Il DNA antico sfida le interpretazioni tradizionali dei calchi di Pompei

I calchi – È noto come l’improvvisa eruzione del Vesuvio nel 79 d.C – una delle maggiori del vulcano campano – seppellì la citta di Pompei ed Ercolano e i loro abitanti.

L’eruzione ebbe una prima fase eruttiva la cui pioggia violenta di lapilli e pomici formò un deposito alto circa tre metri che intrappolò le persone, mentre molte perirono per i crolli provocati dal peso del materiale eruttivo.

Quelli che si salvarono da questa prima fase e tentarono di scappare, furono colti dai flussi piroclastici  ad alta temperatura che invasero Pompei a grande velocità,  uccidendoli all’istante per shock termico,  ma inglobandone i corpi e proteggendone le sembianze.

Nel corso degli scavi di Pompei, riportata alla luce nel 1748, sono stati ritrovati i resti di oltre mille vittime.

Breve storia dei calchi

Con un centinaio dei resti di queste vittime,  a partire dal 1863 sono stati realizzati dei calchi di gesso, seguendo dapprima il metodo dell’archeologo  Giuseppe Fiorelli (Napoli, 1823 – 1896), integrato nella seconda metà del Novecento con la tecnica della fusione a cera della statuaria in bronzo, che permette un calco trasparente che rende visibile lo scheletro e individuarne  gli eventuali oggetti che le vittima aveva con sé al momento della fuga.

Il DNA sfida le supposizioni e scrive la storia

Ma non solo. È di questi giorni la pubblicazione sulla rivista specializzata Current Biology  dello studio compiuto sull’antico DNA estratto dai resti ossei di alcuni calchi, dall’Università di Firenze, Università di Harvard e dal Max Planck Institute di Lipsia, su richiesta del Parco Archeologico di Pompei.

Il DNA antico sfida le interpretazioni prevalenti dei calchi in gesso di Pompei (Ancient DNA challenges prevailing interpretations of the Pompeii plaster casts), recita il titolo dell’indagine che rivela, infatti, come l’attribuzione dei sessi e delle relazioni familiari degli individui presi in esame “non corrispondono alle interpretazioni tradizionali – riporta lo studio a prima firma Elena Pilli –  esemplificando come le ipotesi moderne sui comportamenti di genere potrebbero non essere lenti affidabili attraverso cui visualizzare i dati del passato”.

“Ad esempio, un adulto che indossa un braccialetto d’oro con un bambino in grembo, spesso interpretato come madre e figlio, è geneticamente un maschio adulto biologicamente non imparentato con il bambino – riporta l’abstract -. Allo stesso modo, una coppia di individui che si pensava fossero morti in un abbraccio, spesso interpretati come sorelle, includeva almeno un maschio genetico. Tutti i pompeiani con dati genomici derivano costantemente la loro discendenza in gran parte da immigrati recenti dal Mediterraneo orientale, come è stato anche visto nei genomi antichi contemporanei della città di Roma, sottolineando il cosmopolitismo dell’Impero romano in questo periodo”.

“I nostri risultati hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e la comprensione delle società antiche – ha dichiarato Alissa Mittnik, del Max Planck di Lipsia a unifimagazine.it -. Evidenziano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate basate su ipotesi moderne”.

Oltre ogni manipolazione dei calchi

“Inoltre – ha aggiunto l’antropologo David Caramelli dell’Università di Firenze – è possibile che lo sfruttamento dei calchi come veicoli per la narrazione abbia portato alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato. I dati genetici, insieme ad altri approcci bioarcheologici, offrono l’opportunità di approfondire la nostra comprensione delle vite e dei comportamenti delle persone che furono vittime dell’eruzione del Vesuvio”.

 

Immagine: Pompei, calchi n. 50 – 51 – 52 da Casa del Bracciale d’Oro – foto tratta da unifimagazine.it 

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