2 aprile. Lo stato dell’arte dei diritti degli autistici in Italia
Il 2 aprile è la Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, istituita nel 2007 dalle Nazioni Unite per promuovere l’inclusione, l’uguaglianza e l’equità delle persone nella condizione dello spettro autistico: per garantire loro la piena partecipazione alla vita della propria comunità, assicurandogli gli strumenti necessari per esercitare i loro diritti e le loro libertà fondamentali. Un impegno preso dagli Stati membri e riconfermato nel 2015 quando i leader mondiali hanno adottato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, inclusivo e accessibile che promette di non lasciare “nessuno indietro”.
In questo contesto, rimarca l’Onu nel 2019, la partecipazione delle persone con autismo è essenziale per la realizzazione degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDG).
E in Italia, Paese Onu, cosa si fa per i diritti delle persone autistiche?
Nella Penisola i pazienti con disturbo dello spettro autistico hanno accesso ai servizi sanitari pubblici previsti per le persone disabili (vedi la psicomotricità, la musicoterapia o la logopedia) senza tenere conto delle specificità del disturbo. E, questo, nonostante che nel 2012 le linee guida per il trattamento dell’autismo hanno affermato che “il soggetto autistico necessita di un’assistenza precoce e intensiva, che segua il modello cognitivo – comportamentale” che richiede 3 ore di attività giornaliera” e per tutta la vita (non le 3 ore a settimana come previsto finora). Ma. soprattutto, nonostante la legge 134/2015 , che ha portato all’inserimento dei servizi appropriati (diagnosi precoce e cure personalizzate) e non generici nei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) nel 2016 (in vigore dal 2017).
Da allora un passo in avanti è stato compiuto nel maggio 2018, quando un’apposita commissione ha redatto il documento approvato dalla Conferenza Unificata (Stato, Regioni ed Enti locali) che permette quanto disposto dai nuovi Lea. Da quel momento ogni Regione aveva a disposizione 6 mesi di tempo, per adottare il Documento unificato e ridisegnare le linee guida per l’assistenza nel proprio territorio. Saremmo, quindi, giunti all’approdo finale, se non fosse che ogni Regione per riorganizzare i propri servizi impiegherà non meno di 2 anni.
Almeno questo sostiene Giovanni Marino, fondatore della Fia (Fondazione Italiana Autismo), in un’intervista rilasciata al giornale on line sanitàinformazione.it, secondo il quale, una volta terminata l’organizzazione, ogni territorio si troverà di fronte al problema delle risorse, perché l’assistenza specifica costa “circa mezzo miliardo in più all’anno rispetto” all’attuale assistenza generica. Ma soltanto quando l’iter avviato dai nuovi Lea sarà completato e “la macchina sarà pienamente operativa – afferma Marino – gli autistici avranno acquisito realmente i loro diritti di cura”.
Cosa succede nel frattempo alle persone con il disturbo dello spettro autistico e alle loro famiglie? La risposta più esemplificativa la troviamo nelle cronache calabresi degli ultimi mesi.
Gennaio 2019 – Cosenza – Francesca Lagatta nel blog La Lince, racconta la storia di Nicola (nome di fantasia), bambino autistico a bassa funzionalità che vive nel cosentino, al quale viene negata sia l’assistenza domiciliare sia quella scolastica. Di più, la sua famiglia ha dovuto cambiare casa “perché i vicini della vecchia abitazione si erano lamentati per le continue urla del bambino”. Affetto da una forma grave, Nicola non parla, tantomeno sa piangere: non comunica, si lamenta o urla. Nella casa dove abita, i genitori hanno preferito mettere il mobilio indispensabile per evitare che il bambino si faccia male; per lo stesso motivo hanno sigillato le finestre. A scuola non va meglio: l’insegnante di sostegno “non ha qualifiche particolari e quando è assente non viene sostituita”. Alla richiesta “dell’assistenza scolastica educativa”, come la legge imporrebbe, il dirigente scolastico ha risposto “che non ha fondi”. La stessa risposta la mamma l’ha ricevuta dal Comune, quando ha chiesto l’assistenza domiciliare.
Né potrà ricorrere a strutture specifiche in grado di garantire le terapie ABA (che potrebbero ridurre le disfunzione di Nicola), semplicemente perché non esistono.
Febbraio 2019 – Reggio Calabria – Angela Villani è la mamma di un bambino di 5 anni, affetto dal disturbo dello spettro autistico; ha fondato l’associazione Il volo delle farfalle – Evoluzione autismo, con la quale chiede alle istituzioni territoriali i servizi idonei per la riabilitazione per il figlio e per tutti i piccoli nella condizione autistica.
Ma le Aziende pubbliche di servizi (Aps) della Regione, dicevamo, non hanno centri specializzati: soltanto nel settembre 2018 a Reggio Calabria è stato decisa la realizzazione di un polo di eccellenza, che è da là da venire. Nel frattempo le famiglie sono costrette a provvedere con le proprie risorse (chi le ha) alle costosissime cure. Per questo Angela Villani ha fatto ricorso al Tribunale di Reggio Calabria affinché l’ASP locale provveda alle terapie con il metodo ABA (dall’inglese Applied Behavior Analysis – dimostratosi efficace per la riduzione della disfunzionalità, aumentando le capacità di comunicazione, apprendimento e comportamentali). A febbraio 2019 il tribunale le ha dato ragione: nella sentenza, la prima in tutta la provincia di Reggio Calabria, ha condannato l’Asp a farsi carico delle spese per le cure previste presso un centro proprio o pagando l’eventuale ente privato sino al 12 ° anno di età di Matteo. Una vittoria per tutti i bambini nelle stesse condizioni. Ma ora Angela teme che l’ordinanza del giudice non venga applicata in tempi brevi e che il piccolo Matteo sia costretto a interrompere il percorso terapeutico, pregiudicando i progressi ottenuti.
Marzo 2019 – Il Consiglio di Stato, con decreto monocratico presidenziale, accogliendo un ricorso, ha disposto che venga “urgentemente assegnato in deroga, per il massimo delle ore consentite per finalità di sostegno […] un assistente educativo e culturale […] così come richiesto nell’esibita certificazione, al fine di garantire all’alunno con disabilità il diritto allo studio e alla partecipazione a tutte le attività scolastiche”.
Anche in Italia, come nel resto del mondo, i casi di autismo sono in aumento. In assenza di dati epidemiologici completi a livello nazionale, le stime si basano sull’esame delle certificazioni scolastiche.
Antonio Persico, neuropsichiatra infantile e professore ordinario dell’Università di Messina, asserisce che per ogni 75/80 nascite, un bambino è affetto da autismo. Quel che è certo, afferma il professore, è che ormai si tratta di una “condizione frequente”. I motivi dell’incremento sono, solo in parte, dovuti a una maggiore capacità diagnostica: “i restanti 2/3 corrispondono a una crescita reale della sindrome”. E avendo “un’influenza importante sulla qualità della vita del bambino che poi diventa adulto e delle famiglie – conclude Persico – impone una grande attenzione sociosanitaria”.
Un’attenzione che, in attesa che le strutture pubbliche si adeguino, si basa sugli sforzi delle tante associazioni e delle iniziative dei genitori; in Italia, anche per affermare i diritti degli autistici, si procede a colpi di sentenze.