PhdStories. Dalla ricerca medica ai banchi di scuola

Ad ottobre, vi abbiamo parlato di Phd Careers Stories, un podcast divulgativo, realizzato da ex ricercatori universitari che hanno deciso di abbandonare la carriera accademica per mettere la propria conoscenza teorica e pratica a servizio del mondo professionale e imprenditoriale.

La prima storia che vi presentiamo è quella di Kyriaki Liadaki, che dopo un dottorato in Immunologia presso l’Università della Tessaglia (Grecia), prosegue i suoi studi postdoc presso la Harvard Medical School e, successivamente, presso il Karolinksa Instituet (Svezia).

Nella traduzione del podcast che vi presentiamo, Kyriaki racconta la sua storia, di come sia giunta ad una decisione così radicale, scegliendo di lasciare l’Accademia e diventare insegnante di Matematica e Scienze presso una scuola bilingue di Stoccolma.

La storia di Kyriaki­

Ricordo che questi anni sono stati anni di lezioni preziose per me, come scienziata ma anche come persona. Come forse saprai, in tutto il mondo non tutti i dottorandi vengono pagati o hanno una borsa di studio. Pertanto, oltre ai miei studi, avevo un lavoro che mi permetteva di gestire le mie spese personali. Allora, lavoravo come insegnante, aiutando gli studenti a prepararsi per gli esami nazionali; un’attività che si rivelerà molto utile per i miei futuri passi di carriera.

Mi piaceva essere un dottore di ricerca, nonostante le potenziali difficoltà. Quello di cui mi resi conto ben presto è che durante i miei studi di dottorato, ero responsabile del mio apprendimento. Naturalmente non sei completamente da sola quando fai un dottorato. Intorno a te, hai il tuo supervisore, i tuoi colleghi o altri scienziati e altri dipartimenti con cui puoi collaborare per ricevere consigli e suggerimenti sulla tua ricerca.

Ero decisa ad andare fino in fondo. Solo pochi giorni dopo, dopo aver sostenuto la mia tesi, volai a Boston, per iniziare un postdoc collegato alla Harvard Medical School, presso il Children’s Hospital.

Che cosa altro avrei potuto chiedere, giusto? Stavo facendo ricerca in uno dei più grandi istituti al mondo; il laboratorio in cui lavoravo aveva pubblicato articoli di cui mi avvalevo per la stesura della tesi di dottorato.

L’esperienza fu fantastica. Ricordo che uno dei miei amici mi disse: “Anche se non pubblichi mentre sei qui, gli stimoli e le cose a cui sarai esposta saranno così utili per te che presto ti renderai conto che questa è stata la cosa migliore che ti sia mai capitata.” E, in effetti, fu così. Tuttavia, presto mi resi conto che gli Stati Uniti erano piuttosto lontani dal mio paese d’origine, e dai miei amici. In due anni di permanenza, sono tornata a casa una sola volta.

Così iniziai a cercare lavoro e opportunità in Europa. La Svezia mi sembrava l’opzione migliore.  Sono davvero felice di aver compiuto questa scelta, non solo perché si tratta di un Stato con un ateneo, famoso e innovativo come il Karolinska Institutet, ma anche perché i benefici sociali e lo standard di vita sono piuttosto alti. Inoltre, devo essere sincera nell’affermare che avere Harvard sul mio CV, non mi ha reso difficile trovare un secondo postdoc.

Dall’inizio del mio dottorato di ricerca ero convinta che la ricerca sarebbe stata l’unica cosa che avrei fatto per il resto della mia vita. Era come se fosse scritto su pietra: questo era il significato della mia vita, ero una scienziata.

Sfortunatamente, questa fiaba aveva un altro risvolto che in pochi conoscevano e che io non confessavo apertamente.

Vi fornirò un esempio. Ricordo che era una domenica sera di alcuni anni fa, durante il mio primo post-dottorato presso la Harvard Medical School, stavo cercando di prepararmi per la riunione di laboratorio che si sarebbe tenuta il giorno dopo. Sapevo che avrei dovuto essere molto ben preparata in modo da poter presentare i miei risultati e rispondere alle domande sui come e i perché di fronte a tutti.

