Riley Redfern. Il duro mondo della ristorazione

Si parla spesso del richiamo che le scuole alberghiere hanno sui giovanissimi (tra le professionali è l’indirizzo più richiesto) pochissimo, invece, del prezzo a livello fisico e mentale che pagano una volta adulti e inseriti nel mondo della ristorazione.

Frequentemente poco retribuiti e sottoposti a molte ore di faticoso lavoro in un clima carico di pressioni, corrono il rischio di perdere se stessi (se non la vita) per l’abuso di alcool e droghe. Emblematica la storia della Riley Redfern, pasticcera stellata per 12, che lei stessa ha scritto su Insider, dopo essere stata “salvata” dal lockdown.

“Dopo aver lavorato nei ristoranti per anni e guadagnato stelle Michelin, sono stata licenziata durante la pandemia”. Inizia così la sua storia Riley che credeva, all’inizio della sua carriera, di realizzare un sogno che invece nel tempo si era trasformato in un incubo. Per questo, quando nel marzo 2020 il suo capo le comunicò che il suo lavoro sarebbe cessato perché non “essenziale”, si sentì sollevata. Dopo anni trascorsi quasi senza ferie, senza fermarsi mai anche con la febbre, la sua salute iniziava a cedere, così il suo umore e di conseguenza il suo rendimento professionale. “Non ero disposta ad ammettere che la qualità del mio lavoro era calato. Ero esausta e odiavo il mio lavoro”.

Trascorrere la giornata lavorando dalle 10 alle 18 ore al giorno in un ambiente ruvido dove nelle giornate di tensione “lo chef di turno potava anche insultarmi o tirarmi qualcosa addosso” la logorava giorno dopo giorno. Non aveva soddisfazioni economiche, almeno per vivere in una città come San Francisco, dove non poteva permettersi nemmeno l’assicurazione sanitaria.

Né nella sua vita c’era spazio per una stabile relazione sentimentale. “Dall’ esterno era una giovane di successo; nessuno poteva vedere la mia disperazione, vergogna e dolore – scrive Riley – terminavo ogni turno con almeno un paio di drink per lenire il dolore alla schiena e nei fine settimana mi ‘abbuffavo’ di alcol e droga”.

L’industria della ristorazione mi stava facendo quello che ha fatto a innumerevoli altri: trasformarmi in una persona amareggiata e arrabbiata”.

Nonostante ciò la “stella polare” per Riley continuava a essere il raggiungimento del successo; nonostante il cammino per raggiungerlo l’aveva condotta più di una volta al Golden Bridge “contemplando la morte”.

Durante il lockdown costretta a casa iniziò a prendere consapevolezza della sua condizione pisco-fisica. “Ero così felice di poter riposare” commenta oggi. I suoi colleghi fremevano dalla voglia di riprendere a cucinare la nostra chef non condivideva “il loro entusiasmo”. Da cui il sollievo che dicevamo quando è stata licenziata nonostante non avesse denaro e si accingeva a riscuotere il sussidio di disoccupazione. La sua vita stava cambiando: pasti regolari, terapia, pratiche di meditazione quotidiane, senza dover stare tutto il giorno “curva sul lavandino nel seminterrato di un ristorante e non vedere mai il sole”. Il licenziamento è stato la spinta definitiva verso un’altra strada “dalla quale non tornare indietro”.

Nel giugno 2020 Riley si è iscritta a un corso di programmazione di software e ora sta cercando lavoro in quel settore, con la volontà di aiutare altre persone “come me”. La salute emotiva e fisica, un amore vero e sano “da coltivare in un luogo di sincerità” valgono molto di più di qualsiasi forma di successo e fama.

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