Convivere con Mr Parkinson
Riuscire a vivere, o meglio convivere vicino ad un famigliare colpito dal Parkinson, ti rende talmente forte che quasi non ti riconosci più. Ti domandi dove ti proviene tanta forza, tanta voglia di resistere, giorno dopo giorno con questo fardello da sopportare ed ad ogni risveglio (quando si riesce a dormire anche solo due ore ) non sai mai che cosa succederà. In te c’è solo la speranza che non accada niente di nuovo perché devi essere sempre pronta ad avere il coraggio di guardare al presente e non avere paura di affrontare ogni imprevisto.
E così sovente riaffiora un ricordo, un’immagine viva che attraverso la memoria ti consente di rivedere la persona, che incontrata anni prima, ti aveva parlato e fatto conoscere questo morbo, questo mostro subdolo e tenace e che sai che prima o poi vincerà.
Negli anni ’70 si formò un gruppo di cantautori genovesi che arricchirono la musica leggera italiana di canzoni i cui testi ancor oggi si ascoltano volentieri e tra loro ci fu Bruno Lauzi che firmò inizialmente canzoni in dialetto come “U frigideiro” “Onda su Onda” “Genova per noi”, ma che collaborò con Mogol e Battisti in “E penso a te” “Amore caro, amore bello”. Scrisse per Mia Martini “Piccolo uomo” “Almeno tu nell’universo”, e tradusse molti successi stranieri.
Poi, come spesso accade, anche i più bravi vengono messi all’indice, e per Bruno Lauzi ci fu un lungo silenzio. E lui trovò un luogo o meglio una terra che placcò il suo animo, lo rese sereno e pago della vita. Si ritirò a Sestri Levante e continuò a lavorare più per sé che per gli altri.
Il cantore dell’anima incontra Mr Parkinson
Amava il mare, adorava parlare con le donne che sulla spiaggia al calar del sole erano ancora intente a giocare a carte. Attendeva il rientro delle lampare con il loro carico di pescato e con i pantaloni rivoltati quasi fino al ginocchio tirava quattro calci al pallone intrufolandosi tra i ragazzini, le cui partite sulla sabbia duravano fino a quando l’urlo di una mamma li sollecitava al rientro a casa perché era l’ora di fare i compiti.
Lo si incontrava in “carruggio” ove sostava ai “4 Canti” per gustare una buona fetta di focaccia all’olio, magari con aggiunta di cipolle od olive, oppure una profumata fetta di torta al formaggio. E spesso lo vedevi seduto dalla “Mainolla” a gustare un bel piatto di acciughe, appena pescate, accompagnato da un buon bicchiere di vino bianco.
Era amico di tutti, di pescatori, giornalai, droghieri e con tutti scambiava sempre quattro chiacchiere. Un giorno però il suo camminare divenne più accelerato, i suoi passi più corti, e sembrava avere sempre fretta. Raggiungeva il mare percorrendo il viale alberato che lo portava al bar Tritone, un caffè e via come spinto dal vento. Se qualcuno lo fermava e gli chiedeva: “Come va?” Lui allungava il braccio ed ondeggiava la mano a destra a sinistra, come per dire: così, così. Il Parkinson divenne suo compagno e con lui divise giorni, mesi ed anni.
Lo incontrai nel 2003 quando scelse di diventare testimonial di questa malattia e scrisse, con tutta la sua ironia, il libro Mister Parkinson e nel ricollegarsi alle sue canzoni “Brezze“ “Tramontana” e “Corsari” descrisse così questa terra che lo ospitò con tanta simpatia.
“Sono passati vari anni ed ora come allora sono incantato davanti al mare che anche oggi ha la pelle di luce e guardandone l’incantevole panorama vi leggo un monito. Io sono qui, immobile e sostanzialmente immutabile e qui sarò quando voi non sarete più. Noi siamo la somma di tutto quello che abbiamo fatto, siamo ogni persona che l’esistenza stessa ha costruito, siamo e saremo tutto ciò che avverrà domani perché quel che è successo non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti.” Poesia, tanta, forte, un poco triste ma sostanzialmente vera.
Chiudo gli occhi, rivedo quella riccia criniera di capelli bianchi, quelle dita tremule che ancora cercano le corde di una chitarra, quella voce che pian piano diventa sempre più flebile. Dico addio a Lauzi e vedo chiaro e senza veli la mia attuale vita riflessa in uno specchio.
In un angolo una sedia a rotelle, una sdraio con ciambella di gomma, un letto corredato di molti cuscini, ed io che legata a doppio filo con il mio malato di Parkinson cerco di far finta di vivere una vita normale ma che normale non è. Forse il domani mi regalerà ancora quel coraggio necessario per andare avanti, e so che devo coltivare i bei ricordi del passato perché almeno quelli la malattia non potrà portameli via e perché così facendo spero di non aver vissuto solo prima e perché non voglio ci sia il buio ad ogni mio risveglio.