, con specifici settori di eccellenza scientifica in cui si valorizza la ricerca di base. La nostra politica non ha la cultura della ricerca di base; in Italia mancano gli investimenti per la ricerca di base, non vede bene l’investimento di base; è fondamentale assicurare il lavoro ai ricercatori, non si può essere precari per 15 anni, questa precarietà si riflette inevitabilmente sulla qualità della ricerca e della vita accademica. L’impostazione della riforma Gelmini ha reso ancora più precario il lavoro dei giovani.

Sfruttiamo bene, dunque, quest’opportunità che scaturisce da una crisi, gestendo e investendo in modo adeguato i fondi europei del piano Next Generation Eu, rispettando la stessa denominazione del programma.

Quali sono i requisiti per uno studente e una studentessa che desidera affrontare il percorso ingegneristico?

È importante avere una base culturale solida, buone conoscenze scientifiche, o anche di materie che sviluppano la logica come il latino che sviluppa la capacità di analisi dei problemi, così come gli studenti e le studentesse che provengono dai tecnici, potrebbero avere più capacità tecniche, mentre sono da potenziare quelle speculative  Sarebbe interessante che il nostro 3+ 2 (laurea triennale e magistrale) prevedesse due percorsi distinti, uno tecnico e uno più avanzato, a seconda degli interessi e degli obiettivi dei e delle discenti.

La motivazione e l’impegno sono inoltre fondamentali per la riuscita accademica e professionale; credo che solo in Italia esiste la possibilità di sostenere gli esami all’infinito. Senza considerare le modalità molto competitive, come all’École Polytechnique, università di ingegneria francese modello delle università politecniche italiane, in  cui vi è un esame unico all’anno molto complicato, se si affronta un percorso formativo-professionale deve essere condotto con perizia e conoscenze specifiche, senza trascinarsi esami e progetti a lungo periodo.

Spesso l’ingegneria è declinata al maschile, ma vi sono donne ingegnere meccanico?

Direi che le donne ingegnerie saranno sempre di più; si tratta di una questione culturale. Basti pensare al campo della medicina; attualmente ci sono più medici donne che uomini. Oserei dire che il futuro dell’ingegneria meccanica è donna.

 

 (seguiranno le interviste agli ingegneri ingegneri Domenico Del Vento e Giovanni Clemente) 

 

 

 

Potrebbero interessarti anche...

5 Risposte

  1. Giuseppe Lacalamita ha detto:

    Noto con piacere che, tra le eccellenze del Poliba, viene citato il laboratorio pubblico-privato Polysense. Non viene però menzionato il principale artefice di questa operazione, ovvero il prof. Vincenzo Luigi Spagnolo, attualmente prorettore del Politecnico, le cui qualità scientifiche ed umane ho avuto modo di apprezzare in quanto relatore della mia tesi di laurea. Tra l’altro, anche il prof. Spagnolo figura tra i top scientist pugliesi nel rating di Stanford, è professore emerito presso la Shanxi University in CIna e la Rice University in Texas, ed ha al suo attivo numerosi premi, tra cui lo SPIE fellow, il premio “Re Manfredi”, il premio “Argos Hyppium” e il “Terra del Sole Award”.

  2. Lulù Twist ha detto:

    Sarebbe di sicura valenza per la crescita del nostro Paese se ci fossero molte più donne ingegnere. In molti campi le donne hanno già dimostrato di avere una marcia in più rispetto ai colleghi maschietti. Certo aiuterebbe se i genitori regalassero alle proprie figlie automobiline e costruzioni lego anzichè stupide bambole o cucine in miniatura. Purtroppo la cultura italiana ed il mondo dell’ingegneria in generale sono permeati da un maschilismo latente.

    • Luna ha detto:

      Sono d’accordo.

    • Giammarco ha detto:

      Visione decisamente femminista e fuori luogo: l’attitudine ad un dato mestiere è intrinseco nella persona, indipendentemente dal sesso o dai giocattoli ricevuti da bambino. La crescita del Paese, come lei dice, sarebbe facilitata dal mettere le persone con le capacità giuste ai posti giusti, basandosi sulla meritocrazia, sull’attitudine ad un tipo d’incarico, il “che” conosci e non sulle conoscenze del tipo “chi” conosci.

      • Lulù Twist ha detto:

        Discorsi degni di un maschilismo da primi del ‘900, secondo cui la donna deve essere relegata al ruolo di madre e casalinga! Invece di parlare a vanvera di meritocrazia, pensiamo agli innumerevoli ostacoli che una donna deve affrontare durante la sua carriera. Per esempio è ben noto che le donne sono più portate degli uomini per lo studio, ma come mai, soprattutto in Italia, i vertici delle università sono prevalentemente maschili? E come mai, a parità di posizione, lo stipendio medio di una donna è minore di quello di un suo collega maschio?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.