Ricominciamo da 60
Isabella Rossellini ha appena compiuto 64 anni, essendo nata a Roma il 18 giugno 1952. E, infatti, quando il noto marchio della cosmetica Lancôme le telefonò per ri – proporle di essere testimonial del suo marchio la Rossellini ha risposto: ”È uno scherzo? Ho 64 anni!”.
Non era uno scherzo e durante la conferenza stampa che annunciava la nuova collaborazione tra l’attrice italiana e il noto marco francese, Isabella Rossellini non si è risparmiata a elogiare i benefici di chi compie gli anta per terza volta. “Nessuno parla su quanto e bello invecchiare, non è questione di avere più o meno rughe, ma di trovare la nostra voce”.
E come darle torto; la sua storia è esemplare nel constatare di come stiano cambiando – e velocemente – i tempi e la percezione che la società ha dell’età non più verde.
“Nel 1982 la Lancôme” racconta la Rossellini nel corso della conferenza stampa “decise di cambiare strategia pubblicitaria e passare da varie modelle per ogni campagna, all’ identificazione del marchio in un unico volto e scelsero me. Inizialmente firmai un contratto per 2 anni. Ma la strategia pubblicitaria funzionò e la collaborazione durò 14 anni. Ma quando compì 40 anni, recisero il contratto. Mi spiegarono che le donne aspiravano ad apparire giovani, ed io non rappresentavo questo desiderio”.
Cos’ è cambiato nell’arco di questi 24 anni tanto da indurre la Lancôme a tornare sui suoi passi? Risponde la Rossellini: “Hanno scelto me, una donna con i suoi anni, perché il messaggio è cambiato: non tutte le donne vogliono apparire giovani a tutti i costi. Come sa bene l’Amministratore delegato del
marchio, una donna – Françoise Lehmann, ndr – consapevole che le donne non curano il proprio aspetto solo per sedurre”. Una strategia inclusiva, come fa notare Isabella Rossellini, evidente anche in campo cinematografico, come dimostra il successo dell’attrice africana Lupita Nyong’o e, soprattutto nella produzioni in streaming. “ La maggioranza della produzione cinematografica è costituita da film d’ azione, solo perché il pubblico pagante è costituito soprattutto da ragazzi molto giovani. Una ragione meramente commerciale. Ma se spaziamo nell’ambito dello streaming, dove lavorano compagnie di produzione come la Netflix che raccoglie un gran numero di spettatori, la tendenza è evidente”.
E mentre aspettiamo di tornare a vedere il bel volto dell’attrice italiana risplendere dalle pagine patinate, a giorni potremmo ammirarla in tv, nel talent show per fotografi “Master of Photography , che andrà in onda su Sky Arte HD dal 21 luglio 2016, in contemporanea in cinque Paesi europei. E, infatti, chiosa trionfante Isabella Rossellini: “Non ho mai lavorato così tanto, come negli ultimi due anni”.
Età. Tanti i miti da sfatare
La parabola professionale di Isabella Rossellini, non è un caso a se; al contrario è confermata dalle analisi sociali e da ricerche universitarie.
L’Istituto Superiore di Sanità, al riguardo ha pubblicato, qualche tempo fa, un interessante studio intitolato “Invecchiamento: Sfatare i miti”
La fascia di età tenuta in considerazione è la popolazione che va dai 65 anni in su, che in Italia, secondo i dati Istat, ammonta a 13 milioni e 400 mila, pari al 22% della popolazione.
Lo studio ci fa notare come la percezione sociale del valore e dei benefici legati all’età anziana, varia nelle diverse culture. In molti paesi dell’Africa e dell’Asia le persone anziane sono “coloro che possiedono la conoscenza”, come effettivamente è. Ma nel mondo occidentale, dopo che negli ultimi decenni si è cavalcata la moda del giovanilismo, è tempo di riconoscere che “l’invecchiamento non è una afflizione, ma una grande opportunità che ci permette di fare uso delle risorse da noi accumulate durante tutta la vita e, che le persone anziane possono essere una formidabile risorsa per le famiglie e la comunità tutta”.
Il primo mito, tra quelli riportati dallo studio è quello che vorrebbe gli anziani tutti uguali.
Al contrario, gli anziani “costituiscono un gruppo diversificato”. Sul trascorrere del tempo influiscono molti cause, tra queste “la dimensione della famiglia, il bagaglio culturale, le abilità apprese nel corso della vita e l’esperienza, sono fattori che rendono le persone sempre meno simili con l’avanzare dell’età” e la diversità, soprattutto in una epoca che tende all’omologazione è una ricchezza umana e, di conseguenza, socialmente rilevante.
