Parole e linguaggio. Una relazione pericolosa

Senza dubbio leggere e scrivere un testo in cui a principio del maschile plurale per i generi si sostituisce l’evidenziazione del genere, la fluidità della scrittura, della lettura, dell’oralità, in prima istanza, potrebbe risultare compromessa.

Se a questo tipo di scrittura si aggiunge la schwa, desinenza finale neutra che si usa per una non definizione del genere, il testo potrebbe risultare particolarmente ostico o tecnico. Suddetta caratterizzazione fa riferimento a criteri di leggibilità e di “apparente” comprensione, tuttavia rimane aperta la dimensione concettuale/esistenziale che risponde a un bisogno di ri-conoscimento sociale e culturale che non può essere sottaciuto.

La questione della rappresentazione della donna attraverso un linguaggio che ne permettesse il riconoscimento la valorizzazione, è stata trattata in Italia a partire dal lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana, (1987), come leggiamo in Linee guida per il linguaggio di genere dell’Università di Verona, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le proposte di Alma Sabatini furono riprese in molti programmi, manuali e  documenti ufficiali, che raccomandavano alle amministrazioni pubbliche un uso della lingua non discriminatorio e contenevano indicazioni per ottenere la chiarezza degli atti amministrativi

Tutti noi (compresi i Millenial) siamo figli di un’assimilazione letteraria millenaria in cui si usa il plurale maschile comprende tutti i generi (almeno  nelle lingue che distinguono formalmente il maschile e il femminile) e, sebbene a livello inconscio che poi in modo surrettizio affiora alla coscienza, ci si abitua a crescere con una visione “mascolinizzata” o “femminilizzata” in particolare in campo formativo-professionale e sociale.

Il nostro immaginario è popolato di “professori universitari, ingegneri, chirurghi, matematici, fisici, scienziati, così come di “maestre” (si parla di maestri, spesso facendo riferimento a casi eccezionali), segretarie, educatrici, badanti, assistenti sociali, spesso accompagnate dall’articolo “le”.

Si tratta di gocce quotidiane che attraverso un’innocua e innocente declinazione morfologica, vanno a formare stalattiti di stereotipi e generalizzazioni, a volte, non permettendo di far emergere l’autentica identità delle persone, formando un agglomerato inconscio di credenze, inibendo desideri, scelte, condizionando comportamenti e atteggiamenti.

Quanto valore e importanza a una semplice declinazione, si potrebbe obiettare. Forse. Ma come ci insegna il “maestro” Vygotskij, psicologo e pedagogista, “Linguaggio e pensiero” sono direttamente interdipendenti: il pensiero trasformandosi in linguaggio si riorganizza e modifica.

 

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