I Giusti. Ciò che non è dato ai vivi spetta ai morti

“Nel Talmud si narra dei Chasidei Umot Ha-Olam, i Giusti tra le nazioni: in qualche momento della Storia, si afferma, ne esistono al mondo almeno trentasei. Nel 1940, due di loro si trovavano a Kaunas…”. Inizia così il libro I Giusti, scritto dall’olandese Jan Brokken (ed. Iperborea), il quale attraverso una minuziosa ricerca ricostruisce la storia di Jan Zwartendijk e Chiune Sugihara, due consoli che in poco più di un mese hanno salvato la vita a migliaia di ebrei.

L’antefatto

Ci troviamo a Kaunas, capitale della Lituania nell’estate del 1940. L’Europa è travolta dalla Seconda Guerra Mondiale e impera il nazional socialismo hitleriano.

Il piccolo stato balcanico è ancora indipendente ma presto sarà conteso tra le due potenze Germania e Unione Sovietica (Russia sovietica) ancora unite dal patto di reciproca non aggressione Molotov-Ribbentrop del 1939 (con annesso il Protocollo segreto che stabilisce anche le espansioni territoriali di ciascuna: ai tedeschi la Polonia, ai russi il Paesi Baltici e la Bessarabia).

Lo sconvolgimento bellico europeo iniziato il 1° settembre dello stesso anno – con l’invasione tedesca della Polonia – porta gli ebrei cecoslovacchi e polacchi a cercare rifugio proprio in Lituania, forti del patto di non aggressione e dove effettivamente vengono accolti.

Jan Zwartendijk

Jan Zwartendijk, nato a Rotterdam nel 1896, vive a Kaunus con la famiglia per lavoro; è direttore della filiale della Philips lituana; per la difficoltà nel pronunciare il suo cognome lo chiamano Mr Radio Philips.

In un caldo pomeriggio di quell’estate del 1940 riceve la telefonata dell’ambasciatore olandese a Riga (Lettonia), LPJ De Dekker, che gli propone di rappresentare il proprio Paese in qualità di Console. L’attuale in carica, il tedesco Tillmanns, dichiaratamente filo nazista, ha tolto tutti dall’imbarazzo dando le dimissioni. Zwartendijk accetta. Sarà console in pectore in attesa della nomina ufficiale da parte della Monarchia olandese, in esilio in Gran Bretagna con il governo e parte delle forze militari, dopo che la Germania, il 10 maggio, ha invaso i Paesi Bassi, violandone la dichiarata neutralità.

 I profughi e le menti lungimiranti

A Kaunas si aspetta da un momento all’altro l’arrivo dei carri armati russi. Molti sanno – o intuiscono – il Protocollo segreto. Sanno che la Lituania perderà la sua indipendenza (così gli altri Paesi Baltici, l’Estonia e gran parte della Lettonia), come avverrà e  sarà arrestata e deportata in Siberia tutta “la classe pensante”, dalle maestre d’asilo ai docenti universitari, dai giornalisti agli scrittori, dagli avvocati ai giudici” e saranno chiuse, seduta stante, le istituzioni religiose: chiese, conventi, yeshivah, sinagoghe. Il console statunitense nordamericano annoterà il 25 luglio 1940 sul suo diario “sembra essere calato su questo paese un drappo funebre”.

I russi sovietici entrano a Kaunas il 15 giugno. Non cercano gli ebrei. Ma menti lungimiranti esortano questi ultimi a lasciare la Lituania: sono conviti che nel giro di “mesi non di anni, i tedeschi manderanno all’aria il patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione e invaderanno i Paesi Baltici. “I fatti – scrive Brokkn – gli avrebbe dato ragione”.

L’idea di De Decker

Zwartendijk, nel frattempo, ha organizzato il Consolato olandese nella stessa sede della Philips, e lì si recano Peppy Sternheim Levin e Nathan Gutwirth, i primi 2 profughi olandesi che richiedono un visto per lasciare la Lituania. Zwartendijk gli dice di rivolgersi all’inviato De Decker, il quale li rimanda a Zwartendijk ma con un suggerimento della stessa Peppy Levin: dirigerli verso l’isola di Curaçao, nelle Antille Olandesi, accessibile, come tutti i territori olandesi del Nord e Sud America incluso il Suriname, con il solo permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

Non era esattamente così e De Decker lo sapeva, ma, scrive Brokken “l’ambasciatore voleva dare un minimo di speranza ai profughi ebrei. Forse pensava: se riescono ad andarsene dall’Europa, avranno almeno una speranza per sopravvivere”. L’11 luglio 1940 l’ambasciatore scrive sul passaporto di Peggy S. Levin: “Il Consolato dei Paesi Bassi a Riga dichiara che non è necessario un visto per l’accesso al Suriname, a Curaçao e agli altri territori olandesi nel Nord e Sud America”.

Quando Peggy S. Levin torna dal console Zwartendijk è convinta di aver trovato la “parola magica, Curaçao, che avrebbe garantito una fuga sicura e chiede al console di riportare il testo scritto da De Dekker sul leidimas del marito. Il leidimas era il documento di viaggio che la Lituania aveva istituito per i profughi polacchi.

Zwartendijk acconsente riportando il testo in francese (lingua diplomatica), sostituendo Riga con Kaunas e Nord e Sud America con Americhe; segue il timbro, la data di rilascio e la firma (console dei Paesi Bassi a.i.). Il timbro non sarebbe necessario, lo stesso contenuto del testo lo rende superfluo ma, scrive Brokken, il timbro del Consolato “lo faceva sembrare un vero documento di viaggio”. Seguirà il documento di viaggio di Nathan Gutwirth, per emettere il quale Zwartendijk chiede l’autorizzazione di De Dekker; sarà l’ultima volta poi procederà spedito da solo.

