Paolo Borsellino e gli atti desecretati dal Csm. Una via verso la verità?

CSM audizione Paolo Borsellino

Mi impongo di credere che la morte di Falcone sia un fatto così dirompente e drammatico che, bandendo ogni sofisma, ogni ipocrisia e ogni compromesso, il potere politico abbia la forza di prendere decisioni ordinarie, ma drastiche, perché i magistrati possano lavorare (Paolo Borsellino)

Come avvenuto in occasione dell’anniversario della strage di Capaci, anche per la commemorazione dell’attentato del giudice Paolo Borsellino, dove il magistrato perì con la sua scorta (19 luglio 1992 – Strage di via D’Amelio), il Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato la delibera proposta dalla VI Commissione di desecretare  gli atti riguardanti Borsellino.

Gli atti, che sono a disposizione di tutti sia sul sito del Consiglio sia nella versione cartacea, mettono in luce il percorso professionale di Paolo Borsellino, caratterizzato dall’incessante impegno contro la mafia e l’apporto significativo alla storia della magistratura e dell’Italia.

Tra i documenti resi pubblici, si trova l’audizione di Borsellino del 31 luglio 1988 quando venne convocato dallo stesso CSM – Commissione Antimafia.   In quell’occasione Paolo Borsellino venne convocato per alcune dichiarazioni che lo stesso giudice palermitano aveva rilasciato alla stampa. Borsellino aveva espresso viva preoccupazione per lo “smantellamento” del pool antimafia, che riteneva un “passo indietro” nella lotta alla mafia.   Dal 19 gennaio 1988 alla guida dell’ufficio istruzione di Palermo era stato nominato Antonino Meli, anziché il giudice Falcone come per merito sarebbe dovuto accadere.

Borsellino Falcone Caponetto

Da sinistra Borsellino, Falcone, Caponnetto

Nella sezione Giurisdizione e società si trova l’ordinanza, composta da 40 volumi, depositata l’8 novembre 1985. L’ordinanza è la principale testimonianza del lavoro del pool antimafia, formato e diretto dal giudice Rocco Chinnici (considerato da Borsellino un riferimento professionale e paterno, ucciso dalla mafia nel 1983) e, successivamente, da Antonio Caponnetto. Nonché gli atti dell’istruttoria del  maxiprocesso a Cosa Nostra, iniziato nel 1985.

L’ordinanza fu scritta da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone;  ne terminarono la redazione nel carcere dell’Asinara, dove erano stati trasferiti con le loro famiglie, per motivi di sicurezza, resi urgenti dopo gli omicidi del commissario Beppe Montana (Santa Flavia-Palermo, 28 luglio 1985) e del vice questore Ninni Cassarà (Palermo 6 agosto 1985) entrambi morti per mano mafiosa.

L’ordinanza è l’atto conclusivo dell’attività istruttoria condotta dal pool antimafia, che aveva introdotto un sistema investigativo innovativo, perché sviluppato sulla  visione unitaria dei vari piani criminali mafiosi.
La sezione racchiude anche i processi celebrati per la strage di via D’Amelio e per quella di Capaci, oltre ai numerosi processi di mafia.

La versione cartacea degli atti riuniti in un unico volume dal titolo L’antimafia di Paolo Borsellino, sarà presentata dal plenum del CSM il 19 luglio 2017, presieduto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Saranno presenti, oltre ai familiari delle vittime, il Presidente del Senato Pietro Grasso, il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti, i Capi degli uffici di Palermo e i magistrati che hanno lavorato accanto a Paolo Borsellino.

Pietro Grasso nel 1985 era stato nominato giudice a latere del maxiprocesso; iniziò così una stretta collaborazione con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricordata nel libro scritto dallo stesso Grasso “Storie di sangue, amici e fantasmi” (ed. Feltrinelli 2017), in questo 25° anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

I 57 giorni di Paolo Borsellino

Paolo BorsellinoPaolo Borsellino e gli uomini della sua scorta perirono nel pomeriggio del 19 luglio 1992 nell’attentato terroristico – mafioso compiuto in via Mariano D’Amelio, a Palermo, semidistrutta dalla deflagrazione di circa 90 chilogrammi di esplosivo, caricato in una Fiat 126 rubata, telecomandati a distanza.

La macchina era stata parcheggiata sotto il palazzo dove viveva la madre di Paolo Borsellino e dove lo stesso giudice, quel pomeriggio,, si era recato.
Oltre a Borsellino, persero la vita i 5 agenti di polizia:  Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto all’attentato fu l’agente Antonio Vullo.

