Premio Rolex. Ognuno può cambiare qualcosa

Da più di quattro decadi, i Rolex Awards per l’Imprenditoria hanno supportato progetti innovativi con l’obiettivodi migliorare la vita nel pianeta, diffondendo la conoscenza, proponendo soluzioni a grandi sfide o preservando il nostro patrimonio naturale e culturale per le future generazioni, fedeli al loro slogan: “Ognuno può cambiare qualcosa”.

Il premio intende riflettere i valori che guidano la società: qualità, ingenuità, determinazione, e sopratutto lo spirito imprenditoriale che ha pervaso la società fin dagli inizi. Pionieri che non hanno accesso ai finanziamenti tradizioni, proiettati al progresso umano e al suo benessere, come lo furono i soci fondatori.

I Premi relativi al 2019 sono rivolti a quei progetti che intendono trasformare la realtà in modo benefico: il salvataggio di una specie endemica dell’Amazzonia per salvare natura e comunità umane; supporto a persone paralizzate per camminare di nuovo, dispositivo elettronico per individuare in modo immediato la malaria, la trasformazione della plastica in qualcosa di prezioso, convivenza tra l’uomo e la fauna selvatica.

I candidati sono stati più di un migliaio. Progetti che indicano come i ricercatori-imprenditori affondano la radici nella conoscenza del priprio territorio, delle criticità del rapporto uomo – natura e allo stesso tempo della complicità che può nascere da tale rapporto e di tutti quegli elementi che concorrano alla sopravvivenza dell’uomo in sinergia e in accordo con l’ambiente in cui vive e con l’intero universo. E, soprattutto dalla possente forza di volere cambiare le così per il benessere degli individui e del pianeta.

La giuria, composta da un gruppo di esperti indipendenti ha scelto i seguenti 5 progetti, i cui autori sono:

João Campos-Silva (Brasile)

Ecologista brasiliano, biologo,  collabora con associazioni locali e con leader del settore della pesca, ha un piano per salvare non solo l’arapaima, il pesce d’acqua dolce più grande al mondo, ma anche come incrementare i mezzi di sostentamento, le fonti di cibo e la cultura delle comunità indigene dell’Amazzonia, la cui sopravvivenza dipende dai fiumi della regione.

Per il popolo amazzonic, l’arapaima è da sempre una risorsa alimentare essenziale”, spiega il biologo. “Ma a causa della pesca eccessiva, della frammentazione del loro habitat e dell’inquinamento delle acque, le popolazioni selvatiche sono state decimate fino a giungere sul punto dell’estinzione in molte località”.

Silva, durante il suo dottorato, vive per 2 anni in Amazzonia e visita le oltre 40 comunità che vivono vicino al fiume Juruà; il suo progetto di riceva ha un doppio obiettivo: conservazione della biodiversità e miglioramento delle condizioni di vita delle comunità rurali. Ed è proprio con la gestione partecipativa dell’arapaima, di grande importanza culturale, per la zona che è riuscito a coinvolgere le comunità culturali nella gestione della pesca sostenibile. la pesca.

La protezione di piccoli laghi collegati al fiume nell’Amazzonia occidentale ha consentito di moltiplicare per 30 la quantità di arapaima locali.

Il divieto di pesca in alcuni laghi ha permesso inoltre il ripopolamento di specie a rischio di estinzione quali lamantini, lontre giganti, tartarughe giganti e caimano nero.  Nel corso del tempo, spera il biologo, che l’idea di salvare la fauna selvatica per salvare comunità umane potrà diffondersi in tutto il mondo. Un modello, al momento, da applicare per oltre 2000 km lungo il fiume per proteggere e conservare altre specie.

Dice Silva “Le persone sono più forte quando lavorano insieme in armonia”.

Grégoire Courtine (Francia)

Neuroscienziato francese, residente a Losanna, in Svizzera è partito per il suo progetto dall’importanza del movimento nella vita dell’uomo (in parte per la sua passione per lo sport) : ha ideato un “ponte” elettronico per bypassare il punto della lesione spinale e permettere così al cervello dei pazienti di riacquisire il controllo delle proprie gambe e camminare di nuovo, che potenzialmente migliora la rigenerazione dei nervi e recupera il controllo delle gambe.

