Antonio D’Amore: attrattore di cervelli

Capacità di innovazione che va oltre l’innovazione “meramente” tecnologica e scientifica, poiché parte dalla capacità di visione. Senza di essa, ogni pensiero e azione, deflagra nel fragore più assordante.

La scienza, il sapere, non conoscono confini. Una metodologia del saper vivere che dovrebbe essere traslata in ogni aspetto individuale e sociale. Un istituto scientifico di confine nel cuore del capoluogo siciliano.

Stiamo parlando della Fondazione RiMED  di Palermo e, in particolare, del team di Ingegneria dei Tessuti, guidato dal Prof. Antonio D’Amore, Assistant Professor presso l’Università di Pittsburgh,  ideatore di 14 brevetti nel campo dell’ingegneria dei tessuti cardiovascolare , della start-up Neoolife, di cui è fondatore e chief technology officer, vincitore del premio Issnaf (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation) e del premio del Consiglio europeo  per la ricerca (ERC Consolidator Grants) di 2 milioni di euro, per il progetto BIOMITRAL, l’ideazione di una valvola mitrale, frutto dell’ingegnerizzazione dei tessuti.

Passione, collaborazione con i partner locali e perseveranza possono cambiare il trend demografico negativo che ha afflitto il Meridione per troppo tempo”.

Le nuove risorse lavoreranno sia su progetti nazionali finanziati daI PON (Programma Operativo Nazionale (PON) del Ministero dell’Istruzione ndr) che su progettualità finanziate dal Consiglio Europeo della Ricerca, arricchendo così la competitività dei nostri progetti. Possiamo finalmente parlare di “attrazione dei cervelli”, dichiara Antonio D’Amore.

Il prof. D’Amore ha eletto la Fondazione Ri.MED quale host institution (istituto ospite) per il suo progetto BIOMITRAL, coinvolgendo anche il McGowan Institute di Pittsburgh, l’IRCCS ISMETT (Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione) e l’Università di Palermo.

Si tratta del primo consolidator grant con host institution del Sud Italia mai assegnato nella storia del programma ERC, dal 2007 ad oggi.

abbanews ha incontrato il prof. D’Amore e alcuni ricercatori e ricercatrici del suo team, per approfondire questo luogo di rinnovamento e di sviluppo di scienze di base e applicate, in una dimensione fortemente interdisciplinare (come dovrebbe essere ogni comunità di pratica) e profondamente sociale, nel senso più ampio del termine.

Lo sguardo lucido e vivace di chi è consapevole delle proprie competenze, traguardi, e, al tempo stesso, concentrato, per rendere comprensibile il suo campo di ricerca e di applicazione.

Un territorio vasto in cui confluiscono ingegneria, matematica, biologia, biotecnologie, chimica, farmacia. Una pacata carica vitale (e, chissà se virale, visto l’entusiasmo che caratterizza le sue ricercatrici e ricercatori), da cui traspare la forza della mente e la perseveranza dello spirito.

Il progetto pioneristico BIOMITRAL, una valvola mitrale, derivata dall’ingegnerizzazione dei tessuti, premiato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) proprio per il suo radicale approccio innovativo, in grado di rivoluzionare il mercato di riferimento, dove  ci porta?

Ci troviamo nell’ambito delle bioprotesi cardiovascolari. Il progetto riguarda la ricostruzione di una valvola mitrale, una delle quattro valvole cardiache. Nel cuore ci sono quattro valvole: mitrale, aortica, tricuspide e polmonare, con il compito di far fluire il sangue in un’unica direzione durante la contrazione e. il rilasciamento delle quattro camere cardiache: atrio destro e sinistro, ventricolo destro e sinistro.

La valvola mitrale è posta tra l’atrio e il ventricolo sinistri del cuore. La sua funzione è quella di regolare il flusso sanguigno tramite una stretta apertura che permette la comunicazione tra l’atrio e il ventricolo sinistri del cuore.

La funzione della valvola mitrale, in quanto posta all’ingresso del ventricolo sinistro, è quella di permettere al sangue ossigenato proveniente dai polmoni, che si raccoglie nell’atrio sinistro, di passare al ventricolo sinistro, che, a sua volta, lo farà fluire nel resto del corpo tramite il sistema arterioso.

L’idea chiave è quella di affrontare il rigurgito mitralico funzionale, ingegnerizzando l’apparato cordale e ricollegando il ventricolo sinistro ai lembi della valvola. La valvola mitrale è costituita da due lembi che sono collegati a delle sottili strutture fibrose (corde tendinee); queste corde collegano i lembi della valvola a delle appendici di muscolatura cardiaca all’interno delle cavità dei ventricoli (muscoli papillari).

