Hopepunk. Il coraggio della positività

Nella lista delle 10 parole dell’anno, ossia i nuovi termini con maggiore impatto socio-culturale, stilato dal Collins Dictionary, brilla il termine hopepunk.

Per noi sconosciuto – ma molto diffuso nel mondo anglosassone – ci serviamo dello stesso dizionario britannico per capirne qualcosa e scopriamo che hopepunk indica un “movimento letterario e artistico che celebra il perseguimento di obiettivi positivi di fronte alle avversità”.

Nasce come reazione alla narrazione grimdark, un sottogenere letterario (così viene ufficialmente definito) che si contraddistingue per stile e ambientazione distopica, con personaggi amorali e violenti. Il termine deriva dal motto del gioco di strategia Warhammer 40.000 che recita: “Nella cupa oscurità del lontano futuro c’è solo la guerra” (nella versione originale recita: “In the grim darkness of the far future, there is only war”). Sviluppatosi soprattutto nel genere fantasy un esempio, spesso citato, di produzione grimdark è la serie tv, Trono di Spade.

Ma il grimdark è andato oltre il fantasy, trovando terreno fertile dall’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York nel 2001 in poi, in una percezione generalizzata in cui il futuro sembra scandito da sciagure imminenti per le conseguenze del cambiamento climatico, per le cicliche crisi economiche, per l’aumento delle disuguaglianze e per il ritorno dei fantasmi dei grandi totalitarismi del Novecento che pensavamo abbattuti e per sempre sepolti dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Ed ecco che in questo panorama apocalittico, nel 2017, la scrittrice statunitense Alexandra Rowland ha rivoluzionato lo scenario, scrivendo sulla piattaforma Tumblr: “L’opposto di rimdark è hopepunk”.  È bastata questa frase per dare vita al movimento letterario e artistico che mette al centro non la passività della crudeltà e dell’immondo ma la speranza, la gentilezza e la fiducia nell’umanità. Un approccio ottimista nell’affrontare il presente e progettare il futuro che da genere letterario, sta diventando scelta esistenziale e di politica attiva: una forma di resistenza alla distopia, in grado di correggere la visione nichilista determinata dal tragico, desolante e disperato grimdark.

Vox.com in un articolo di qualche tempo fa riportava il post pubblicato dalla Rowland dove la scrittrice spiega che hopepunk non esprime mai “sottomissione o accettazione: si tratta di difendersi e lottare per ciò in cui si crede. Si tratta di difendere gli altri. Si tratta di esigere un mondo migliore, più gentile e di credere veramente che possiamo costruirlo se ci prendiamo cura l’uno dell’altra”.

“Hopepunk sa che tutto è impermanente e che nulla è promesso – precisa la Rowland – quindi scegliere combattivamente gentilezza, ottimismo e delicatezza invece della durezza, cinismo e violenza può essere una potente scelta politica”.

Il post della Rowland ha suscitato un grande dibattito digitale e, evidentemente, non era soltanto un punto di vista soggettivo ma rispondeva ad una sensibilità del mondo reale, anche se non ancora codificata, posto che in poco tempo il pensiero hopepunk ha superato i confini della piattaforma Tumblr, diventando mainstream, ossia seguito dal grande pubblico.

Si sono rapidamente configurati i suoi parametri distintivi, con specifiche tendenze estetiche e letterarie che Vox.com riassume così:
– un’estetica gentile, forse più in generale uno stato d’animo improntato sulla dolcezza, come scelta consapevole. “Essere delicati non è una debolezza ma è ciò che rende forti” sostiene Nikita Mor in un saggio del 2017;
– una visione del mondo che sostiene la costruzione di sistemi sociali positivi, per i quali vale la pena combattere;
– la costruzione della comunità attraverso la cooperazione piuttosto che attraverso il conflitto.

La testimonianza del grande impatto della tendenza hopepunk nel mondo anglosassone ci viene direttamente dalla BBC, che nell’estate 2019 ha annunciato di aver investito 150mila sterline nella produzione di una serie di podcast improntati sul concetto hopepunk.

Stuart Heritage,  riportando la notizia su The guardian.com, ha, nel frattempo, indicato le serie già in programmazione – anche sulle web tv come Netflix – già di successo che corrispondono al genere anti grimdark e che riportiamo per i lettori eventualmente incuriositi o desiderosi  di entrare nel clima attivamente ottimista delle nuova corrente.

Ecco alcune serie:
The good place, una divertente sit-com, sostiene The Guardian, prodotta specificamente “per esplorare le funzioni pratiche dell’utilitarismo etico, sostenendo che anche gli esseri umani imperfetti, con la giusta guida possono cambiare”.

Queer Eye: “In concreto il manifesto hopepunk: una sitcom scritta secondo il punto di vista dell’empatia totale”.

Ed infine Doctor Who, serie crime “ma non violento, la cui protagonista, la doctor Who per l’appunto, non solo è donna, ma è una guerriera della giustizia sociale”.

 

 

Fotografie dall’alto: 1) manifesto hopepunk; 2) Alessandra Rowland, scrittrice e creatrice del termine hopepunk; 3) frame dalla serie tv, Doctor Who

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