Mancia o servizio incluso? Alcuni imprenditori Usa optano per una paga equa

L’annosa questione della mancia. Gratificazione o mortificazione? Negli Stati Uniti d’America, paese della mancia per eccellenza, dove in pratica è un obbligo, hanno affrontato la questione poiché è tutt’altro che un fattore di costume e di cultura, ma rientra pienamente nell’alveo dei diritti e dell’equità. La mancia, intesa come somma di denaro che, oltre al costo dell’acquisto, doniamo direttamente a chi ci offre il servizio, in certi ambienti lavorativi, rientra nelle trattative (sotto traccia) tra datore di lavoro e impiegato, con il primo che la considera parte della retribuzione e per questo mantiene al livello minimo, se non al di sotto, il salario del dipendente.

Negli Usa il salario di tutti i dipendenti delle aziende che offrono un servizio diretto al cliente, come camerieri, facchini, baristi etc. la retribuzione per il dipendente e molto bassa, spesso si limita esclusivamente alla copertura delle tasse, perché tanto il resto è mancia. Allora non sarebbe più equo aumentare i prezzi del menu così da accrescere lo stipendio dei dipendenti ed eliminare la consuetudine del riconoscimento “free” post servizio?

 

La mancia impedisce l’equità retributiva fra il personale

Una situazione che non piace a Danny Meyer, proprietario di ben 13 tra i più noti ristoranti di New York, il quale nel dicembre del 2015, ha deciso di interrompere la consuetudine della mancia (tip in inglese) e aumentare lo stipendio dei suoi dipendenti rincarando il costo delle portate del menu dal 15 al 20%, pari alla cifra della mancia che negli Usa, di norma, si aggira intorno al 18% del conto complessivo. Quindi l’adozione della prassi che in Italia viene considerato come “servizio incluso”.

Danny Mayer ha spiegato ai suoi dipendenti come la mancia fosse diventata “uno dei principali ostacoli per attirare e far restare il personale di talento” perché diventa un “premio” solo per chi la riceve, escludendo il resto del personale che comunque contribuisce al buon andamento aziendale.

Ossia a godere delle mance, sono soltanto i camerieri, mentre ne rimangono esclusi tutti i lavoratori “interni” che non entrano in contatto con i clienti come il personale delle cucine. O come c’informa il giornale Usa The Atlantic, sottolineando la necessità di un compenso stabile per tutti; consideriamo per esempio il personale dei bar, composto soprattutto da donne, la cui retribuzione si basa quasi esclusivamente sulle mance.

 

E parte la campagna “no tipping”

Usa, tutto il resto è mancia

Dall’iniziativa di Mayer è partita la campagna “no tipping”, (no mance ndr) adottata da molti imprenditori della ristorazione che bandito le mance, hanno aumentato i prezzi della carta e offerto ai loro dipendenti un compenso maggiore, equivalente al minimo salariale.  Consapevoli di come migliorare la condizione di lavoro dei propri dipendenti giovi al benessere dell’azienda, con ricadute positive sui profitti.

Particolarmente importante è stata l’adesione alla campagna della catena Joe’s Crab Shack di San Francisco, in franchising in 130 località degli Stati Uniti, la quale ha stabilito in alcuni dei suoi punti vendita, una prova di tre mesi di “servizio incluso”, stabilendo con i suoi dipendenti un compenso di 12 dollari l’ora.

 

I clienti non apprezzano, ma per gli imprenditori e il sistema del futuro

Tuttavia dopo i primi mesi della sperimentazione il modello no tipping, sembra non aver goduto della fortuna auspicata. Come spiega l’Amministratore delegato della Joe’s Crab Shack, Bob Meritt, che riporta al The Atlantic i dati dell’esperimento dei 13 esercizi della catena, nei quali si è applicata la politica del servizio incluso.

I locali hanno registrato un calo della clientela che va dall’8 al 10% e  una ricerca di mercato, commissionata dalla Crab Shack,  ha rivelato che quasi il 60% dei clienti ha espresso parere negativo sul modello no tipping. Conclude Meritt: “Il sistema – mance deve cambiare, ma al momento né i clienti e, tantomeno i camerieri, vogliono adeguarsi a questo sistema”.

Gli fa eco Gabe Stulman, proprietario, fra gli altri,  del ristorante Fedora, un locale di tendenza di New York,  altro  programma pilota del no tipping che afferma: “ Dopo aver accolto molto favorevolmente questa nuova politica e applicata con determinazione, dobbiamo ammettere che per il nostro settore, in questo momento, non funziona. Ma continuiamo a credere che abbia il potenziale per migliorare il nostro lavoro, compresa l’ospitalità”.

La campagna no tipping subisce, quindi, una battuta d’arresto, ma dai commenti che abbiamo  riportato e, anche dall’attenzione che i giornali statunitensi e inglesi hanno riservato all’esperimento, si potrebbe dedurre che non finirà così e, che il cambiamento del trattamento lavorativo nel settore ristorazione degli Usa è in atto.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.