Come può il paziente leso controllare il proprio movimento, a sua volta controllato dal collegamento tra cervello e midollo spinale.

Si tratta della progettazione di ponte neuroprotesico impiantabile che, grazie all’ausilio della tecnologia wireless, collega il cervello del paziente al midollo spinale lombare. Questo sistema trasmette segnali dal cervello, che controlla la volontà di movimento, alle gambe attraverso la stimolazione elettrica del midollo spinale inferiore e favorisce il recupero dei nervi spinali danneggiati.

Courtine: “Dopo una lesione spiale, la fisioterapia è utile fino a quando si raggiunge il limite, i pazienti devono per sempre rinunciare alle loro gambe? Una .ricerca che conduco da oltre 20 anni per farli camminare di nuovo. ….abbiamo impiantato su uno sportivo, un sistema di stimolazione elettrica. Dopo 6 mesi di allenamento siamo riusciti a farlo usciere camminando sulle sue gambe con la stimolazione elettrica.

La differenza è che il controllo del movimentano si effettua dall’esterno. il paziente non controlla gli stimoli elettrici, bisogna duqnue costruire un ponte digitale tra il cervello e il midollo spinale, in modo che il paziente controlli la stimolazione elettrica, solo pensando al movimento un paziente è in grado di innescare lo stimolo; dei piccoli segnali gli permettono di recuperare un controllo dei muscoli paralizzati, forse i nervi stanno di nuovo crescendo poco a poco. Questo è il prossimo obiettivo: creare una terapia per i pazienti nel mondo

Brian Gitta (Uganda)

L’unico modo per guarire la malaria è una diagnosi veloce: i test attuali richiedono un prelievo di sangue e uno specialista competente che lo analizzi, non sempre disponibili nei Paesi in via di sviluppo. Per accelerare i tempi della diagnosi, l’ingegnere Brian Gitta e il suo team hanno sviluppato un dispositivo elettronico portatile che permette una lettura affidabile in pochi minuti, senza prelievo sanguigno.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’80% dei casi di malaria si concentra in 15 Paesi situati in Africa subsahariana e Asia meridionale. E nel mondo intero, nel 61% dei casi a morire di malaria sono bambini.

Gitta: “ Nel 2018 la malaria ha causato ben oltre 400.000 decessi, di cui più dell’..Deficit nei servizi sanitari, lunghi tempi di attesa, diagnosi tardive, che causano decessi. Ho visto molti casi da bambino, l’hanno contratta tutti i membri della mia famiglia. Vista la mia esperieza familiare e la mia formazione in ingegenria ho epsanto fosse uaa buona idea sviluppare una tecnologia capace di avere un impatto nella vita delle persone, all’università studiando informatica ho avuto un’idea per diagnosticare la malaria.

Stiamo sviluppando un dispostivo che usa la luce e il magnetismo per diagnosticare la malattia non in modo invasivo, sà un risultato in meno di due minuti, 15 volte più rapido dei metodi diagnostici tradizionali; il procedimento è automatico e permetto di stabilire il livello di malaria, e ottenere i farmaci necessari. Siamo nella fase della sperimentazione clinica, Joshua sta preparando il campione, basterà immergere il dito in una sorta di vaschetta digitale. Se andrà a buon fine sarà meraviglioso.

Fornire agli ospedali uno strumento chein soli due minuti fa la diagnosi, significa smaltire le code più rapidamente, Permette ai pazienti di ottennere le medicine il prima possibile, i dati inoltre serviranno a gestire la malaria a livello nazionale, e a capire come distribuire le risorse nelle varie regioni.

Il nostro maggior successo sarebbe quello di portare il prodotto sul mercato e distribuirlo gradualmente in ogni regione. La mia passione è cercare di cambiare le cose, la mia motivazione maggiore. Quando milioni di persone potranno usare il dispositivo, sentiremo parlare del cambiamento positivo, nelle comunità che ne hanno usfruito, allora ci riterremo soddisfatti.”

Krithi Karanth (India)

La scienziata conservazionista Krithi Karanth (a sinistra nella foto), come il padre (ricorda l’infanzia come un periodo meraviglioso) è decisa a ridurre la frizione tra la fauna selvatica e l’uomo, vicino ai parchi nazionali dell’India, convinta che ci sia una soluzione.

