Giovani che vogliono restare
Si parla molto (e, inversamente proporzionale, si fa poco) delle insufficienti e/o inadeguate opportunità lavorative e, quindi, difficoltà che hanno i giovani italiani.
E se accade agli under 40 delle grandi città dove le occasioni dovrebbero comunque essere maggiori, cosa accade ai giovani che vivono nell’entroterra (zone rurali e periferiche) della Penisola, dove oltre le opportunità manca anche l’accesso ai servizi essenziali? Lo dimostra lo *studio condotto dal Gran Sasso Science Institute (GSSI) pubblicato dalla rivista scientifica Regional Studies, Regional Science.
Giulia Valeria Sonzogno, prima firma, specifica che si tratta del primo studio che cerca di tracciare le caratteristiche dei giovani che restano, che partano o che arrivano. Un’indagine i cui risultati “forniscono nuove e puntuali informazioni sulle difficoltà, i desideri e i progetti degli under 40 che scelgono di restare o tornare in questi territori”. Senza tralasciare i fattori e le caratteristiche individuali di coloro propensi a partire.
La ricerca è stata condotta su un campione di 950 giovani, dai 18 ai 39 anni, residenti nelle aree periferiche d’Italia, attraverso un questionario ideato e somministrato nell’ambito del progetto di ricerca-azione *Giovani Dentro.
Analizzando la propensione alla migrazione, i ricercatori hanno con cura differenziato la “volontarietà della scelta” tra le opportunità e le necessità: vale a dire tra le persone “fermamente convinte” a partire rispetto a quelle “costrette con riluttanza a migrare/rimanere)”.
“Contribuiamo così a colmare l’attuale gap sulle motivazioni poco esplorate alla base dell’opzione ‘immobilità’ – proseguono lo studio – fornendo evidenze sui motivi di permanenza dei giovani nelle cosiddette ‘aree interne’ (IA) italiane, che sono aree periferiche che soffrono di problemi di lunga durata, processi a lenta combustione”.
Si scopre allora che il 53% dei giovani intervistati è saldo nella volontà di restare e tra coloro che partono, il 16% lo fa per “necessità”: ossia preferirebbe rimanere ma considera il suo territorio privo di possibilità a breve e medio termine . Il 19%, invece, rimane perché non ha alternative. Solo il 12% vuole lasciare i territori per propensione a nuove esperienze.
Ci sembra evidente, allora, che dipendesse da loro, la maggioranza dei giovani e delle nuove generazioni a seguire vorrebbero restare nel luogo di residenza.
Ma tutto è in divenire. Coloro che partono per necessità, per esempio, potrebbe a breve la soluzione ideale nello smart-working e/o nel tele-lavoro: essere operativi da remoto, consente di vivere dove si preferisce e origina la contro-tendenza, già diffusa negli Stati Uniti e che si sta delineando anche in Italia, per esempio a Milano: lasciare la grande città, dove si è trovato lavoro, perché i costi di mantenimento (soprattutto per gli alloggi) sono troppo alti, e lavorare ‘da casa’, dove per casa s’intende, appunto, il luogo natio o piccole città con un caro-vita sostenibile.
L’importante allora diventano le infrastrutture, soprattutto la banda larga estesa su tutto il territorio nazionale. Come scrivono gli autori della ricerca: “In questo contesto, la comprensione delle aspirazioni e dei bisogni dei giovani è fondamentale per produrre conoscenze basate su prove per informare le politiche che promuovono opportunità di soggiorno o ritorno in questi territori”. Perché la assenza compromette lo sviluppo di tutta l’Italia.
*note
* Studio: Migration propensity of peripheral youth: insights from Italy (Propensione migratoria dei giovani periferici: approfondimenti dall’Italia) di Giulia Valeria Sonzogno. Giulia Urso e Alessandra Faggian del Gran Sasso Science Institute (GSSI), dell’Università de L’Aquila
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