Hamid Ziarati. La rivoluzione in Iran è donna

(Nascere in una famiglia disagiata è già di per sé un chiaro segno del destino avverso, al di là di ogni fiabesca eccezione, ma venire al mondo primogenito di una stirpe di indigenti è il più spietato degli sfregi con cui la sfortuna più cupa può recidere il cordone ombelicale. Di peggio? Essere femmina. Una grave colpa (da Il meccanico delle rose, H. Ziarati).

Hamid Ziarati, ingegnere di professione, scrittore “per missione”. Quando lessi il suo romanzo Il meccanico delle rose, nel lontano 2009, si parlava di rivoluzione verde in Iran, ora a 12 anni di distanza, “la rivoluzione non ha colori”, mi dice Ziarati, la rivoluzione ha un genere. La rivoluzione è donna.

Arrivo in Italia

Ziarati giunse in Italia nel 1981 con un visto per motivi di salute: doveva subire un’operazione al femore; i suoi fratelli studiavano Medicina a Torino. Decise di restare. Erano trascorsi appena 2 anni dalla rivoluzione islamica in Iran, e l’Italia, agli occhi di un adolescente iraniano di allora, era molto più simile all’Iran pre-rivoluzione che al paese che aveva appena lasciato. Un paese secolarizzato in cui le donne non avevano divieti. Si ricorda perfettamente la madre e la sorella andare in giro per le strade, senza nessun tipo di divieto. Un paese identico a quello occidentale. In qualche modo era tornato a casa, lingua e coordinate geografiche a parte.

Venti di cambiamento. Venti artificiali

In questi 46 anni di regime teocratico, si sono ripetuti ciclicamente momenti in cui sembrava che ci fosse la volontà di cambiare. Ricordiamo in particolare il 2009, quando i manifestanti del così denominato movimento verde chiedevano le dimissioni di Ahmadinejad.

Il verde poi si trasformò nel colore della speranza. Che accadeva realmente? “Si trattava di operazioni di facciata; una questione di carote e bastoni. Mano a mano che si avvicinavano le elezioni, per far vedere che i tempi erano cambiati, alle donne si concedeva un minimo di libertà, un ciuffo che usciva dall’hijab, volti truccati, ma era solo una parvenza di cambio di rotta. Quando in un paese il credo diventa legge e il peccato  reato, le possibilità di cambiamento sono nulle” afferma Ziarati, con la sua voce pacata ed educatamente assertiva.

“Ma all’epoca – continua il Nostro – mancava una forza unificatrice che coinvolgesse tutto il paese, come fu ai tempi della rivoluzione islamica che provocò la caduta dello Scià, quando si combatteva la monarchia, per ottenere la democrazia, ma poi si passò da un monarca a un ayatollah. Un regime in cui al diritto di famiglia si sostituì la legge del Corano, che richiede come ogni testo, un’interpretazione. E l’interpretazione dipende da chi la intrepreta. Si è tornati indietro di 1400 anni, con pratiche medievali, come l’impiccagione in pubblica piazza.”

“In questi decenni la politica economica è stata fallimentare, la corruzione è molto diffusa e i problemi delle persone rimangono irrisolti. Si calcola che dall’avvento della rivoluzione islamica siano fuggiti dagli 8 ai 10 milioni di persone”.

Iran: terra di mezzo

Mentre ascolto Ziarati, mi rammarico di non parlare il persiano, lingua che non conosco, ma dotata di una musicalità suggestiva e coinvolgente: “In Iran abbiamo il vantaggio di essere una terra di mezzo, di cultura millenaria, un ponte tra la letteratura occidentale e orientale. Per esempio, in Iran, i film indiani sono molto frequenti; siamo in contatto con paesi di provenienza turca, araba, pashtun, pakistana. Rappresentiamo un punto di incontro tra l’Occidente e l’Oriente. A livello filmico, la cinematografia iraniana ha segnato la storia del cinema universale e ha contribuito a diffondere la cultura e la storia contemporanea iraniana. Pensiamo solo a Persepolis, novel graphic, diventato film d’animazione che raffigura le privazioni e le repressioni sia relative al periodo della monarchia che della rivoluzione islamica”

“Per quanto riguarda la letteratura – prosegue Ziarati – molti autori e autrici sono costretti a pubblicare all’estero e i loro libri che arrivano in Iran vengono denominati “libri da copertina bianca”, poiché sono senza copertina, in incognito, scritti in persiano. Un ulteriore conflitto tra la repubblica islamica e il popolo iraniano, è proprio la lingua. Si legge in arabo il Corano (la maggior parte delle persone non  parla arabo), ma la lingua del popolo iraniano è il persiano. Il Corano si legge in arabo perché questo è il precetto affinché venga accettato”.  Un conflitto linguistico e culturale, e anche una distonia tra la lingua madre e la lingua con cui si prega, simile a ciò che accadeva in Italia con la liturgia latina con cui si celebrava la messa, senza che le persone parlassero latino. Un contrasto forte. La lingua è parte di noi”.

