Racconti da un gruppo di famiglia in un interno
Si è aperta una nuova epoca di Maria Diaco
Si è aperta una nuova epoca: un’era che potremmo definire di lumache e tartarughe in tutti fatalmente siamo legati alle nostre abitazioni. Paradosso di questi giorni vissuti all’insegna di un virus che, inarrestabile, ci getta in un’anomala lentezza e ci reclude fra le mura domestiche che spesso finiamo per odiare. Prigione che è comunque una fortuna, non dimentichiamolo!
Di sicuro la costrizione in casa rende le ore infinite, interminabili e per taluni aspetti addirittura terribili. Il disagio si annida in tutti quei divieti che minano anche la possibilità di fare una in-salubre passeggiata. Impensabile fino ad un mese fa.
Poveri genitori new age sovente dediti a gestire una meccanica diabolica in cui ogni ingranaggio sembrava irrinunciabile per sé e per la prole: scuola, sport, teatro, musica, catechismo, feste presso non luoghi, finemente predisposti alla sommersione ludica dei più piccoli. Tutto di corsa.
Un jogging opinabile su più fronti. Eppure la fretta futuristica arresta il passo e sembra mutilarsi per senso civico o per un semplice istinto di sopravvivenza. Si fa del passatismo, suggerirebbe Fiorello, mentre si accendono questioni epocali. Ad esempio, come vivere senza lo stress della nostra frenetica quotidianeità? La domanda resta aperta nonostante la creatività del buon popolo italico non manca come testimoniano gli appuntameti al balcone o i filamti sul web. Un fai da te talvolta geniale. Balconismo.
Esce, dunque, dal sommerso questa forza unificante che crea comunità, quella stessa che lo sfrenato liberismo sembrava aver abbattuto definitivamente. Dinnanzi allo sfrenato individualismo dei tempi che furono spuntano come germogli micro circoli della sopravvivenza. Basta seguire con attenzione le procedure e i protocolli che mirano a sanificare comportamenti e abitudini sul terreno impervio della malattia, fautrice di distanze solo in apparenza. Si scopre allora che il vecchio sistema, sfaldandosi, ci restituisce la priorità del nostro ruolo nella domus sia esso genitoriale, ziale, nonnale e amicale.
Lentamente si riscoprano antiche consuetudini: guardare film tutti insieme, condividendo pellicole che sono state sostanziali per la formazione dei più grandi. Viceversa fruire sul divano le serie suggerite dai più giovani. Un baratto fra vecchio e nuovo che rinsalda le generazioni e aiuta a conoscersi. Specchio dei tempi. Ancora, esercizi di lettura. Avete mai provato a leggere ad alta voce tutti insieme?
Dopo aver scelto il libro rispondente ai gusti di ognuno secondo la buona democrazia, procedete ad una interpretazione comune: una pagina a testa, oppure un capoverso o ancora un personaggio a testa. Ascoltare e comprendere insieme, attendere il proprio turno nel rispetto dell’altro, allenandosi al ritmo di tutti.
Inoltre, la lettura dei quotidiani può essere un imput per preparare una rassegna stampa, utile ad allenare la capacità di selezionare e scegliere. Aprire dibattiti, nuove agorà dentro le mura delle nostre domus. E le vecchie sfide a carte? Le competizioni da tavolo diventano giochi ermeneutici, palestre di comunità e scambio parimenti ai video giochi fruiti on line fra compagni di classi o fra gli amici delle vacanze.
Sicchè tutte le false teorie sulla famiglia tradizionale si frantumano come pezzi di vetro cosparso sul pavimento; sia nuovo o vecchio ogni nucleo familiare viene messo alla prova da un andamento lento e rivelatore della nostra storia. Non ci resta che r-esistere mentre questo evento spaesante ci getta nella radura, in un confine fra un prima e un dopo da vivere e sentire come se l’intimità domestica fosse l’unica formula possibile. Andrà tutto bene? Ci auguriamo di sì.
Quando ci sentiamo tutti italiani di Maria Teresa Sanguineti
È passato da poco il mezzogiorno di un venerdì silente, carico di paura, e vuoto di voglia di vivere. Ti accingi a pranzare, il desco è scarno perché l’appetito ti manca, l’ultimo rintocco della campana della chiesa vicina si perde nell’assoluto silenzio che c’è nell’aria. All’improvviso, in lontananza e quasi sottovoce si leva una musica, ti domandi da dove viene, ma non hai il tempo per darti una risposta.
È un coro dolce e bellissimo che mette a dura prova il tuo cuore e le tue gambe, e il Va pensiero del Nabucco in quel momento ti coglie impreparata, ti aggrappi alla ringhiera del terrazzo, guardi in alto, il cielo è lassù ed ascolta. Tremi come una foglia, piangi, vorresti applaudire ma non lo puoi fare perché rovineresti tutto.
Ed aspetti, le note volano, le voci sono chiare come è chiaro il giorno, e stai lì, immobile fino a quando tutto finisce. Solo allora ti accorgi che poche finestre si sono aperte e il groppo in gola di impedisce di urlare il tuo più forte: grazie. Laggiù tra gli alti palazzi di una periferia romana, il Laurentino 38, come un tuono di cannone è esploso quel sentimento italico che per pudore, spesso, nascondiamo in fondo al cuore.
Sono giorni che tutti ci sentiamo eguali, vicini anche se lontani, forti ma nel contempo deboli, coraggiosi quanto basta per cercare di allontanare tutte le nostre paure. Quando le persone sono sole vivono come attimi fuggenti ogni momento della vita, io mi sono però domandata cosa potevo fare per comunicare agli altri che anch’io faccio parte di questa Italia che non si nasconde e vuole riprendersi la propria vita.
Ho cercato nei cassetti, ho rovistato in ogni angolo della casa, ma alla fine ho trovato quel che cercavo: un nastro tricolore dai colori pallidi, ed un motivo c’è; è rimasto esposto sulla ringhiera del terrazzo per oltre un mese, in un’estate calda ed assolata, quella del 1982 quando la nostra nazionale di calcio conquistò il mondiale in Spagna.
È gioco forza quindi pensare a quell’insperata vittoria ove avversarie quali l’Argentina il Brasile e la Germania, sembravano squadre imbattibili. Se allora fummo capaci di fare un grande risultato contro ogni previsione, mettiamocela dunque… tutta e sconfiggeremo anche questo virus che ci ha messo in ginocchio.
Il mio nastro rimarrà appeso alla verde ringhiera, anche se certamente i suoi colori perderanno ancor più visibilità, fino a quando tutti potremo dire: “Ce l’abbiamo fatta” ed io lo conserverò con particolare attenzione perché ha rappresentato e vissuto con me giorni felici e tristi.
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