Per quella specifica riunione di laboratorio stavo analizzando i risultati di un esperimento che per 2 settimane avevo ripetuto più volte e di cui sapevo cosa aspettarmi. Tuttavia, al termine del grafico finale, risultò che l’esperimento non aveva alcun senso. Così, all’improvviso, mi sono sentita profondamente stressata e, rivolgendomi alla mia collega Tina, che era accanto a me e si stava preparando per lo stesso incontro, chiesi in modo davvero disperato: “Che cosa sto facendo Tina?” Lei si rivolse a me e mi chiese: “Che cosa intendi Kiki?”. “Che cosa sto facendo della mia vita?” Ero quasi in lacrime, come se fosse la fine del mondo solo perché vedevo i risultati di uno dei miei esperimenti che non andavano bene. Fu brutto, molto brutto.

La mia collega mi guardò piuttosto perplessa, non disse nulla all’inizio. Un paio di minuti più tardi mi diede la risposta più ovvia: “Scienza Kiki! Stai facendo scienza! “E se ne andò. Ricordo che rimasi senza parole. Certo che stavo facendo scienza! Che domanda stupida!

Mi sembra quasi buffo, ora, ma all’epoca non lo fu. Ovviamente non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere. Molte volte, dall’inizio del mio dottorato di ricerca e durante i miei studi di post-dottorato, mi sentivo stressata o sconvolta, solo perché il mio esperimento non aveva funzionato. Molto spesso  gli esperimenti non funzionano, e tu non sai davvero perché. Tuttavia, quella fu una delle volte in cui iniziai a capiree che non ero felice.

All’inizio della mia carriera di ricercatore, episodi simili, mi sono sembravano divertenti, motivanti e interessanti. Ad un certo punto, cercando di capire perché le cose non funzionano e, provando ripetutamente diversi modi di risolvere un problema, smise di essere divertente. Pensare a me stessa come scienziata e ricercatrice era un concetto eccitante che mi faceva sentire motivata e piena di energia all’inizio del mio dottorato. Ironia della sorte, soprattutto verso la fine del mio dottorato, mi sentivo solo esausta e sovraccarica di lavoro, e l’unica cosa che sognavo era la mia laurea di dottorato.

All’inizio potevo ingannare il mio cervello che era solo una fase e che le cose sarebbero andate meglio non appena avrei pubblicato il mio prossimo lavoro. Vedi, quando uno dei tuoi articoli è pubblicato, è il momento in cui dici a te stesso: “Eccolo! Questo è quello che voglio fare per il resto della mia vita!”. Ma per quanto riguarda gli anni prima? E tutti i momenti difficili? E le ore e la frustrazione? Documenti o articoli scientifici sono il riflesso del tuo lavoro e questo può dipendere da molte cose. Una cosa è certa: se lavori di più, non significa necessariamente che avrai più carte! E in alcuni casi ci vogliono anni prima che tu possa pubblicare, o negli stessi casi non pubblichi mai il tuo articolo.

Ho pensato a questa breve conversazione molte volte negli anni successivi e ho capito che la mia vita di ricercatrice sarebbe stata così: gli esperimenti non avrebbero sempre funzionato. E sopratutto, i miei contratti sarebbero stati di 1 o 2 anni; non avrei potuto pianificare la mia vita. Essere un professore era oltremodo inverosimile dal momento che non avevo le pubblicazioni necessarie per concorrere a simile posizione e il tempo stringeva.
Voglio davvero farlo? Poi iniziai il mio post-doc in Svezia, tutto sembrava promettente e mi sentivo eccitata, ma ben presto mi ritrovai in una situazione simile che si ripeteva sempre più spesso. Alla fine, capì che non stava funzionando bene per me, non ero felice. Volevo fare qualcosa che mi rendesse felice.

Molti dei miei colleghi, dottori di ricerca, dottorandi hanno avuto pensieri simili. Se qualcuno osasse dire di volere lasciare il mondo accademico, dovrebbe rispondere alle seguenti domande, ma che intendi fare dopo? E questo era un problema senza soluzione, perché tutti noi ricercatori pensiamo che fare ricerca sia l’unica cosa in cui siamo bravi.
Un altro ostacolo principale nella mia decisione era: cosa avrebbero pensato le persone di me? Pensavo che sarei stata un fallimento, che tutti avrebbero detto che non ero abbastanza brava e perciò ho rinunciato. La cosa buona è che avevo scoperto la fonte della mia infelicità. E la fonte della mia infelicità era il mio lavoro. Ma con questa scoperta, la paura crebbe in me, la paura di essere inutile e che fosse colpa mia della situazione in cui mi trovavo e che avevo fallito. Spaventoso. Mi sentivo impotente e non sapevo cosa fare al riguardo.