L’Università è donna

Le donne in Iran possiedono un alto livello di scolarizzazione. Durante il periodo di Ahmadinejad, dato il 65% delle presenze universitaria era “rosa”, il governo inserì una quota azzurra.

“Molti professionisti sono donne, avvocati, medici, ma non possono essere giudici – precisa Ziarati -. Le donne possono lavorare, ma con forti limitazioni.

Un “interstizio” nei miei pensieri si apre sul fatto che in Italia fino al 1963 le donne non potevano entrare in magistratura. La legge 9 febbraio 1963 n. 66, recita “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura…”), e nel 1981 con la legge 442, vennero abrogate le disposizioni sul ‘Delitto d’onore’. Interstizio chiuso.

Ed è proprio nella figura e nel ruolo della donna che il nostro ingegnere-scrittore riscontra l’elemento unificatore dell’attuale rivolta in Iran, come lo fu la lotta per la democrazia, oltre 40 anni fa. “Lo slogan della rivoluzione fu “Dio è grande”, lo slogan attuale è: “Dio è grande”. L’intera società iraniana è coinvolta attualmente, non ci sono elementi divisivi”.

Ziarati ne è pienamente persuaso: “In questo momento sta avvenendo una rivoluzione che vincerà, perché l’elemento unificatore è donna, dunque, è vita, è libertà. Non c’è un nome a livello politico che porti avanti la bandiera del capovolgimento del governo, poiché un nome potrebbe essere divisivo; la violenza inflitta in particolare alle donne, è diventata chiara a tutti gli iraniani, riguarda tutti”.

“La donna è la portabandiera di questa rivoluzione. Non appena cadrà il velo, sarà il simbolo e l’evento decisivo per la caduta della repubblica islamica, un effetto dominio che si ripercuoterà su tutti gli altri diritti. Un simbolo patriarcale, non solo religioso. Questa volta le manifestazioni non riguardano la richiesta di riforme. La gente è consapevole che si tratta di ribaltare il sistema, per ottenere le condizioni di vita che desidera”.

Ma che cosa ha reso così visibile la situazione socio-politica a tutta la popolazione? Ziarati non mostra incertezze nell’evidenziare il ruolo strategico dei social media, e nello specifico, della diffusione dei video; giovanissimi e adulti che sono nati sotto la rivoluzione vedono come vivono i loro coetanei. In piazza ci sono ragazzi, la cui età va dai 12 ai 15 anni.  “L’effetto social” si riversa anche sui giovani occidentali a cui sfugge il significato di che cosa sia una dittatura, di come si possa vivere con privazioni. Tutte queste visibili mancanze fanno sì che i giovani italiani, francesi, spagnoli, solo per citarne alcuni, empatizzino con i loro coetanei”.

In questo momento, dunque tutta la popolazione è coinvolta, come all’epoca della rivoluzione islamica. Ziarati fa leva più volte durante l’intervista della presenza, per la prima volta dalla caduta dello Scià, di un forte e consolidato elemento unificatore.

Non ci sono parametri politici di riferimento, ma sociali. Sono in sciopero studenti, docenti, bazar, insegnanti di scuola.  “Dopo un anno di proteste, i tempi sono cambiati.  Nel 2019 uccisero 1500 manifestanti. La situazione riguarda tutti gli iraniani, ma il Movimento 2022 non ha colori, il Movimento attuale è Donna.

La letteratura. Una cara vecchia amica

Quale è il rapporto di Ziriati con la letteratura e la scrittura? “Ho sempre amato la scrittura, finché 20 anni fa, con la nascita del mio primo figlio sentì la necessità di raccontare la storia dell’Iran, un dono per quando avrebbe avuto l’età di poterlo leggere (l’autore si riferisce al romanzo Salam Maman per il quale vinse il premio Giuseppe Berto per l’Opera Prima). Un figlio che a sua volta ora ha avuto un figlio.

Allo stesso modo, il motore propulsore del suo romanzo Il meccanico delle rose, basato su storie raccontate e raccolte, fu la nascita della secondogenita, un libro a lei dedicato, proprio sulla violenza profusa alle donne e sulla menzogna travestita da verità.  Le chiedo se la figlia lo ha letto: “Non ancora, è troppo presto, per le tematiche che tratta”.

La rosa è da sempre presente nella letteratura persiana, il suo profumo, la sua forma, la sua essenza, accoglie una molteplicità di simboli come l’amata o il vino, da significati ambivalenti. Molti termini permettono di avere uno o più significati, si prestano all’ambiguità lessicale e pertanto anche a una forma di protesta velata. Un misticismo “materico” che rende la poesia e la letteratura persiana, universalmente intensa.

La poesia è parte integrante della lingua e della cultura iraniana in ogni sua piega e manifestazione. “Chiunque parli il persiano, nel suo linguaggio quotidiano cita un verso, una parola, appartenenti a un poema, anche persone che non hanno avuto il privilegio di apprendere la scrittura e poter godere della lettura. La poesia è sempre stata una potenza unificatrice” conclude Hamid Ziarati.

 

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