Libertà di stampa. I giornalisti uccisi nella prima metà del 2019
Il Messico e l’Afghanistan continuano ad essere i Paesi più pericolosi per quei giornalisti che svolgono la loro professione in nome della libertà di parola e d’informazione.
Il triste primato di entrambi registrato nel 2018, prosegue nell’anno in corso. Secondo il Rapporto dell’Ong The Press Emblem Campaign (PEC) nei primi 6 mesi del 2019 in Messico sono stati uccisi 9 giornalisti, 6 in Afghanistan: complessivamente un terzo dei 38 giornalisti assassinati in 20 Paesi del mondo in questa prima metà dell’anno, un numero che rappresenta, comunque, un calo del 42% rispetto allo stesso periodo del 2018.
Le bande criminali in Messico e i gruppi terroristi in Afghanistan – unite all’assenza pressoché totale delle autorità nel perseguire i colpevoli dei crimini – sono le cause principali degli attentati mortali ai reporter.
Nella classifica PEC, segue il Pakistan con 4 vittime, e il Brasile e la Colombia dove ne sono stati uccisi 2 in ciascun Paese.
Il Centro e Sud America sono le zone geografiche del mondo dove si sono registrate più vittime: complessivamente 15 giornalisti: alle già citate vittime in Messico, Brasile e Columbia vanno aggiunte le 2 morti avvenute in Honduras e ad Haiti. Migliora invece la situazione nel Medio Oriente, zona più sicura per la diminuzione della densità dei conflitti in Iraq e in Siria.
Blaise Lempen, segretario generale dell’organizzazione PEC ha lanciato un forte appello alla comunità internazionale perché introduca un meccanismo legislativo indipendente che tuteli la comunità dei giornalisti e che sia in grado di contrastare l’impunità nei Paesi in cui le istituzioni nazionali non sono efficienti e/o sufficienti per prevenire, proteggere e svolgere, nei casi di attentati, indagini adeguate e tempestive per l’eventuale perseguimento penale.