Ricerca italiana sul rallentamento della progressione della SLA
Viene dall’Università Campus Bio-Medico di Roma lo studio sulla possibilità di ritardare la progressione degenerativa della malattia nei pazienti affetti da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica),
I ricercatori dell’ateneo romano, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno concentrato le loro indagini sul glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello.
Hanno osservato che una quantità eccessiva del glutammato può provocare una tossicità tale da determinare la morte delle cellule coinvolte. Compito dei neurotrasmettitori è, infatti, quello di veicolare le informazioni fra le cellule – i neuroni – che costituiscono il sistema nervoso, attraverso la trasmissione della struttura sinaptica.
I neurotrasmettitori possono essere inibitori o eccitatori: reprimono l’impulso nervoso o lo promuovono, come il glutammato. La morte delle cellule nervose compromette le capacità motorie, sensoriali e cognitive e la SLA è una malattia neurodegenerativa che colpisce i neuroni.
I ricercatori, guidati dal professore Vincenzo Di Lazzaro, una volta individuato l’azione nociva dell’eccesso del glutammato, hanno cercato di reprimere tale eccesso attraverso la stimolazione magnetica trans-cranica: una tecnica non invasiva di stimolazione elettromagnetica del tessuto cerebrale. Le prime sperimentazioni, che risalgono al 2004, sono state condotte su un numero ridotto di pazienti che venivano sottoposti al trattamento una settimana il mese. I risultati sono stati positivi, ma la riduzione della produzione del neurotrasmettitore era bassa. Si è passati, allora, al raddoppiamento del trattamento, ottenendo un ulteriore riduzione del glutammato ma ancora non significativa.
Successivamente, grazie ad un medico malato di SLA che si è reso disponibile per una sperimentazione di un metodo più complesso e, quindi, più invasivo e rischioso rispetto alla stimolazione magnetica, si è giunti ai dei risultati che accendono una speranza.
Al dottore volontario, come spiega il professore Vincenzo di Lazzaro (nella foto a lato), a capo del gruppo di ricerca, responsabile dell’Unità di Ricerca di Neurologia, Neurofisiologia e Neurobiologia del Campus Bio- medico, sul sito unicampus, è stato impiantato “un elettrodo sulla superficie del cervello in corrispondenza dell’area responsabile del movimento e collegato a un pace-maker, in grado di modulare l’eccitabilità cerebrale in maniera continuativa”. Dopo un periodo prolungato di stimolazione i ricercatori hanno potuto verificare una importante riduzione della progressione della malattia: il peggioramento non si è arrestato ma è stato molto più lento del previsto.
Il volontario al momento delle diagnosi della malattia aveva 56 anni e gli erano stati pronosticati non più di 3 anni di vita. Oggi, trascorsi 13 anni dall’inizio della malattia il medico è ancora in vita, anche se necessita una ventilazione assistita.
Tuttavia per valutare l’effettiva efficacia del trattamento, continua il professore Di Lazzaro, che ripetiamo non guarisce ma rallenta il progresso rapido della degenerazione, necessita la sperimentazione su un numero elevato di pazienti e, sottolinea, si tratta di un rallentamento della patologia, non una cura.
Gli esperti considerano lo studio un promettente campo di indagine per scenari di ricerca futuri e proprio per questo, lo studio è stato pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Brain Stimulation.