Chiune Sugihara

Ma come raggiungere Curaçao dalla Lituania, con la Germania che ha bloccato l’intera costa del Mar Baltico? L’unica alternativa è attraversare la Russia a bordo della Transiberiana (con l’approvazione del NKVD, la polizia segreta sovietica), fino a Vladivostok (ultima fermata), poi con un traghetto per Tsuruga in Giappone e da lì sperare di raggiungere la Nuova Zelanda, l’Australia o gli Stati Uniti. Dunque, serve, con pari urgenza, l’autorizzazione per entrare in Giappone.

E qui che subentra Chiune Sugihara, classe 1900, console del Giappone a Kaunas, il quale, quando gli viene richiesto da Peggy S. Levin – soddisfatto del testo in francese scritto da Zwartendijk  corrispondente “alle norme consolari internazionali” e giacché la destinazione di viaggio è Curaçao e il Giappone è soltanto una tappa – ha l’autorità di rilasciare “un visto di transito”. Il Paese nipponico nell’estate del 1940 è ancora neutrale; entrerà in guerra l’anno successivo accanto alla Germania e all’Italia, formando Le grandi potenze dell’Asse.

Il visto per Curaçao

La voce di quello che chiamano il visto per Curaçao (anche se non lo è) si diffonde presto e in men che non si dica sono chilometriche le file che si formano davanti alla sede Philips-Consolato Olandese prima e al Consolato giapponese poi, per richiederlo, con gli instancabile Zwartendijk e Sugihara che scrivono e timbrano senza sosta.

Senza incontrarsi mai 

I 2 consoli non s’incontrarono mai e “nemmeno presero accordi o stabilirono procedure da seguire. Si parlarono soltanto per telefono – ricorda Edith, figlia di Zwartendijk -.Ma si capivano, la pensavano allo stesso modo. Quando Sugihara vedeva il visto di Curaçao’concesso da mio padre vi aggiungeva a lato il visto di transito per il Giappone: aveva compreso immediatamente come stavano le cose ed era disposto a correre i suoi rischi. Si lamentava soltanto per i crampi alla mano. Per ogni visto Sugihara doveva stilare 6 colonne di carattere giapponesi con un pennino o un pennello. Quasi non mangiava più, saltava i pasti, rimaneva alla scrivania dalle 18 alle 20 ore al giorno”.

D’altronde senza il permesso di transito per il Giappone il visto di Curaçao sarebbe stato inutile.

Un futuro agro – dolce 

Avevano messo in piedi un’autentica operazione di salvataggio, che, dicevamo, durò poco più di un mese, poi i consolati furono chiusi. I protagonisti di questa storia da De Dekker che l’aveva avviata, intuendo che  facilitava la fuga per molti ebrei, si resero conto dell’entità della loro impresa soltanto alla fine della guerra.

Difficile dire quanti ebrei salvarono, perché ogni autorizzazione di viaggio e di transito era valido per tutto il gruppo familiare: un articolo del giornale The Jerusalem Post, del 2011, parla di 6mila ebrei.

Eppure subito dopo la guerra, i 2 consoli Zwartendijk e Sugihara subirono ingiustizie e umiliazioni.

Appena in tempo

Zwartendijk ebbe una reprimenda dal Governo olandese per non aver rispettato le regole, ma continuò a lavorare per la Philips fino al pensionamento. Sugihara, invece, diplomatico di carriera, dopo la reprimenda fu costretto alle dimissioni e finì col guadagnarsi da vivere, vendendo lampadine porta a porta ma ebbe una vita sufficientemente lunga per assistere alla sua riabilitazione, fino all’inserimento del suo nome nel Giardino dei Giusti di Yad Vashem  in Israele (primo e unico giapponese), nel 1985: morì nel luglio del 1986.

Il ricorso

Non andò così per Zwartendijk che morì nel 1978, con il rammarico di non sapere quale era stato il destino di tutte quelle persone alla quali aveva dato il visto e soltanto nel 1998, dopo il ricorso del figlio, fu riconosciuto Giusto tra le nazioni.

In prima istanza lo Yed Vashem asserì che l’ operazione di salvataggio era avvenuta prima dell’occupazione nazista in Lituania, per cui Zwartendijk non aveva corso “grandi rischi”, tralasciando che il console olandese in pectore, aveva iniziato a concedere i visti quando il suo Paese era già sotto il controllo del nazisti, ed è in Olanda che fece ritorno nel 1940, quando venne chiuso il consolato a Kaunas. Dunque la sua vita e quella della sua famiglia era stata in pericolo, sia in Lituania sia in patria.

Il libro

Ne I Giusti, Jan Brokken, pur concentrando la sua attenzione sui consoli  e sul fatidico mese, segue le vicissitudini dei tanti profughi di cui ha trovato documentazione in anni di ricerca: del loro viaggio di fuga e della loro esistenza prima e dopo il visto di Curaçao, del contesto complicatissimo in cui si muovono.

L’autore ci consegna un’ampi escursione storica (con tanto di immagini d’epoca) nel tempo e nei tanti luoghi del mondo, raccontata con il rigore del documentarista e la fluidità del narratore capace, cui ogni parola vibra nell’intenzione di restituire alle vicende dei singoli e alla Storia, il valore che meritano. “Ciò che non è dato ai vivi spetta ai morti”, scrive nel 47° e ultimo capitolo della sua opera.

 

 

 

 

Immagini: Lituania 1940 – 1) Jan Zwartendijk, console ad interim olandese ; 2) Chiune Sugihara, console giapponese; 3) passaporto di Isaac Levin, visibile nella parte destra le autorizzazioni autografe dei 2 consoli; 4) copertina del libro ‘I Giusti’ dello scrittore, Jan Brokken

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