In India, gli animali selvatici vivono ammassati nel 5% appena della superficie terrestre del continente. Questo provoca ogni anno migliaia di scontri tra comunità umane e animali, quali leopardi, tigri ed elefanti, che causano danni e morte in entrambe le parti.

Il governo indiano spende 5 milioni di dollari statunitensi all’anno per risarcire gli agricoltori e gli abitanti dei villaggi per i danni provocati dalla fauna selvatica ma, secondo Karanth, sono in pochi a ricevere un compenso rispetto a quanti effettivamente subiscono danni.

Nel 2015, ha creato un servizio che consente agli abitanti dei villaggi di chiedere un indennizzo se colpiti da perdite originate da animali selvatici: Wild Seve, che individua le zone calde del conflitto ed è attualmente accessibile a mezzo milione di persone che vivono in 600 villaggi vicino alle riserve di Bandipur e Nagarahole, nello Stato di Karnataka.

Karanth: “L’India, rispetto al resto del mondo, ha meno territori destinati solo alla fauna selvtica, e per questo entra spesso in conflitto con gli uomini: Le zone più problematiche sono quelli confinanti coni parchi nazionali, il conflitto più comune coinvolge i grandi mammiferi, con grandi perdite nei raccolti, danni alle proprietà; secondo i nostri dati, dai 200.00 ai 500.00 potenziali incidenti.

Le persone perdono la pazienza soprattutto in situazioni estreme ricorrono alla rappresaglia se non vengono aiutate rapidamente. Da piccola passavo ore ed ore a osservare gli animali. In caso di danno per la fauna selvatica, aiutiamo le famiglie a compilare le richieste di risarcimento al governo. La gente chiama un numero verde e noi andiamo a verificare il caso e facciamo da tramite tra le comunità e il governo. Abbiamo aiutato a compilare 14.000 richieste. Abbiamo aiutato le persone ad individuare soluzioni più sicure.

Dobbiamo crere spazi condivis dove gli le persone non vedano gli animali come una minaccia e i bambini si divertano alla vista di una tigre o di un elefante. Il pianeta non esiste solo per le persone, ma per tutti”

Miranda Wang (Canadá)

Biologa molecolare e imprenditrice, si è concentrata su come trasformare i rifiuti plastici in prodotti chimici preziosi che si possono usare successivamente per la fabbricazione di materiali durevoli. Un terzo dei rifiuti di plastica nel mondo – che ora soffocano discariche, fiumi e oceani – potrebbe essere convertito in nuova ricchezza. Anche per Miranda, la natura è stata una parte integrante della sua infanzia, segnando alcuni dei momenti più significativi della sua vita,

Wang: “ Nel mondo produciamo oltre 300 milioni di tonnellate all’anno di plastica. Ogni pezzetto di plastica prodotto rimarrà con noi, non morirà mai Nella nostra generazione (Wang ha 25 anni) dobbiamo risolvere il problema della plastica. In terza media mi sono segnato a un progetto di riciclaggio e lì ho conosciuto Jenny, la mia migliore amcia al liceo e ora cofondatrice di questo progetto.

A 18 anni Jenny ed io abbimo scoperto dei batteri del suolo che si erano evoluti sviluppando la capacità di scomporre la plastica e mangiarla. Se le cellule trovano dei modi biologici per cambiare la struttura della plastica, possono esistere dei modi chimici per farlo, in modo più rapido ed efficiente. Così abbiamo isolato il batterio in laboratorio e studiato come scomporre i materiali plastici.

Il mio team sta sviluppando una tecnologia per scomporre la plastica in preziosi composti chimici che possono essere usati per la fabbricazione di altri materiali adibiti per esempio alla costruzione di auto, materiali biodegradabili per produrre beni di consumo.

Nostro obiettivo per la prossima fase è quello di lavorare con partner in tutto il mondo per usare rapidamente questa tecnologia nelle regioni più critiche, così da avere un autentico impatto nel mondo. Sono ottimista nella possibilità di superare il problema della plastica insieme. Le persone hanno una gran capacità di innovazione per sopravvivere nei momenti più critici. Ora è uno di quelli.

Fonte: relox.org

 

 

 

 

 

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