Il 19 luglio 1992 erano trascorsi 57 giorni dalla strage di Capaci, che segnò la morte di Giovanni Falcone della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta. 57 giorni che Paolo Borsellino, consapevole di avere il destino segnato, trascorse continuando a indagare sulla morte del collega e amico Falcone; la sua morte disse  era “un appuntamento rimandato”. Fu ucciso 24 ore prima di essere ascoltato dalla Procura di Caltanisetta, titolare dell’inchiesta della strage di Capaci, dove come lui stesso dichiarò, avrebbe raccontato quello che sapeva sui  moventi dell’uccisione di Giovanni Falcone.

Falcone e BorsellinoPoco prima di morire nel corso di un dibattito, organizzato nella Biblioteca comunale di Palermo, Paolo Borsellino disse:

“…In questo momento, oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto come amico di Giovanni tante sue confidenze, prima di parlare in pubblico, anche delle opinioni e delle convinzioni che io mi sono fatto raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria (la Procura di Caltanissetta ndr), che è l’unica in grado valutare quando queste cose che io so, possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita“.

Nell’ottobre 2015, Lucia Borsellino, figlia di Paolo ha deposto al processo in corso per la strage di via D’Amelio, confermando l’esistenza dell’agenda rossa dalla quale il padre non si separava mai, sottratta da ignoti subito dopo l’attentato e mai ritrovata.

Falcone, Borsellino e il pool antimafia

Emanuele Basile

 Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si erano conosciuti da bambini; si ritroveranno da adulti uniti professionalmente e umanamente.  Il primo contatto drammatico con le morti disseminate dalla criminalità organizzata, fu l’uccisione del capitano Emanuele Basile (nella foto a lato).

Come diceva Falcone, la mafia attecchisce dove lo Stato è assente.  Il pool antimafia fu lasciato solo, disgregato, smembrato e vilipeso; dal momento in cui iniziò a essere screditato sia professionalmente che socialmente, si rese ancora più evidente la condanna a morte dei due giudici.

Come ricorda il magistrato Scarpinato, entrare nel pool antimafia, era entrare in un altrove. Proprio in quegli anni ottanta, in cui l’Italia affogava negli scandali della P2 e dei poteri occulti, in Sicilia, un gruppo di magistrati impose la legge e la cultura della legalità.

Borsellino e Falcone stavano indagando sui rapporti tra mafia e stato, ed in particolare Borsellino negli ultimi mesi della sua vita, sembra che fosse venuto a sapere di una trattativa tra i ” 2 enti”; dopo l’incontro con il pentito Gaspare Mutulo, rimase sconvolto da rivelazioni che non ebbe il tempo di evidenziare e che non condivise, secondo il magistrato Scarpinato, per proteggere il resto dei membri del pool.

Il giornalista sardo Giommaria Monti nel suo libro Falcone e Borsellino La calunnia, il tradimento, la tragedia narra come uomini di stato e di giustizia attuarono un autentico stillicidio nei confronti dei due magistrati; nel 2007 lo stesso autore scrisse il libretto dell’opera sinfonica Falcone e Borsellino. Il coraggio della solitudine, un cronaca sinfonica per voci recitanti e orchestra scritta e diretta da Stefano Fonzi, messa in scena del suo libro.

Come ci ricorda la giornalista Maria Grazia Mazzola, autrice del documentario L’uomo che sapeva di dover morire, tutti devono avere il coraggio della verità, affinché finalmente si approdi agli autentici mandanti della strage di Capaci e di via d’Amelio, punto di rottura e di stallo della nostra storia. Uomini di Stato e di giustizia dovrebbero chiedere scusa o almeno stare zitti.

In occasione dei 20 anni delle stragi, nel 2012, la casa editrice Lia ha pubblicato Io non dimentico  – Brevi storia di Mafia e Antimafia raccontate alla generazione del ’92, una testimonianza generazionale che ognuno di noi, porta con sé e che ha il dovere di tramandare alle giovani generazioni. Ogni anno, dunque, si rinnova il dolore del dramma e dell’impotenza, ma anche la forza e il vigore che ci hanno lasciato in eredità i giudici con le loro scorte, uomini e una donna, autentici servitori del bene pubblico e  il magistrato Francesca Morvillo Falcone che abbracciò il suo uomo insieme al suo destino.

Salvatore  e Rita Borsellino, fratello e sorella di Paolo, perseguono la verità che si nasconde dietro al 19.07.1992.

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