Da Palm Springs a Milano un unico imperativo: recuperare il rapporto con gli ecosistemi

19 opere d’arte in formato gigante, disseminate nel deserto della California del sud, per sensibilizzare sull’importanza della cura all’ambiente.
Si tratta della 2° edizione di Desert X, la mostra biennale prodotta dalla Desert Biennial fondata dall’organizzazione no profit 501 (C) nel 2015, con lo scopo di convogliare l’attenzione dell’opinione pubblica sui seguenti temi: i cambiamenti climatici, l’immigrazione, il gioco d’azzardo e la cultura dei nativi americani, attraverso il coinvolgimento di artisti emergenti.

Desert X sintetizza la frase inglese Exhibition in the desert (Esposizione nel deserto).  Nel 2017, al suo debutto, la mostra era composta da 16 opere esposte nella Coachella Valley. Per l’attuale seconda edizione il tema scelto è L’equilibrio degli ecosistemi, con le opere sparse nel deserto di Sonora (al confine tra gli Usa e il Messico), fino al 21 aprile 2019.

Apre la carrellata delle opere un esplicito atto d’accusa rivolto alla parte ricca del mondo, la Western flag (Bandiera Occidentale) dell’artista irlandese John Gerrard, installata nel parco  Centro visite della città Palm Springs, e dalla cui asta sventolano 7 getti di fumo nero. Abbiamo prodotto solo inquinamento noi dell’Ovest? Sì e senza appelli, almeno per Gerrard, che ha ideato l’immagine esattamente per turbarci, per crearci ansia per le nostre abitudini, sovrapponendo al computer le fotografie del sito Spindletop (Texas) – dove nel 1901, secondo l’artista “fu trovato il più grande giacimento petrolifero del mondo” – e riproducendo il risultato finale su una parte di diodi a emissione luminosa (LED).

Pensa all’immigrazione la messicana Pìa Camil con il suo Lover’s rainbow (Arcobaleno d’amore), un arco cilindrico lungo 12 metri e alto 5 – gemello del pezzo installato nel 2018 in Messico – per dire che “le persone come gli arcobaleni e nonostante i confini, sono uguali ovunque”. Nella mostra Desert X l’arcobaleno, che sorge a Rancho Mirage, richiama anche al suo significato storico, la piaggia, che nel deserto, dice l’artista a Efe, riporta al senso di fertilità.

E ancora un duplice il messaggio espresso dall’installazione A point of view (Punto di vista), del colombiano (ma residente a Parigi), Iván Argote che nel mezzo del deserto ha installato una scalinata che termina con una piattaforma rivolta verso il lago Salton (o Salton Sea).

Su ogni gradino è stata incisa una parola (in inglese e in spagnolo)  che leggendola mentre si sale, forma una poesia che invita alla riflessione, una volta arrivati alla piattaforma dalla quale si contempla il lago.

Il lago Salton è gravemente e irrimediabilmente inquinato. Come ha detto Susan Davis, fondatrice della biennale Desert X all’agenzia Efe, è un modello in scala ridotta di quello che accade all’ambiente in ogni parte del mondo: l’acqua evapora, gli uccelli migrano, i pesci muoiono.

Milano, la natura spezzata alla Triennale

L’esortazione a prendersi cura dell’ambiente lanciata da Desert X è, idealmente, raccolta da Milano dove la XXII Triennale presenta la mostra Broken nature: design takes on human survival  (La natura spezzata: il design  si assume il compito della sopravvivenza umana).

Non una mostra di opere d’arte tradizionale perché, tra sculture e installazioni, si concentrano, soprattutto, una successione d’idee, riflessioni e proposte di soluzioni che sappiano ricreare il giusto rapporto tra l’uomo e l’ambiente e l’uomo e la società.

Ricordando anzitutto la bellezza della natura, che rischia di scomparire per il nostro approccio predatore, attraverso l’installazione The great animal orchestra, un’immersione nei suoni della natura creata Bernie Krause, esperto di bioacustica e dal collettivo inglese United Visual Artists (Uva), su proposta della parigina Fondazione Cartier.

O Capsula Mundi, una scultura sospesa di legno e gesso che rappresenta il progetto ideato dai designer italiani Anna Citelli e Raoul Bretzel, per fornire una soluzione sostenibile all’impatto ambientale dei cimiteri tradizionali, determinato sia dal disboscamento (per la produzione delle bare ogni anno in Italia si abbattono 50 chilometri quadrati di bosco), sia per il consumo del suolo dei loculi realizzati in cemento. Capsula Mundi, che riscuote un grande successo all’estero, propone un contenitore dalla forma a “uovo” biodegradabile nel quale è deposta la salma o le ceneri. La capsula è messa a dimora come un seme nella terra e sopra è piantato il seme di una pianta, scelta dalla persona ancora in vita. I cimiteri, così, si trasformano in boschi sacri, come li definiscono gli ideatori. E dalla morte rinasce la vita.

Complessivamente sono 22 le partecipazioni internazionali della XXII Triennale, c’informa la curatrice della mostra, Paola Antonelli, che propongono “approcci creativi che mirano a correggere il corso autodistruttivo dell’umanità”.

Aperta dal 1° marzo, la mostra Broken Nature si protrarrà fino al 1° settembre 2019.

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