Università? No thanks. Sono maschi, bianchi e della working class

Università. No grazie, siamo bianchi e working classIn Gran Bretagna, il numero di maschi che si iscrivono all’università è in decrescita, come nel resto dei paesi sviluppati, come ci descrive il rapporto OCSE. Ogni stato sta cercando di individuare una propria strategia socio-formativa. La  Svezia, per esempio, ha commissionato una ricerca sulla “crisi del  ragazzo”, l’Australia ha messo a punto un programma di lettura chiamato “Ragazzi, Blokes, Libri e Byte”. Tuttavia la  singolarità del dato britannico risiede nel fatto che una particolare categoria di maschi rifugge dalla formazione accademica: bianchi e appartenenti alla working class.

Parola di Nick Hillman, direttore di HEPI (Higher Education Policy Institute- Istituto delle Politiche di Istruzione Superiore), un think tank che si occupa di politiche educative e di orientamento, che insieme a Nicholas Robinson ha redatto il rapporto “Boys to Men: The underachievement of young men in higher educationand how to start tackling it” (Da ragazzi ad uomini: lo scarso rendimento dei giovani uomini nel settore dell’istruzione superiore – e come iniziare affrontarlo).

Tra le motivazioni che elencano gli autori rispetto al rendimento maschile, troviamo lo scarso coinvolgimento dei giovani durante gli anni della scuola secondaria;  la deficitaria applicazione e lo scarso interesse verso le materie di studio, renderebbero più difficoltosa la transizione verso gli studi di altra formazione. Educatori e politici pensano che la sfida risieda nel creare programmi più accattivanti per la suddetta categoria

Un sondaggio pre-universitario tra le studentesse “free school meals”, ossia che hanno accesso a pasti scolastici gratuiti, riporta che  il 51% afferma che probabilmente si sarebbe iscritta all’università, rispetto all’8,9% dei ragazzi bianchi  appartenenti alla working class. Attualmente, quattro su cinque istituti di alta formazione hanno più studenti femmine che maschi, il rapporto è di 123 su 149 istituti. Solo due enti di istruzione superiore, a parte la formazione dei docenti, si sono dotati di obiettivi specifici per le iscrizioni maschili. Attualmente,  nel Regno Unito, ci sono 300.000 donne laureate in più rispetto agli uomini.

Un fenomeno probabilmente che ha origine negli anni passati, nel libro Prove di seconde generazioni di Luca Queriolo Palmar del 2006, rispetto alla Gran Bretagna, si riscontra che le ragazze hanno migliori risultati rispetto ai loro coetanei maschi

Secondo Mary Curnock Cook, amministratore delegato di UCAS (Universities and Colleges Admissions Service)- istituto che si occupa delle iscrizioni nei college e università britannici-, le bambine nate nel 2016 avranno un 75% di probabilità di proseguire gli studi post diploma in più, rispetto ai loro coetanei maschi.  Nella prefazione al rapporto, la Cook sottolinea come il fenomeno sia complesso e necessiti di un ampio ventaglio di esperti: neurologi, psicologi, pedagoghi, sociologi, specialisti del comportamento. Tra 10 anni il gap universitario non sarà tra ricchi e poveri, ma tra uomini e donne.

Take Our Sons to University DayUniverstià non è un posto per bianchi della working class

Tra le misure da adottare, gli autori suggeriscono il “Take Our Sons to University Day”- Porta i tuoi figli all’Open day”- su modello del Take Your Daughter to Work Day in cui scuole, università ed imprenditori incoraggiavano i padri a portare le loro figlie sul loro posto di lavoro. Il richiamo al “Work day” è legittimo; nel 1992 negli Stati Uniti, Canada ed Australia istituirono il Take Your Daughter to Work Day per dare alle bambine (nel 2003 si estese anche ai bambini) l’opportunità di esplorare le carriere in un’età in cui si è meno condizionati dalla stereotipizzazione di genere. Una mente e un’anima in formazione sono libere da idee pre-concette. La polarizzazione di genere comporta alterazioni e forzature che inevitabilmente influiscono nelle scelte future sia a livello formativo-professionale che relazionale ed affettivo.