Cambio di rotta

Iniziai a leggere articoli su altre persone che avevao storie simili alla mia, studenti di dottorato che volevao lasciare il mondo accademico. C’erano molte persone come me che si sentivano stanche o depresse. Non ero l’unica e per me fu una scoperta. Così all’improvviso iniziai a dire alla gente che volevo lasciare il mondo accademico.

Questa idea è cresciuta in me sostituendosi lentamente alla paura e rendendomi più fiduciosa. Non dovevo vergognarmi di niente. L’unica cosa che volevo è essere felice e dovevo fare qualcosa al riguardo. Così iniziai ad esplorare altre opzioni, ad esempio la scrittura scientifica, le aziende farmaceutiche, le opportunità di insegnamento. Mi creai una rete ampia e, cosa più importante, ero aperta, parlavo apertamente sul fatto che ero alla ricerca di un lavoro fuori dal mondo accademico.

Visitai il Karolinska Insitutet Career Service. E fu così che incontrai Tina Persson, che mi invitò a fare questo podcast. La storia si conclude con un posto di lavoro con contratto a tempo indeterminato come docente in una scuola; inoltre sto studiando all’Università di Stoccolma per laurearmi in pedagogia.

Questo è il mio terzo anno di insegnamento e non ho rimpianto la mia decisione nemmeno una volta. E sorprendentemente, le mie competenze di dottorando o di dottorato sono risultate piuttosto utili nel mio nuovo lavoro. A partire dalla capacità di scrivere e parlare in pubblico, così come le abilità amministrative e di essere in grado di fare lavoro di squadra. L’elenco non si esaurisce mai, ma in generale le abilità che qualcuno costruisce o assimila durante il dottorato sono numerose.

Voglio fare il dottorato?

Ci i sono alcune cose che avrei voluto sapere prima di iniziare il mio dottorato. Forse, questo potrebbe essere un consiglio amichevole da parte mia per voi. Innanzitutto, ci sono un paio di cose che dovresti prendere in considerazione prima di iniziare un dottorato. Ti piace l’argomento del dottorato? C’è una cronologia concreta? Com’ è il posto? Ti fa sentire bene? Come è il tuo supervisore come persona? Cosa dicono di lui i suoi dipendenti? È attivo nelle pubblicazioni? Hai la sensazione di poterci lavorare insieme?

Ricordati che l’intervista è sempre da entrambe le parti. Non avere paura di fare domande e fidati del tuo istinto. Il personale abbandona il posto di lavoro o si licenzia? Se le persone se ne vanno, non è un buon segno. E quello che fanno dopo è anche importante.

In secondo luogo: rete, rete, rete e utilizzare i social media. Dovresti connetterti con le persone, scambiare idee, collaborare. In terzo luogo, è sempre una buona idea iscriversi ad associazioni di PhD o di postdoc nel tuo istituto. E, in quarto luogo, assicurati di avere un piano a lungo termine per te stesso; è importante avere in mente che cosa si voglia fare successivamente. Nel frattempo, assicurati di avere tutti gli strumenti necessari per il passo successivo.

Qualcuno potrebbe chiedere, che cosa devo fare se voglio diventare una docente come te? Mi ci è voluto un po ‘di tempo per capire perché non conoscevo persone del mondo accademico che sono diventate insegnanti, quindi ero da sola. Comunque posso dirvi ora che è possibile.

Gli insegnanti di scienze sono effettivamente richiesti, qui in Svezia. Inoltre, se si parla lo svedese, si può fare domanda per un programma di leadership biennale chiamato Teach for Sweden, che prepara per l’insegnamento. Se non si è fatto prima.

Ci sono molte scuole internazionali o bilingue a Stoccolma, dove la lingua di lavoro è l’inglese. Ma se si vuole lavorare nella scuola svedese bisogna parlare la loro lingua e ottenere un certificato di insegnamento dal Ministero Nazionale dell’Istruzione o da Skolverket.

Il messaggio da portare a casa è che la vita, a volte, non va come si programma, ma non è mai troppo tardi per cambiare la propria carriera o prendere una decisione di vita. Bisogna solo lasciare la propria zona di comfort e ricordare che se il piano A non funziona, allora c’è il piano B o C ecc.

Grazie per avermi ascoltato.

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