Gli archeologi della “Città bruciata” camminano con lo sguardo in alto

Archeologia, scienza, antropologia,  arte, filologia, mondi che si intersecano per ri-dare vita al passato, come chiave di lettura del presente. Recentemente sulle nostre pagine digitali vi abbiamo parlato della spedizione al sito archeologico Shahr-e-Sokhta, la “città bruciata” situata in Iran.

Un progetto italo-iraniano di carattere multidisciplinare. Ma come nasce la collaborazione tra i due paesi? Come si articola un lavoro così complesso e suggestivo che ci restituisce una verità storica e culturale che parte dall’Età del Bronzo.

Enrico Scalone archeologoNe abbiamo parlato con Enrico Ascalone, docente italiano che insegna all’Università di Copenhagen, direttore del progetto. Un modello di ricerca che come evidenzia il prof. Ascalone “abbatte vincoli, muri e pregiudizi“.

L’Italia è stata coinvolta nel progetto in quanto erano stati proprio i ricercatori italiani a far rivivere la città dal 1967 al 1977?

No. Nessun legame c’è tra questo progetto e quanto fatto dagli italiani nel passato, ma proprio l’ottimo lavoro svolto da l’allora IsMEO  (L’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, sciolto nel 1995, ndr) sotto la direzione del Prof. Maurizio Tosi e i suoi colleghi (Marcello Piperno, Raffale Biscione, Sandro Salvatori e altri), è stato uno dei motivi che ha portato la parte iraniana ad invitare ricercatori italiani per cominciare un nuovo ciclo di collaborazioni tra i due paesi (peraltro dal 2002 alcuni ricercatori italiani erano già presenti a Shahr-i Sokhta).

Il progetto italiano, che è ospite della Repubblica Islamica dell’Iran e, quindi, della missione iraniana diretta da S.M.S. Sajjadi, nasce e si afferma sulla base delle competenze acquisite, le pubblicazioni e le ricerche svolte negli ultimi venticinque anni in Iran.

Quale è il rapporto tra lei che insegna all’Università di Copenhagen, l’Università del Salento e Hossein Moradi dell’Università di Teheran?

È un rapporto, oltre che di stima reciproca tra le singole componenti di natura scientifica, che si basa sugli accordi siglati con il RICHT (Istituto di Ricerca per i Beni Culturali ed il Turismo iraniano) a dicembre 2016.

Sajjadi

Sajjadi

La direzione dello scavo iraniano è di Mansur Sajjadi, che lavora sul sito assiduamente dal 1997. Houssein Moradi è il suo irrinunciabile collaboratore e vice direttore della missione. Purtroppo il dott. Sajjadi non ha potuto partecipare a questa prima campagna.

È vero che la cultura di Jiroft, sviluppatasi in Persia nel III millennio a. C. è stata scoperta solo all’inizio del secolo in corso?

Evidenze di un’arte autonoma che si emancipava dalle coeve manifestazioni culturali mesopotamiche, erano state rintracciate in singoli manufatti già nella seconda metà del XX secolo. Purtroppo il materiale studiato era perlopiù proveniente dal mercato antiquario a seguito di scavi clandestini, privo di ogni riferimento contestuale e cronologico.

Solo nel 2003, a seguito del sequestro di materiale archeologico pronto per il mercato occidentale, si è identificata nella valle dello Halil una nuova civiltà, una nuova cultura. Gli scavi successivi di Konar Sandal hanno permesso di dare profondità storica alla cosiddetta civiltà di Jiroft.

Se vengono confermati alcuni studi la cultura di Jiroft, questi metterebbero in discussione i primati fino ad ora attribuiti, ad altre culture del Vicino Oriente antico,  come ad esempio il primato della scrittura cuneiforme attribuita ai Sumeri o   nell’ambito degli interventi chirurgici, come testimoniano i crani ritrovati?

Senza dubbio i rinvenimenti aprono le porte a nuove interpretazioni che permetteranno di dare dignità alle culture dell’altopiano iranico, non più viste come un semplice anello di congiunzione tra due civiltà (Indo e Mesopotamia) ma parte integrante di un percorso evolutivo in cui l’Elam, Jiroft e Shahr-i Sokhta svolsero un ruolo attivo e prioritario nella formazione delle società complesse del periodo Calcolitico e di tutta l’Età del Bronzo.

Come si spiega il considerevole divario di età sulla lunghezza della vita, fra uomini e donne (le donne vivevano in media 35 anni in più degli uomini) considerando che fino ad ora non sono state trovati resti di armi e si parla di popolazione dedita all’artigianato, commercio e agricoltura?

Studi antropologici di questo tipo devono essere confermati da un’analisi più approfondita su un campione più ampio. Uno degli obiettivi, ma non il solo, del Progetto italiano è esattamente questo.

L’archeologia ci permette di comprendere l’evoluzione culturale dell’uomo; quali sono le aspettative in merito a questo progetto?

Da un punto di vista scientifico il progetto, di ampia portata per il suo valore multidisciplinare, ha come obiettivo la ricostruzione storica del passato di Shahr-i Sokhta e della sua regione attraverso uno studio che possa dare risposte storiche basate su metodologie di ricerca innovative e plurime.

Shahr-i Sokhta bisLe ricerche italiane a Shahr-i Sokhta vogliono, infatti, gettare nuova luce su uno dei centri più importanti dell’Età del Bronzo usando nuove tecnologie all’interno di un sistema multidisciplinare integrato che possa dare risposte alle tante domande, ancora senza risposta, che il sito del Sistan rivolge all’ambiente scientifico internazionale.

In un’ottica più ampia, che considererei più importante, il progetto ha un suo valore intrinseco nell’idea di condivisione, di lavoro comune e collaborazione tra due missioni, una italiana, l’altra iraniana, che lavoreranno a stretto contatto nella massima stima reciproca pronti a coadiuvarsi, supportarsi e aiutarsi reciprocamente all’interno di un modello di ricerca che abbatte vincoli, muri e pregiudizi.

In questo periodo di continua diffusione del concetto malsano di “lauree deboli” che cosa direbbe ai molti studenti interessati ad intraprendere gli studi di archeologia?

Agli studenti che vogliono fare archeologia consiglierei di trasgredire l’ortodossia della metodologia archeologica: in genere l’archeologo, per sua formazione professionale, cammina guardando il suolo, io consiglierei di guardare sempre in alto.

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