Intelligenza Artificiale, opportunità o minaccia? E solo questione di etica

“Molte persone famose, come Stephen Hawking o Bill Gates, hanno speculato o speculano sui rischi dell’intelligenza artificiale, imputandole il pericolo di diventare più intelligente dell’essere umano, il quale potrebbe perderne il controllo. Ma questa è fantascienza. Siamo molto lontani da un intelligenza artificiale paragonabile a quella umana. Non sappiamo nenache come  crearla”.

A smentire addirittura l‘astrofisico Hawking (d’altronde non era la sua materia di studio) è Shannon Vallor (nella foto a lato), docente di Filosofia della Tecnologia alla Santa Clara University (California) e presidente della Society for Philosophy and Technology. In un’intervista rilasciata a eldiario.es, pubblicata l’11 agosto 2018, l’esperta statunitense cerca di fugare le paure più comuni e diffuse che si coltivano nei confronti della robotizzazione.

Le domande puntuali del giornalista Aldo Mas portano Shannon Vallor ha compiere un excursus sullo stato dell’arte dei progressi tecnologici e sulle conseguenze dell’impatto che la robotica avrà sul mondo del lavoro, partendo da un presupposto: “Non bisogna avere paura dei robot, ma degli uomini se non rispetteranno l’etica e useranno la tecnologia in modo distruttivo”.

Basta riformare il sistema economico

L’automazione non rappresenta realmente una minaccia per il mondo del lavoro umano, sostiene Shannon Vallor, piuttosto si configura come un’opportunità sempre che sia posta “al servizio dei lavoratori”.  Per centrare tale obiettivo urgono riforme del sistema economico atte a regolare la “convivenza tra il robot e gli impiegati del futuro e, al tempo stesso, che sappiano esortare le aziende a sviluppare prodotti e applicazioni tecnologiche compatibili con gli interessi degli umani”.

Già oggi l’opinione pubblica, in mancanza di un’informazione adeguata, crede che i robot svolgeranno tutti i lavori realizzati dagli umani e nasce la paura per il futuro. E forse l’asticella dell’etica è già stata superata perché il vero problema, secondo la professoressa statunitense, e l’uso che si fa di questa paura.

L’automatizzazione? Più lontana di quanto si pensi e può essere controllata

Ci sono, certo, concrete probabilità che la robotizzazione si sviluppi fino a automatizzare alcuni settori dell’economia e alcune categorie di posti di lavoro saranno in pericolo. Ma non è realistico credere che ciò avverrà nelle prossime 2 decadi. Ci vorranno, probabilmente, ancora molti anni.
I progressi della robotica e dell’intelligenza artificiale “sono reali e impressionanti, ma non stanno avvenendo così velocemente come molti credono. Ci sono molti limiti nell’assegnare compiti a quelle macchine e determinare cosa sono in grado di fare”.

Il punto su cui insiste la professoressa Vallor, perché risulti chiaro a tutti, è che la vera minaccia per i lavoratori non è la tecnologia in sé, ma i poteri economici e chi realmente controlla il modo in cui tale tecnologia si usa.
“I robot e l’intelligenza artificiale possono migliorare le condizioni di lavoro, evitando all’uomo di svolgere le mansioni più pericolose e degradanti” prosegue Vallor “I robot sono lì per rendere il lavoro umano più sicuro e stimolante e far sentire i lavoratori più realizzati: un’ opportunità che però fallirà se il sistema economico punterà solo a massimizzare i benefici e l’efficienza. Sono gli interessi economici ad andare contro le persone”.

Guardare al passato

Il problema, dunque, risiede principalmente nella storica sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Ma per contrastarla non è necessario cambiare integralmente il sistema, ma riformare la parti dello stesso che non funzionano.  Quello di cui abbiamo bisogno, suggerisce Vallor è “il cambio sistematico dell’economia moderna”.

“Il sistema attuale è talmente brutale che sembra impossibile da modificare” continua l’esperta statunitense “e invece basta guardare al capitalismo di pochi decenni fa, di come ha saputo promuovere gli interessi dei lavoratori, quando gli abusi sono stati sconfitti dai criteri di protezione. Alcuni Paesi nel mondo ne sono ancora un esempio”.

La reputazione compromessa della aziende tecnologiche apre a nuovi spiragli etici

Inoltre in questo momento, riferisce Shannon Vallor, molte aziende tecnologiche “hanno la reputazione compromessa e stanno lavorando per recuperare la fiducia del pubblico nei confronti del loro brand e del loro settore tecnologico. E lo fanno concentrandosi sulla progettazione di processi e applicazioni più etici”.

In queste aziende prende spazio il concetto etico che gli umani devono essere supportati e non sostituiti dai dispositivi d’Intelligenza artificiale. Ma ancora non è chiaro ammette la Vallor “se è questo il sistema che  trionferà: se tutte le aziende lo adotteranno: come non è ancora chiaro se il lavoratore assistito dalla tecnologia manterrà lo stipendio integro o  se i datori di lavoro cederanno alla tentazione di licenziare i lavoratori a favore dei robot”.

Le implicazioni politiche e le differenze da Paese a Paese

Al problema più robot e meno umani si sommano i problemi dell’immigrazione economica e la spinta delle persone, impaurite a dismisura da un futuro pieno di incognite, verso i partiti populisti. Un esempio è il porto di Rotterdam, a elevata robotizzazione, i cui sindacati hanno indicato ai propri iscritti di votare per il Partito della Libertà del populista di ultra-destra, Geert Wilders (fonte: Bloomberg).

Shannon Vallor è in contatto costante con molte accademie dei Paesi Bassi,  che stanno concentrando i loro studi sulle implicazioni sociali derivanti dalla robotizzazione e dall’intelligenza artificiale. L’Olanda è un Paese   molto favorevole all’introduzione della tecnologia avanzata ad alta concentrazione di università e accademia del settore, ma non rappresenta un modello in sé.

Anche su questo punto è importante marcare le differenze, perché “ogni Paese reagisce a modo suo, posto che il processo di robotizzazione dipende da molti fattori: in primis la sua situazione economica e  il livello di disoccupazione del Paese”.    In Giappone ad esempio la robotizzazione è “la benvenuta” perchè non ha sufficiente manodopera umana: la popolazione invecchia e i migranti, per una specifica politica,  sono pochi”.

Il ruolo fondamentale del consumatore

I luoghi di lavoro dove l’automazione può prendere piede sono le fabbriche, la vendita e i call center. Ma anche queste informazioni non sono sufficienti, secondo,  Shannon Vallor, per valutare l’impatto futuro dell’automazione, perché molto dipende dalla cultura del consumatore.

“Ancora non conosciamo” precisa la professoressa statunitense “qual è la richiesta delle persone, se desiderano interagire con un robot; spesso il consumatore non sa che si sta relazionando con un  robot (per esempio nei call center), se lo sapesse sceglierebbe d’interagire con un uomo o con una macchina? Nei ristoranti preferisce essere servito da un robot o prova frustrazione dallo stesso  per i limiti della tecnologia? La reazione dei consumatori può rallentare il processo di automazione”.

“Essere capaci di costruire una macchina che lavora – conclude Shannon Vallor – non significa saper costruire un robot che sappia lavorare e che sia quindi un vantaggio produttivo”.

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