4 giugno 1989. Da Varsavia a Pechino, la storia in un giorno
Il 4 giugno, data fatidica per la storia europea del Novecento. Il 4 giugno 1989 in Polonia i cittadini tornavano alle urne per le elezioni politiche, le prime da quando nel Paese era iniziata la dominazione del comunismo dell’URSS, nel 1945. Furono elezioni semilibere quelle di 30 anni fa, si votava per i 100 seggi del Senato, mentre per la camera bassa il 65% degli scranni era già riservato al Partito operaio unificato polacco (sigla in polacco, Pzpr), il partito filo governativo formatosi nel 1947 e ai partiti ad esso congiunti. Questa votazione parzialmente democratica era il frutto dell’accordo avvenuto tra il Pzpr e l’opposizione formatasi intorno a Solidarnosc, il sindacato fondato nel 1980, a seguito degli scioperi nei cantieri navali di Danzica, guidato da Lech Walesa e, inizialmente, fortemente osteggiato dal Governo centrale ma, altrettanto fortemente, sostenuto dalla Chiesa Cattolica. L’ accordo comprendeva la legalizzazione delle attività sindacali indipendenti, le elezioni presidenziali e quelle parlamentari. I comunisti, accettando le elezioni parzialmente libere e condividendo i punti dell’accordo, pensavano di mantenere il potere politico. Invece i risultati decretarono la vittoria schiacciante di Solidarnosc che, più che riformare. cambiò radicalmente il sistema del Paese. Tale vittoria innescò nell’Europa Orientale la sequenza di rivoluzioni pacifiche contro il comunismo, la cui fine venne definitivamente decretata il 9 novembre 1989, quando fu abbattuto il Muro di Berlino, che dal 1949 divideva non solo la città ma la Germania in Repubblica Federale Tedesca (RFT) alleata con l’occidente e la filo sovietica Repubblica Democratica Tedesca (RDT).
Mentre in Polonia si votava a Pechino i carri armati dell’Esercito di Liberazione Popolare uccidevano centinaia (per alcuni migliaia) dimostranti che dal 15 aprile erano in manifestazione permanente a Piazza Tienanmem. Nei giorni seguenti all’inizio della protesa furono raggiunti dagli studenti di 40 università ai quali si unirono intellettuali, operai ma anche funzionari pubblici. Volevano la democrazia. Ma il Partito Comunista Cinese rispose con la violenza: il 20 maggio impose a Pechino la legge marziale e inviò le truppe corazzate per disperdere i manifestanti. In un primo momento la grande folla presente nella piazza fece desistere le autorità dell’intervento armato, che avvenne, poi, nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 per ordine di Deng Xiaoping, all’epoca capo della Commissione militare e uno dei maggiori leader cinesi. Fu un massacro: le cifre ufficiali dichiararono 319 vittime; secondo la Croce Rossa, le organizzazioni internazionali e i testimoni furono migliaia: ancora oggi non si conosce il numero esatto.
Il simbolo della protesta di Piazza di Tienanmen rimane l’indimenticabile fotografia dell’uomo che, completamente disarmato, si para davanti alla fila di carri armati. Di questo eroe non si è mai conosciuta l’identità né il suo destino dopo il coraggioso gesto, ma è comunque un personaggio storico famoso come il Rivoltoso sconosciuto.
Mentre in Europa iniziava una vera e lunga primavera democratica, in Cina le speranze di libertà si spezzavano nel sangue. Ancora oggi il grande Paese Asiatico non commemora i morti di Piazza Tienanmen. Solo una dichiarazione, in occasione del trentennale del massacro: quella del ministro della Difesa, Wei Fenghe, il quale ha espresso approvazione rispetto alla decisione di sparare sulla folla di manifestanti inerme. “I 30 anni appena trascorsi – ha detto il ministro cinese – hanno dimostrato che la Cina ha subito importanti cambiamenti e grazie all’azione del governo di quel momento il Paese ha goduto di stabilità e sviluppo”.
Fotografie dall’alto: 1)Polonia, Lech Walesa nel corso di un comizio; 2)Pechino, il Rivoltoso sconosciuto