Inoltre “molti di loro conducono una vita attiva e sana, più di molte persone più giovani”. Ed è un dato scientifico che nei paesi industrializzati le persone “tendono a mantenere una salute migliore nella ultima parte della vita, quanto mai in periodi precedenti”.
Gli anziani non sono fragili
E questa longevità ci porta a infrangere il mito che vorrebbe gli anziani fragili. Lungi dall’esserlo, “la grande maggioranza delle persone anziane rimane fisicamente in forma fino a età avanzata. Oltre ad essere capaci di portare avanti i compiti della vita quotidiana, gli anziani continuano ad avere un ruolo attivo nella vita della comunità. In altre parole mantengono un’alta capacità funzionale”.
Quindi gli anziani, possono fornire, come realmente accade, un notevole contributo alla società. La maggior parte degli anziani “di tutto il mondo da un significativo contributo alla prosperità economica della propria comunità sia in lavori retribuiti che non, perché nella maggior parte dei casi l’inabilità fisica sopraggiunge solo a tarda età”.
Anzitutto dobbiamo considerare che gli anziani stessi sono “fornitori di cure”. Oltre a prendersi cura di loro stessi, molti anziani provvedono ad altri membri della famiglia, come i rispettivi consorti e, talvolta, i loro stessi genitori, molto vecchi. Di fatto, molte delle persone anziane più “giovani” provvedono agli anziani più vecchi”.
“Il diffuso pregiudizio che gli anziani non possono fornire un contributo alla società” continuiamo a leggere “si basa sulla nozione che solo le occupazioni retribuite abbiano valore. Tuttavia, sostanziali contributi sono forniti da persone anziane in lavori non pagati in molti settori, includendo l’agricoltura e il volontariato. Molte economie in tutto il mondo dipendono in largo grado da queste attività ma poche di esse sono incluse nella valutazione della attività economica nazionale, rendendo il contributo portato dai cittadini più anziani spesso non rilevato e sottovalutato”.
Parliamo del cosiddetto “settore informale”, sottovalutato perché non facendo parte dell’economia di mercato, non è misurabile. Ma è cronaca quotidiana di come molti anziani oltre a mantenere se stessi, mantengono con le proprie risorse i propri familiari.
La loro attività nell’ambito familiare si estende oltre all’assistenza agli anziani, come abbiamo già visto, spesso alla cura dei nipoti, con una doppia valenze sociale: mentre li “educano e trasmettono i loro valori culturali”, permettono alle loro madri di lavorare, di fare parte, quindi, del mondo produttivo. Gli anziani donano alla società “forze lavoro”.
Fuori casa, sin nel mondo industrializzato sia in quello in via di sviluppo, gli anziani mettono a disposizione della società gratuitamente le loro competenze professionali e sono molto attivi nel volontariato presso scuole, istituzione religiose, politiche e sanitaria. Molte organizzazioni, apprendiamo dal nostro studio, in molte parti del mondo non funzionerebbero, senza l’ausilio degli anziani.
In Italia le persone che si dedicano al volontariato nel corso del 2014 hanno accumulato 7 milioni di ore (dati Società Auser).
Ma come ci si mantiene attivi?
I consigli per un invecchiamento attivo sono accessibili a tutti, comprendono:
– partecipare alla vita della famiglia e della comunità
– nutrirsi con una dieta sana e bilanciata
– mantenere un esercizio fisico adeguato
– evitare il fumo di sigarette
– evitare un eccessivo consumo di alcool.
Certo è fondamentale condurre una vita sana nel corso del tempo, ma, ci conforta il nostro studio ed è un informazione importante, “la accelerazione del declino può essere reversibile a ogni età. La cessazione del fumo e piccoli incrementi dell’esercizio fisico possono ridurre il rischio di malattie coronariche anche in tarda età. Per i disabili, delle tecniche di riabilitazione possono ridurre la progressione della disabilità”.
“In periodi di alta disoccupazione” conclude lo studio preso in considerazione “è stato facile argomentare che le persone anziane dovrebbero essere incoraggiate a lasciare l’impiego pagato, per fare posto a persone più giovani in cerca di lavoro.
Diversi studi hanno tuttavia dimostrato che la realtà del mercato del lavoro è alquanto più complessa di quanto questo schema implichi e che il ritiro dei lavoratori più anziani, non si traduce necessariamente in posti di lavoro per i giovani”.
Quest’ultimi, inoltre, possono non avere la necessaria esperienza. E spesso esperienza, sul lavoro e non, significa competenza. E la soluzione risiede, sempre, nell’ incontro generazionale, nello scambio e confronto continuo, perché se i giovani hanno il vigore fisico, gli anziani sono “coloro che hanno la conoscenza”. L’importante che ognuno faccia la propria parte, c’è posto per tutti.
Per approfondimenti
Studio Istituto Superiore della Sanità. Invecchiamento, sfatare i miti