Chatbot. Si aprono i confini della comunicazione
Parlare con il proprio smartphone alla ricerca di informazioni e contenuti presenti in rete. Di più: conversarci. Questa sarà la prossima frontiera di uno dei cardini del rapporto tra uomo e macchina: l’interfaccia.
L’interfaccia, cioè, quel sistema sempre più complesso ed evoluto che hanno i meccanismi elettronici per entrare in contatto con noi. Tutto, intorno a noi, è interfaccia: il frontalino della nostra autoradio, la schermata iniziale di Windows, lo schermetto (o la rotellina) della nostra lavatrice, la modalità di visualizzazione di abbanews.eu sono tutti esempi (più o meno calzanti) di strumentazioni pensate e messe a punto per farci interagire con le nostre macchine.
Ebbene, questa cosa chiamata “interfaccia” ha vissuto già due grandiose, meravigliose, geniali rivoluzioni: la prima è stata l’interfaccia grafica, ovvero quella astuta intuizione avuta (o rubata?) da Bill Gates quando formulò il suo primo Windows che trasformò un qualcosa chiamato “computer” da un occhio monocefalo intento a lampeggiare una lucetta inquietante verde su schermo nero nella più grande innovazione tecnico-socio-politico-economica che l’uomo abbia conosciuto dopo la macchina a vapore di James Watt.
La seconda, ben più recente, è stata invece una innovazione tecnologica: il touch, cioè quella grandissima novità tecnica e simbolica che ha mandato in pensione il Nokia 3310 (e con lui tutti i cellulari vecchio stampo con i quali telefonavamo, mandavamo gli sms e facevamo gli squillini) per riempirci le tasche di smartphones (con i quali Dio solo sa cosa facciamo davvero…).
Ecco, si sta preparando una innovazione – e a metterla in questi termini non siamo noi, ma una mente (e un portafoglio) del calibro di Satya Nadella, ovvero l’attuale number one di Microsoft – che è all’altezza di queste: il chatbot. Letteralmente, è un robot che parla. Di più: è un robot virtuale che parla. In pratica, è tutto. Equivale allo scrivere questo articolo semplicemente dicendogli di farlo al computer. Oppure, equivale all’ordinare una pizza scandendo l’ordine a parole direttamente allo smartphone che mi chiede, pure, “ma la vuoi senza origano come due giorni fa?”.
Ancor di più: è come dire di cercare una informazione su Internet semplicemente chiedendola. Avete presente un assistente vocale (Siri, per iPhone, e Cortana, per Microsoft, sono i più evoluti, ma c’è anche l’S-Voice per i Samsung, e chissà quanti altri!)? Ecco, stiamo parlando del loro figliolo, o per certi versi, nipote. Una nuova generazione di aggeggini virtuali parlanti dei nei nostri marchingegni. Non solo negli smartphone: quest’idea, applicata al futuro – e già molto presente – internet delle cose diventa un pervasivo sistema – appunto – di interfaccia multimediale e multicanale. Sarà il nostro modo di comunicare con le macchine. Ergo: sarà il nostro modo di comunicare con qualsiasi cosa, persona, istituzione, o chissà cos’altro.
Potremmo diventare, insomma, dei dettatori di ordini intenti a conversare su quale sia il miglior modo per fare quell’ordine con moltissimi meccanismi. Potrebbe diventare il modo per guidare un’automobile, ordinare un cheeseburger, mandare un messaggio. E, perché no?, leggere un articolo.
Questo articolo, ad esempio, potreste trovarlo parlando con il vostro computer, ovvero con un oggetto connesso ad internet che, mentre parla con voi, cerca online i testi o gli approfondimenti dell’oggetto della vostra conversazione. Mandando in un sol colpo in soffitta le applicazioni, i programmi, i software. Tutta roba obsoleta, o meglio, tutta roba che dovrebbe non essere più al nostro servizio, ma al servizio del chatbot che sarà – lui sì – al nostro servizio. Non stiamo parlando di fantascienza: questa interfaccia c’è già.
Solo, deve essere migliorata. Resa affidabile (e a farlo adesso ci sono i soldi veri, non le start up, perché ci sono progetti in tal senso sia di Apple, che di Facebook, che di Google, che di Microsoft). Deve essere migliorata semplicemente perché, rispetto alle altre due rivoluzioni, tocca il nervo scoperto della nostra sensibilità umana: a noi esseri umani difficilmente piace sentirci scemi. E siccome parlare con una macchina può dare questa sensazione, allora questa conversazione deve essere evoluta, simpatica, funzionale. Così come evoluti, simpatici e funzionali ci sono alla lunga sembrati sia l’interfaccia grafica che il touch. Il software – e l’intelligenza artificiale che lo gestirà – che stanno dietro ad un chatbot dovranno essere quanto più raffinati possibili, per farci fare tutto quello che prima facevamo usando una app chiacchierando (o chattando) con un assistente virtuale evoluto.
Perché il sistema è ancora lungi dall’essere perfetto. E proprio in Microsoft lo sanno bene, dopo la figuraccia di “Tay”, ovvero il chatbot sperimentale lanciato tramite Twitter e zittito quasi subito, visto che dopo pochi giorni di test aveva già imparato a lanciare frasi sessisti e commenti xenofobi come se piovesse…
Ma immaginiamoci cosa accadrà. E, già che siamo un sito di informazione al quale piace parlare anche di informazione in senso stretto, immaginiamoci cosa accadrà alla rete, e alle news che attraverso la rete viaggiano. Già… perché così come le app sembrano aver ucciso il www (quanti di voi stanno leggendo questo articolo perché hanno digitato www.abbanews.eu? Molti di più saranno quelli che lo han trovato attraverso una applicazione…), i chatbot sembrano esseri capaci di rivoluzionare senza mezze misure il lavoro di selezione, gerarchizzazione e soprattutto presentazione delle notizie, ovvero il lavoro dei giornalisti e del giornalismo. Un marchingegno software che conversa con noi – come abbiamo prima immaginato – e ci propone un articolo scelto da lui su quell’argomento è cosa ben diversa da noi che andiamo in edicola e compriamo il nostro giornale di riferimento, o anche ci colleghiamo al nostro sito preferito.
Insomma: non abbiamo ancora finito di chiederci che effetto farà sul nostro mestiere l’espandersi della diffusione degli aggregatori di notizie, che già una rivoluzione ben più grande (e grave) si sta per abbattere sulle nostre incerte esistenze. Incerte sia in quanto selezionatori, gerarchizzatori e presentatori di notizie, sia in quanto (a maggior ragione) cittadini.