Alla ricerca dell’uomo di Java
L’archeologia italiana ritorna alle prime esplorazioni dell’800 con l’importante missione nel Borneo; area saliente sul piano ambientale ed etnico, fondamentale per la conoscenza del patrimonio archeologico dell’umanità, ma poco indagata.
La missione si svolge in uno delle aree più selvagge del mondo, e per questo gli archeologi si aspettano che abbia molto da raccontare sulla biodiversità e sull’archeologia, fino a testimoniare la presenza e la vita dell’uomo di Java (Homo Erectus) e dei primi insediamenti umani nella grotta.
Nell’area di Kalimantan, nel Borneo indonesiano, le ricerche si concentrano nella grotta di Batu Hapu, sito molto vasto, posto su più livelli e frequentato fin dalla preistoria.
La parte preliminare della missione è stata compiuta nell’estate del 2016; guidata dai professori Michele Raddi dell’Università Udayana di Bali (Indonesia) a capo dell’attività tecnica e del gruppo indonesiano, e Giuseppe Lembo (nella foto a lato) dell’Università di Ferrara, direttore scientifico della parte italiana della missione.
La spedizione è finanziata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con l’appoggio dell’Ambasciata d’Italia di Giacarta (Indonesia) e dall’Istituto di Cultura di Giacarta.
A ottobre 2017 parte la prima fase del progetto
A distanza di 1 anno parte la prima fase del progetto archeologico che vede, oltre agli attori già citati, la squadra di ricercatori di archeologia formata dal team internazionale composto dalle università nazionali Sapienza Università di Roma. l’Università di Ferrara e l’Associazione Culturale ArcheoIdea e dalle università di Udayana di Bali e l’Universitat Roviri et Vergili di Tarragona (Spagna).
A ottobre 2017 il corpo della ricerca italiano si unirà a quello diretto dal professor Raddi (nella foto a lato).
Nel corso della fase di avanscoperta, come ha spiegato il professor Raddi alla stampa italiana, sono emersi elementi archeologici che testimoniano “presenze preistoriche rilevanti, documentate da un’intensa attività ittica, con attività antropiche molto evidenti di epoca preistorica”. E questo nonostante lo stato di degrado del sito, adoperato nel passato come raccolta del guano degli uccelli per l’agricoltura, che ha inevitabilmente intaccato alcune pareti. Ma grazie alla grandezza del sito ci sono aree della grotta dove si “possono raccogliere e studiare reperti di carattere artistico come disegni e pitture”.
Da ottobre gli archeologi progettano di fare una “dettagliata mappatura” dei vari siti che circondano l’area della grotta e, successivamente, intervenire con le metodologie di ricerca e scavo archeologico”, conclude il professor Raddi.
Peculiarità del progetto, infine, lo scopo formativo: insegnare agli studenti locali le nuove metodologie di scavo, la sua corretta conduzione e l’importantissima attività di documentazione e catalogazione dei reperti.