Carlo Bo. Per ritardare l’intervento dell’oblio

Se è vero che anche l’analfabeta può apprezzare la pittura, quanto è importante la scrittura per chi sa leggere? Così le parole diventano regali per le nuove generazioni, che potranno avere coscienza del loro significato attraverso i scrittori illustri che ce le hanno lasciate: parole che aprono alla conoscenza e, quindi, da demandare ai posteri.

Urbino, Montefeltro, Urbania “la piccola Bologna” sono entrate nella vita di Carlo Bo come un terremoto, forse lui stesso non se rese subito reso subito conto poi non riuscì a levarsele dal cuore. Lui, uomo di mare, che definiva la sua terra natia “un eremo di pace”, lasciò quell’aria profumata di salmastro per immergersi in territori appartenenti a secoli diversi.

Non ne fu schiacciato perché la forza della cultura che emanavano quei luoghi già faceva parte di lui.

Studente liceale, a Genova, di un istituto di Gesuiti, volle andare a Firenze per conoscere lo scrittore Giovanni Papini, dopo avere avuto come insegnate Camillo Sbarbaro che nel descrivere i versi del Carducci “ alla stazione in una mattina d’autunno”, lo appassionò alla conoscenza della letteratura e gli indicò lui quale sarebbe stata la sua strada.

Scrivere, mettere giù frasi e opinioni, aprire orizzonti nuovi nel panorama della prosa, con libertà di pareri su autori e poeti, con originalità e mai offensivi o denigranti.

Così Bo, nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso, entrò a far parte di quello che lui stesso definiva “piccolo cenacolo letterario”: un gruppo di scrittori appartenenti alla rivista Circoli patrocinata da Eugenio Montale. S’ incontravano a Sestri Levante d’estate o quando il tepore dell’autunno addolciva i cuori. Erano Adriano Grande, Angelo Barile, Carlo Emilio Gadda, Luzi, Bigongiari, Betocchi, Guglielmo Bianchi, Leonardo Sinisgalli, Salvatore Qusimodo, il poeta olandese Arturo van Scheldel, lo scultore Messina ed il “bocia” Giovanni Descalzo, il poeta locale che in breve raggiungerà traguardi tra i più ambiti.

Furono quelli gli anni più felici della sua vita,  passeggiare con gli amici, non avere fretta, godere i raggi del sole fino all’imbrunire, sedersi a chiacchierare con i pescatori, comprare il giornale, leggerlo seduto al caffè, sfogliarlo con il sigaro in bocca ed osservare i colorati oleandri che proteggevano la sua casa.

Dopo il percorso fatto al Corriere della Sera e tutte le sue importanti pubblicazioni, Bo ci fu chiamata ad Urbino. Una scelta di vita. Lasciò per lunghi mesi la sua piccola patria e scelse di fare un passo che mai rimpianse. Fu un po’ come scoprire un amore a cui non puoi dire di no, foriere di soddisfazioni diverse. Diventò rettore dell’Università di Urbino.

Fu  davvero un periodo d’oro per Carlo Bo, ritornare a contatto con gli studenti, parlare loro della letteratura italiana e straniera, viaggiare con loro per una strada di dialoghi mai interrotti, fu come vivere in un’altra dimensione. Comprese che far bene il mestiere di insegnante umanizza nel profondo.

La sua vita è stata un percorso nella storia della letteratura e ricordarlo, prima che termini questo 2021, nel duplice anniversario della sua nascita e della sua morte (1911-2001), è rivivere la sua memoria restituendo la prova evidente che mai può scomparire ciò che è custodito gelosamente.

Scrisse: “Saldare in un solo anelito la bellezza e la fatica, il gusto e il lavoro, il tempo e il tentativo di ridurne il corso spietato è come ritardare l’intervento dell’oblio”; ci sembra questa la migliore espressione che ci ha lasciato, perché in essa c’è tutto quel che vale in una vita.

 

Immagine: Carlo Bo. L’anno 2021 ha segnato l’anniversario della sua nascita, Sestri Levante 25 gennaio 1911, e della sua morte, avvenuta a Genova il 21 luglio 2001

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