Jürgen Schadeberg. L’immagine dalle mille parole

Decía Jürgen Schadeberg, l’autore tedesco dell’iconica fotografia del leader, attivista e politico sudafricano Nelson Mandela che guarda attraverso le grate della finestra del carcere – dove ha scontato 17 anni della condanna ultraventennale inflittagli per motivi politici – è venuto a mancare lo scorso 29 agosto a Valencia (Spagna), nella cui provincia aveva scelto di risiedere per gli ultimi anni degli 89 vissuti.

L’ultima mostra dei suoi scatti selezionati dallo stesso Schadeberg, nonostante fosse già molto malato, è Happy Hour: 33 scatti esposti presso la libreria Railowsky di Valcencia fino al 30 settembre 2020, che riprendono i bar e gli avventori che Schadeberg ha saccheggiato dalla realtà con la sua Laica nell’arco di 45 anni e in gran parte del mondo.

Il canto alla vita di un autore ottimista e vitale

L’idea di Happy Hour è stata del proprietario della libreria, Juan Pedro Font de Mora, intenzionato a proporre al pubblico un “canto alla vita” dopo il confinamento per la pandemia. “Un’esposizione allegra: un omaggio alla vita nei bar, alle ore felici, ai rincontri – ha spiegato Font de Mora a  Laura Julián  per eldiariso.es – ma che riflette anche il carattere di Schadeberg, ottimista e vitale fino alla fine della sua vita”.

Il librario conosceva bene Schadeberg, il quale una volta giunto a Valencia e aver fissato la sua residenza in La Drova, una frazione della città valenciana di Barx, lo aveva scelto come referente sia per i suoi libri fotografici sia per le esposizioni. Accadeva circa 15 anni fa, quando il fotografo tedesco aveva scelto la Spagna per “cambiare aria e riposarsi” anche se non smise mai di fotografare, soprattutto chi gli stava a cuore: le minoranze, gli emarginati, coloro “che non avevano voce” e quindi visibilità. Un tentativo di cambiare il mondo. “Un’immagine è composta da mille parole –  aveva affermato recentemente il fotografo tedesco – e può avere la forza per un cambiamento positivo”.

A Font de Mora il fotografo tedesco raccontò anche la storia della celebre fotografia realizzata nel 1994. Quel giorno Nelson Mandela, diventato nel frattempo presidente del Sudafrica, ritornò nella storica cella di Robben Island per lo scatto. I fotografi al lavoro erano tanti, ma alla fine fu lo stesso leader a scegliere la fotografia dove guardava dalla finestra dietro le sbarre di Schadeberg, perché “esprime tranquillità”, disse allora Mandela.

Jürgen Schadeberg aveva vissuto in Sudafrica per molto tempo. Lasciata Berlino dove era nato nel 1931, a diciannovenni raggiunse la famiglia che nel frattempo si era trasferita, appunto in Sudafrica, e dove trovò lavoro come fotografo (aveva imparato collaborando gratuitamente con l’agenzia la Deutsche Pressagentur) nel 1951 nella rivista Drum e dove presto divenne il punto di riferimento, il maestro del gruppo di giovani artisti creativi che gli valse nel tempo il meritato riconoscimento di “padre della fotografia sudafricana”.

Il jazz. Sfida, protesta e conforto


Sempre attento ai diritti civili e alle giustizie sociali, rivolse la sua attenzione professionale alle condizioni della comunità nera, riprendendo con la sua macchina oltre alla quotidianità dell’apartheid (la segregazione razziale imposta dall’etnia bianca dal 1948 al 1994), i momenti cruciali dell’evoluzione della faticosa conquista per i diritti della comunità.

Oltre a Mandela ha fotografato gli altri celebri attivisti anti-aparthied come Walter Sisulu (recluso  per anni a Robben Island), Oliver Tambo , Trevor Huddleston e Govan Mbeki. E i cantanti  jazz. Nella recente intervista Schadeberg, parlando del progetto fotografico – un libro e una mostra sui musicisti e cantanti jazz sudafricani del XX secolo, dove è rintracciabile una giovanissima Miriam Makeba – spiegava che il jazz, otre a essere una delle forme musicali che preferiva, durante il periodo dell’apartheid ha rappresentato “una forma di sfida e di protesta che alleviava il peso della segregazione”. A complemento dell’antologia, Schadeberg ha raccontato la storia dell’isola – prigione di Robben Island.

Dopo il 1964 iniziò a viaggiare per l’Europa (Francia, Regno Unito e Spagna) e per l’America.

In Europa. La povertà ma la speranza del Regno Unito e il ritorno al passato in Germania

A Glasgow (Scozia – Regno Unito) ha documentato la profonda povertà che negli anni Sessanta affliggeva le famiglie, ma nonostante ciò si respirava  uno “spirito di speranza”. Il divario socio-economico nel Regno Unito era grande ed è quello che il maestro tedesco ha evidenziato con i suoi scatti: “i senza tetto di Londra, la vita a Hackney, la parte “non swing di Soho”, mettendole a confronto con il loro ”opposto: il Cambridge May Ball e l’open day alla Eton School”.

In Germania ha realizzato saggi fotografici, pubblicati dalle maggiori riviste dell’epoca, “sugli ebrei che tornavano a vivere in Germania, sul nascere del movimento neo-nazista in collaborazione con lo scrittore James Cameron, la costruzione del Muro di Berlino e il programma di assimilazione dei richiedenti asilo”.

Negli anni Settanta tornò in Africa per vivere e lavorare in Botswana e Tanzania, viaggiando nel Senegal, Mali, Kenya e Zaire. Nel 1985 tornò in Sudafrica con la moglie Claudia, continuando a interessarsi, con la realizzazione di documentari, alla comunità nera. Vi rimase fino al 2007, quando ritornò in Europa. E questa volta per sempre.

Tutta la produzione fotografica di Jürgen Schadeberg così come i libri, i documentari, le interviste e le recensioni, sono raccolti nel sito ufficiale JürgenSchadeberg.com mentre su Instagram presenta una selezione dei lavori di una carriera di oltre 75 anni.

 

 

 

Immagini: 1) Il fotografo tedesco, Jürgen Schadeberg, in una posa recente davanti alla fotografia di Nelson Mandela che la reso famoso in tutto il mondo – tratta da elpais.es;  2, 3, 4 scatti di Schadeberg. La numero 2 ritrae la band jazz The Jazzomolos – Johannesburg 1953

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