Hillman considera che il calo di iscrizioni maschili sia un problema serio da gestir e che sia necessario prevedere delle strategie di “reclutamento di genere”. Professioni come l’insegnamento e l’infermieristica, prevalentemente di preferenza femminile, influiscono sulle iscrizioni accademiche. “Quello che intendo è che abbiamo bisogno di ricordare che la trasformazione dell’insegnamento primario e dell’infermieristica in professioni che necessitano di una laurea ha comportato un drammatico impatto nella statistica dei dati. Non sarebbe onesto da parte nostra sottolineare il disimpegno accademico dei ragazzi senza menzionare la disparità a favore delle donne è notevolmente ampia” ha dichiarato Hillman ad Abbanews.

In effetti, insegnamento e infermieristica sono professioni “femminili”, ma quanto di queste scelte siano frutto di attitudini e aspirazioni personali e quanto la conseguenza, anche a livello inconscio, di quei diktat non scritti che riempiono gli ambienti socio-culturali in cui cresciamo? Non di rado, capita di incontrare uomini e donne costretti in lavoro non gratificanti il cui scambio di ruolo speculare avrebbe sicuramente giovato al loro benessere individuale, sociale e familiare.

Regno Unito. Il sesso debole avanzaDiritti e rovesci

Il rapporto ha suscitato un’ampia discussione in Gran Bretagna, generando opinioni discordanti, chi a favore, chi contro; così come deve essere la funzione di un think tank, dichiara Hillman. Il Vice Presidente della National Union Students ha evidenziato come il rapporto si focalizzi sulla questione di classe, anche se come ben ribadito da Hillman la vera linea di frontiera è l’ineguaglianza di genere, autentica criticità. I tre elementi che caratterizzano il soggetto più debole: poco abbiente, bianco, uomo hanno la loro importanza. Se ci si concentra solo sullo stato patrimoniale o sull’etnia e si ignora il genere, probabilmente il divario non si colmerà, asserisce Hillman.

L’altra questione controversa si riscontra nel suggerimento che più insegnanti maschi potrebbero contribuire ad attenuare gli scarsi risultati maschili, come se le insegnanti donne fossero la ragione dell’insuccesso dell’uomo. Hillman sottolinea che il rapporto “Boy to men” prende in considerazione diversi specifici progetti di ricerca in cui non testimoniano che un maggior numero di uomini insegnanti siano di maggior supporto al coinvolgimento dei ragazzi nello studio.

Lo accusano inoltre di insinuare una guerra tra sessi, così gli chiediamo in che modo pensa che una politica di orientamento di genere possa contribuire a bilanciare la situazione o se, al contrario, non contribuisca al rafforzamento della “professionalizzazione di genere”. Secondo Hillman, se si perseguisse una politica di orientamento “maschile” in modo ragionevole, non si genererebbe una polarizzazione nella scelta degli studi. L’obiettivo non è quello di potenziare corsi già maschili o femminili per “tradizione” , ma di rendere maggiormente attraente l’università per la categoria citata.

Un importante elemento che emerge dal rapporto come rileva il Prof. Les Ebdon, direttore di Fair Access to Higher Education (Giusto Accesso all’Istruzione Superiore) è il ruolo che svolgono le università nel rendere più flessibile il numero chiuso, così da accogliere studenti in cui credono senza restrizioni di accesso. Hillman, per esempio, propone di ampliare il numero di posti per le Scuole Mediche.

In occasione del recente Brexit, tra i dati di analisi, è emersa la scarsa partecipazione dei giovani al referendum. Alla luce del rapporto dell’HEPI sorge spontaneo chiederci se lo scarso coinvolgimento della categoria sociale analizzata abbia influito anche nella risposta debole alle questioni socio-politiche.

Rapporto “Boys to men”

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