Maningrida, dove poliglotta, modestamente, si nasce
Il 2019 è l’Anno Internazionale delle Lingue Indigene, celebrazione che ci conduce a Maningrida una piccola località del Nord dell’Australia di appena 2600 abitanti che parlano, però, fino a 15 fra lingue e dialetti ed è frequente che una stessa persona conosca più di un idioma.
Jill Vaughan, ricercatrice linguista della Melbourne University, rivela che non è raro incontrare persone del luogo che conoscono fino a 9 lingue.
Tale ricchezza linguistica deriva dalla storia della stessa località.
Maningrida (versione anglicizzata dell’originario kunibídji Manayingkarírra) sorge nel cuore della regione di Arnhem Land a 500 chilometri da Darwin. Nata nel 1949 come postazione commerciale, diventa nel 1957 un insediamento di assistenza sociale con lo scopo di creare una comunità aborigena autosufficiente; un punto d’incontro e di attrazione per le tribù dell’interno e delle regioni costiere circostanti, che lasciavano le loro terre a causa dei rivolgimenti della Seconda Guerra Mondiale.
Così si è formata la popolazione locale e si spiega l’elevata varietà di idiomi, in proporzione al numero esiguo degli abitanti. Inoltre, aggiunge Jill Vaughan, al contrario di quanto accaduto in altre località australiane, a Maningrida non ci sono state mai missioni, per cui gli abitanti non hanno subito pressione affinché adottassero una singola lingua.
La maggior parte delle comunità del Nord dell’Australia, infatti, parla una sola lingua diventata dominante, generalmente l’inglese o il kriol. L’atipicità linguistica di Maningrida, dunque, rimanda alla cultura e alle tradizioni più antiche delle comunità aborigene, per le quali l’essere poliglotti va oltre il significato pratico e quotidiano.
L’uso di più lingue affonda le radici nelle complesse reti familiari dei primi abitanti dell’Australia risalenti a oltre 50mila anni e con la quali hanno trasmesso le loro conoscenze ataviche e la loro cultura. Per gli indigeni il proprio idioma è strettamente connesso con la terra.
“Un individuo eredita la proprietà, la custodia di un territorio circoscritto, il clan e la lingua. E l’eredità avviene per linea paterna – spiega Jill Vaughan – per questo a Maningrida resiste la convinzione che si debba usare la lingua del padre”, ma nel pieno rispetto degli idiomi degli altri membri della famiglia, che possono essere numerosi. E posto che il linguaggio, come dicevamo, è strettamente legato al luogo di origine, questo viene usato nelle canzoni, nei racconti e nelle cerimonie per riconoscere e celebrare le molte regioni a cui queste pratiche sono collegate.
Perché il 2019 è l’Anno Internazionale delle Lingue Indigene
Le lingue indigene formano la maggioranza delle 6700 lingue parlate nel mondo.
Gli indigeni costituiscono il 5% della popolazione mondiale: 570 milioni di persone suddivise in 5mila popoli di 90 Paesi, complessivamente il 15% delle persone più povere, più vulnerabili e meno tutelate al mondo.
Per questo nel 1994 l’Assemblea Generale dell’Onu ha proclamato il 9 agosto Giornata mondiale di popoli indigeni, con l’intento di celebrare la loro diversità e richiamare l’attenzione sulle violazioni e sulle ingiustizie che gli indigeni continuano a subire.
Nel 2007, poi, l’organizzazione intergovernativa ha adottato la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni, che sancisce il loro diritto all’autodeterminazione, all’esercizio delle loro usanze e dell’espressione della loro identità. In questo 2019 l’ impegno particolare è dedicato alla preservazione delle lingue indigene.
Entro il 2100 potrebbero scomparire tra il 50 e il 90% delle lingue oggi in uso a favore delle lingue dominanti: l’inglese, lo spagnolo e il cinese. E a rischio sono la maggior parte delle lingue indigene. Le quali, ricorda l’Onu, sono ” essenziali per la tutela dei diritti umani, della costruzione della pace e dello sviluppo sostenibile, garantendo diversità culturale e dialogo interculturale”.
Fotografie dall’alto verso il basso: 1 – 2) Comunità di Maningridaby; 3) Atleta della Maasai Olimpics (Kenya- Africa) by – Katami Michelle