Dopo la Brexit è tempo di Englexit?
I nostri cugini francesi, lo sappiamo, sono fieri della loro nazione e della loro cultura. Un legittimo orgoglio che emerge anche nelle situazioni più difficili, se non d’emergenza. Così il 24 giugno 2016, quando tutti eravamo frastornati per il risultato del referendum britannico, che ha portato il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, alcuni politici francesi si son chiesti se avesse ancora senso che la lingua ufficiale dell’UE, continuasse a essere l’inglese.
Robert Ménard, esponente del Fronte Nazionale e sindaco di Béziers, alle h. 10.57 del fatidico day-after, scriveva su Twitter sotto #Brexit “La langue anglaise n’a plus aucune légitimité à Bruxelles.” (La lingua inglese non ha più legittimità a Bruxelles, ndr), gli faceva eco alle h. 13.16, l’antagonista partitico, Jean Luce Mélenchon, della sinistra francese, eurodeputato ma sostenitore dell’uscita della Francia dai trattati europei, che scriveva: “L’anglais ne peut plus être la troisième langue de travail du parlement européen” (L’inglese non può essere la terza lingua di lavoro del Parlamento europeo ndr).
Lingua d’Europa: rigurgiti del passato e del presente
Azzardiamo che, date le circostanze e proprio perché politici, le preoccupazioni primarie di Ménard e Mélenchon, forse, dovrebbero essere altre, invece hanno dato il “là” per la riapertura di
un’annosa questione, semplicemente sopita. Al di là del nazionalismo, il francese è stata fino agli anni novanta la lingua “ufficiale” dell’allora Comunità e non solo.
La diffusione della cultura e della lingua transalpina deriva dal suo dominio culturale e coloniale dei secoli scorsi. Il francese, in Europa è parlato anche in Svizzera, Lussemburgo e nel Principato di Monaco, mentre nel resto del mondo rappresenta la lingua ufficiale di 30 Stati distribuiti in tutti i continenti. Inoltre è considerata la lingua del mondo diplomatico e, insieme all’inglese, d’importanti organizzazioni internazionali come la NATO e l’ONU e, in particolare l’UNESCO che ha la sede principale a Parigi. Consideriamo inoltre che 3 dei 6 paesi firmatari del Trattato di Roma del 1957 (secondo atto costitutivo della Comunità europea), erano francofoni: Francia, Lussemburgo e Belgio.
La lotta dei francesi per mantenere il primato della loro lingua nelle istituzioni è stata lunga e si sono arresi (o almeno così sembrava, ora chissà) soltanto agli inizi del nostro secolo, come scriveva nel 2013 Euroactiv, network indipendente paneuropeo.
Perché con la Brexit l’inglese non fa parte delle lingue della Ue
L’Unione Europea riconosce 24 lingue ufficiali, che comporta l’impiego di 1.750 linguisti, 600 lavoratori d’appoggio, 600 traduttori e 3.000
interpreti; un dispiego di forze necessareo affinché tutti i documenti ufficiali siano disponibili nelle 24 lingue. Ma nel lavoro quotidiano fatto di riunioni, seminari, ma anche per la stesura dei comunicati stampa o rapporti urgenti la lingua più usata è l’inglese, seguita dal tedesco e dal francese. E secondo una relazione dell’Unione Europea, la lingua inglese è la più parlata all’interno dell’Unione Europea.
Ma dopo la Brexit effettivamente la questione riprende il suo vigore per una questione formale e giuridica. Infatti, nonostante l’inglese sia da decenni la lingua cosiddetta “di lavoro” (job language) e, quindi, dominante nell’ambito dell’UE, senza la presenza del Regno Unito cessa di essere l’idioma ufficiale, perché soltanto Londra ne sollecitò il riconoscimento legale.
Non lo fecero l’Irlanda e Malta, pur essendo l’inglese, all’interno dei loro paesi, la lingua ufficiale, che nell’UE scelsero rispettivamente il gaelico e il maltese.
E al riguardo è stata molto chiara Danuta Hübner, già commissaria europea, attualmente europarlamentare e presidente del Comitato Costituzione del Parlamento Europeo, che il 27 giugno 2016, a quattro giorni dal Brexit come ci informa l’agenzia di stampa Reuters, ha dichiarato: “L’inglese è la lingua officiale perché così lo notificò il Regno Unito. Ma se non abbiamo il Regno Unito, non abbiamo inglese”. La questione quindi è aperta: se gli Stati membri vorranno mantenere l’uso della lingua britannica dovranno giungere a un accordo.
Nel frattempo, come leggiamo sul Wall Street Journal, i documenti che l’EU ha prontamente inviato al premier inglese David Cameron, relativi alla richiesta di avviare quanto prima le pratiche per l’uscita del Regno Unito dall’Unione, sono scritti soprattutto in tedesco e francese.
Un futuro linguistico comunque incerto
Forse, non riguarderà un futuro prossimo, ma la Brexit, anche in campo linguistico, potrebbe riservarci delle sorprese.
Il predominio della lingua inglese, come sappiamo, deriva anche dallo status di prima potenza mondiale degli Stati Uniti d’America, che si avvia a essere uguagliata se non superata dai grandi stati asiatici. E in questo nuovo assetto mondiale, potrebbe cambiare il glorioso destino di cui ha goduto la lingua inglese fino ad ora.
Non è facile immaginare quale sarà la lingua che ci permetterà di capirci oltre ogni latitudine e longitudine. Forse è tempo di adottare l’esperanto, la lingua appositamente creata dal linguista polacco Ludwik Lejzer Zamenhof nella seconda metà dell’800, che mirava a superare le difficoltà di comprensione fra i popoli e, al tempo stesso, a preservare l’umana “babelica” ricchezza linguistica.
In pieno svolgimento degli Europei di calcio, forse si sta per tirare un nuovo calcio per l’inaugurazione degli Europei di lingua comunitaria.