Il cuore, come il resto del corpo umano, è un complesso sistema di elevata d’“ingegneria naturale”. Obiettivo dell’ingegnerizzazione dei tessuti è quello di ri-creare strutture affini al materiale biologico.

Parliamo di rigurgito mitralico quando, a causa di un difetto di chiusura della valvola mitrale (la valvola mitrale si apre e si chiude), il sangue scorre nel verso opposto, ritorna indietro, dal ventricolo sinistro verso l’atrio sinistro e, pertanto, il sangue non arriva al sistema arterioso. Si interrompe così il flusso naturale del sangue ossigenato che proviene dal polmone e che va ad alimentare l’intero sistema delle arterie.

 Si tratta di un meccanismo naturale che va ricreato così da non alterare e forzare il funzionamento fisiologico dell’apparato cardiovascolare?

Dobbiamo considerare che la valvola mitrale rappresenta un continuo con il corpo. Siamo di fronte a un sistema complesso che si muove all’unisono.  Il ventricolo del cuore che ha subito l’infarto è soggetto a un rimodellamento, si deve riadattare, ma l’alterazione strutturale che ha subito fa sì che diventi sempre meno compatto e tenda ad allungarsi. Il ventricolo tira i lembi della valvola (o cuspidi).

Per ristabilire la circolazione del sangue, si sostituisce la valvola mitrale e le zone tra ventricolo e atrio vengono ricucite, ma c’è il rischio che il cuore continui a rimodellarsi in modo maladattivo, fino a inevitabili scompensi.

Il concetto base è quello di ricreare una “biovalvola” costituita da materiale polimerico che assicuri un flusso continuo, senza l’intervento degli stent a rete metallica. Con la valvola BIOMITRAL si intende riprodurre il continuo meccanico esistente in natura. Il suo prototipo è pienamente ispirato a ciò che si osserva in natura. La valvola diventa un tutt’uno con il ventricolo.

Trattandosi di una valvola ingegnerizzata non si calcifica e si rimodella, ‘aspirando’ a diventare tessuto vivente; al momento non è mai stato dimostrato da nessuno in modo completo che possa trasformarsi in tessuto vivente. Si è arrivati a gradi di rimodellamento intermedio, in virtù di un materiale misto.

Attualmente in Europa esiste un dispositivo simile, ma opera in modo meno ambizioso.

Tali dispositivi che mirano a riprodurre il meccanismo naturale dell’organo si possono trasformare rapidamente in dispositivi commerciali?

Siamo nel campo della bioingegneria e, pertanto, il dispositivo presenta un altissimo grado di personalizzazione.  Ognuno di noi ha un proprio apparato cordale e standardizzare tale dispositivo è altamente articolato e dispendioso. Si tratta di investire risorse ingenti, intorno ai 150 milioni di euro.

L’obiettivo del lavoro, inoltre, è quello sviluppare una tecnologia innovativa che permetta di annullare la dipendenza dalle attuali terapie anticoagulanti richieste dalle valvole meccaniche e che garantisca maggiore durabilità di una bioprotesi.

Neoolife, la start up di cui lei è fondatore, si basa proprio sull’ingegnerizzazione dei tessuti?

Neoolife è una start up che si occupa della costruzione della valvola polmonare che si trova nell’atrio destro del cuore, attraverso un sistema avanzato di ingegnerizzazione che permette la rigenerazione endogena dei tessuti. È il risultato di 15 anni di sviluppo della tecnologia polimerica.

Che cosa si intende esattamente con ingegnerizzazione dei tessuti?

Siamo di fronte a un paradigma che ha modificato il concetto delle protesi. Antecedentemente le protesi venivano considerate come oggetti tollerati dal corpo (si parlava di biocompatibilità); pensiamo, per esempio, alle protesi dentali o alle protesi d’anca; si tratta di dispositivi che rimangono nel corpo per tutta la vita.

L’ingegnerizzazione dei tessuti è legata allo sviluppo della medicina generativa, ossia quel materiale che va a comporre il dispositivo biomedicale  che viene progettato con l’obiettivo di provocare una futura crescita endogena.

Il meccanismo dell’ingegnerizzazione dei tessuti permette la costruzione di scaffold (impalcature) che ricostituiscono la morfologia, la struttura e la funzione dei tessuti. La varietà dei materiali è in fase di sperimentazione. Noi lavoriamo con la tecnologia dei materiali polimerici (materiale organico costituito da una miscela di macromolecole di natura diversa, ndr).

