Il Pantanal e l’Amazzonia in fiamme

In questi giorni la più grande zona umida tropicale il Pantanal è in fiamme.

Questo regno della natura (per fauna e flora) estende in gran parte in Brasile (e in parte in Bolivia e in Paraguay); ed è proprio nella parte brasiliana dove si sta raggiungendo il record di 16mila incendi con la conseguente devastazione di 2 milioni di ettari, secondo l’INPE – l’Istituto Nazionale Brasiliano per la ricerca spaziale che riporta i dati che vanno dal 1 gennaio al 21 settembre 2020.

Le fiamme si estendono soprattutto negli Stati del Mato Grosso e del Mato Grosso do Sul. Gli indigeni dell’etnia Bororò, che vivono nei villaggi del Mato Grosso, come riporta la stampa brasiliana, lamentano il poco sostegno delle autorità per affrontare le fiamme. Quando, se non vengono prese le misure e i soccorsi necessari ed adeguati, si potrebbe perdere il bioma del Pantanal.

Amazzonia

Questi nuovi incendi si aggiungono a quelli che avvengono in Amazzonia, dove nel 2020 il numero è cresciuto al punto da indurre Amnesty International a lanciare un allarme lo scorso 3 settembre.
Riprendendo i dati dell’INPE, l’organizzazione umanitaria rileva che dal periodo 1 gennaio – 31 agosto 2020 si sono verificati 63mila incendi e le autorità preposte per il contrasto “non riescono a proteggere né la terra né i diritti umani della foresta pluviale”.

Da maggio l’esercito brasiliano si è schierato “apparentemente” per porre un freno alla deforestazione illegale e gli incendi dolosi. Ma per Richard Pearshouse, responsabile per l’ambiente di Amnesty. Internazionale, è evidente che “l’esercito non ha la competenza o l’esperienza necessaria per fermare chi brucia la foresta e sequestri illegalmente la terra protetta.”
“Il Governo dovrebbe restituire il controllo del monitoraggio ambientale e dell’applicazione delle leggi alle autorità civili competenti – prosegue Pearshouse – invece di minarne deliberatamente la capacità operativa al fine di rendere accessibile l’Amazzonia agli affari”.

 

Sequestri illegali e deforestazione per sviluppare l’allevamento del bestiame

Gli incendi sono spesso appiccati dai grileiros privati, informa Amnesty International, che “sgombrano le aree boschive e sequestrano terreni per creare pascoli” secondo le necessità dell’industria “multimiliardaria” brasiliana della carne bovina.

Le immagini satellitari di luglio e agosto mostrano incendi anche nelle 3 aree protette nello Stato di Rondônia: il territorio indigeno di Uru-Eu-Wau-Wau e le riserve di Rio Jacy-Paraná e Rio Ouro Preto.

Tra l’agosto 2019 e luglio 2020 è aumentata la deforestazione del 34,5% – distruggendo un’area totale di 9.205 km² – rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma avvisa Amnesty sono dati approssimativi per difetto “perché per un errore del satellite non sono stati registrati alcun incendi dal 16 agosto 2020”.

“L’allevamento del bestiame è il principale motore dei sequestri illegali di terre nelle Riserve e nei territori indigeni dell’Amazzonia brasiliana – scrive Amnesty – alimentando la deforestazione e calpestando i diritti delle popolazioni indigene e dei residenti tradizionali”.

“Dal 1988, il numero di capi di bestiame è quasi quadruplicato raggiungendo gli 86 milioni nel 2018, pari al 40% del totale nazionale. In totale, il 63% dell’area amazzonica deforestata dal 1988 al 2014 è diventata pascolo per il bestiame, una superficie cinque volte più grande del Portogallo. Amnesty International ha documentato questo processo in dettaglio in un briefing pubblicato nel novembre 2019”.

“Secondo i dati del governo, i territori indigeni in Amazzonia hanno perso 497 km² di foresta pluviale tra agosto 2018 e luglio 2019, un aumento del 91% rispetto al periodo corrispondente dell’anno precedente”.

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