L’ impalcatura formata da materiali polimerici, quando si completa il processo, tende a degradarsi e il tessuto può rigenerarsi.

Si parla di ingegnerizzazione poiché le cellule intorno al dispositivo lo percepiscono come materiale naturale e non artificiale, e così grazie a questa impalcatura, le cellule iniziano a metabolizzare il dispositivo come fosse materiale naturale e il funzionamento può riprendere in modo naturale.

L’attività di ingegnerizzazione si compie nel passare da una “materia prima” alla realizzazione di un prodotto. Si progetta (attività principe dell’ingegnere) un dispositivo la cui realizzazione tende a ricostruire i tessuti del corpo umano, ispirandosi alla natura.

Una scienza transettoriale per il futuro prossimo?

Una frontiera per tutte le protesi che diventerà la normalità tra 50 anni. Sono solito paragonare questo confine con il periodo della seconda rivoluzione industriale. Al tempo mancava la scienza di base a supporto alla tecnologia, nonostante la spinta sociale, si era in uno stato ancora immaturo della conoscenza di fenomeni fisici quali la termodinamica, con il risultato della progettazione di macchine/dispositivi di scarsa efficacia.

La frontiera è l’interdisciplinarietà: chirurgia, biologia, matematica, ingegneria meccanica, chimica e, soprattutto, porsi dei quesiti essenziali quali: Come faccio qualcosa? Perché lo faccio? Come si forma il tessuto? Perché si forma? Ad oggi è mancato questo tipo di approccio nella ricerca sulla crescita endogena dei tessuti

Un laboratorio che rispecchia i canoni di interdisciplinarietà e di ricerca di base e applicata.  Che tipo di formazione possiedono i ricercatori e le ricercatrici?

Da quando sono rientrato in Italia (in piena pandemia, agosto 2020) il laboratorio è cresciuto: 11 persone a Palermo e 9 persone a Pittsburgh, di diversa formazione: ingegneri meccanici, biologi, farmacisti, biotecnologi, informatici.

Da un punto di vista degli investimenti, oltre ai supporti finanziari che derivano dal premio suddetto e da altri progetti (vedi Pon), usufruiamo del Dipartimento di Chimica e Fisica di Palermo, grazie al prof. Palma che ha messo a disposizione gli spazi universitari.

Siamo soliti parlare di medicina traslazionale proprio perché l’obiettivo è quello di trasformare le scoperte scientifiche provenienti dagli studi di laboratorio, clinici o di popolazione, in nuovi strumenti clinici e applicazioni.

Tra i 79 ricercatori attualmente in forza nella Fondazione Ri.Med, 49 sono donne. Una squadra al 62% dell’équipe è femminile…

La diversità e l’inclusione non rappresentano una moda. Il risultato è il frutto della competenza emersa durante le fasi di valutazione.

Suggestioni per le matricole?

Seguire le proprie passioni

Note sulla Fondazione Ri.MED

Nasce dalla partnership internazionale fra Governo Italiano, Regione Siciliana, CNR, University of Pittsburgh e UPMC (Università di Pittsburgh Medical Center)

I ricercatori della Fondazione Ri.MED, in stretta collaborazione con partner clinici, come l’Istituto ISMETT di Palermo, sono impegnati nella simulazione dei sistemi fisiologici, lo studio dei biomateriali e dei tessuti ingegnerizzati e lo sviluppo di nuove soluzioni terapeutiche su questi basati.

Il loro tipo di ricerca è caratterizzato dalla traslazionalità, ossia la capacità di tradurre e i risultati scientifici in applicazioni cliniche.

È in atto la costruzione del Centro per le Biotecnologie e la Ricerca Biomedica (CBRB), un edificio di 25.000 mq che sorgerà a Carini, a pochi chilometri dall’aeroporto di Palermo.

Il CBRB consentirà alla Sicilia di assumere una posizione di primo piano nello sviluppo di farmaci, vaccini e dispositivi medici di nuova generazione, attraendo a Palermo  ricercatori italiani e stranieri, contrastando la “fuga dei cervelli”.

 

 

 

 

 

 

 

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Una risposta

  1. Michele ha detto:

    Che il sogno diventi realtà. Onore a chi si impegna per una giusta causa e che l’effetto sia una sintonia di cervelli produttivi e ambiziosi.

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