La pace proibita. Arduo dare voce al silenzio
Roma – La pace proibita, un titolo certamente accattivante. Un primo invito a riflettere sul serio sul nostro tempo, l’epoca dei paradossi in cui un vaccino diviene una minaccia, la convivenza un’utopia.
Orbene, nonostante gli editti più o meno manifesti, ancora sembrerebbe possibile opporsi alla guerra. Quasi opportuno, direi. E infatti siamo in tanti a esserci riuniti ieri sera per provare a capire quanto sta succedendo, per provare a dare i natali a una protesta composta, quasi diligente non contro fantomatiche limitazioni, bensì contro un sacrosanto diritto: la vita.
Michele Santoro, promotore della serata, si espone subito al suo pubblico dichiarando di aver provato a offrire l’ evento gratuitamente a vari editori; nessuno tuttavia ha gradito. Perché rifiutare il libero fluire di pensieri? Forse la gratuità del raziocinio non è più gradita, infondo tutto ha un prezzo!!
L’evento, come è ovvio, è a pagamento, una somma politica azzarderei. Giunta davanti al teatro l’impressione è di essere a un gran gala; i volti noti davanti al Ghione si susseguono; ai piedi del nostro amato Cupolone siamo in tanti, un corpus coeso, spaesato, incuriosito. Qualcuno, timidamente mi si accosta offrendomi un giornale di estrema sinistra. Non rammento il titolo. Mi scuso, non credo sia importante. Con celerità estrema mi congedo dall’acquisto, poiché non ho contante; del resto il gruppo di promotori non possiede il Pos, troppo liberale.
Dopo essermene allontanata, torno indietro e senza chiedere niente in cambio offro a questi ragazzi, fautori della libera stampa, un biglietto gratis, ne ho uno in più che non vorrei andasse perso. Loro sono in tre restano basiti, interdetti indecisi…Chissà forse passerebbero più volentieri la serata a fare propaganda, piuttosto che entrare ad ascoltare cosa comporta la propaganda. Forse non hanno voglia di scoprire i meandri oscuri dell’arte manipolatoria; sono giovani, convinti che la lotta valga di per sé al di là dell’esplicito obiettivo.
Di contro, qui il fine è chiaro riproporre la libertà come evento auspicabile senza inibizione alcuna, senza doversi sentire vintage, filo russa magari.
Eppure, la convivenza tra i popoli sembra ormai diventata un concetto proibitivo, un’istanza da paventare. Un aggressore e un aggredito, buoni e cattivi, positivi e negativi, tamponi e tamponati, comunque l’un contro l’altro armati!
Mi siedo, Santoro come ai bei tempi è in platea: cartellina in mano, sguardo attento, qualche posa vecchio stampo. Apre Elio Germano con le parole di Gino strada, seguono in tanti Sabrina Guzzanti, Ascanio Celestini, Fiorella Mannoia, il prof. Montanari, Vauro … . Tutti coesi nel tentativo di spiegare la pace, decifrare la non belligeranza. Il fine è arduo: dar voce al silenzio.
Gli interventi sono interessanti, tutti appaiono pacati, la commozione è ben mascherata dalla razionalità disarmante, appunto. Nessuno appare guro della verità, nessuno si arma pretestuosamente contro chi la pensa in maniera opposta. La questione, piuttosto, è che la guerra anche la più giusta si concede alla morte, è una donna di facile costumi. E, sappiamo bene che la veste di questo conflitto è il nucleare, preambolo di un possibile sterminio.
Chi calca il palco non nega gli opposti, anzi ci ricorda come ogni dicotomia sia ancella della libertà. Solo la dialettica fonda l’uguaglianza, alimenta il libero agire. Come siamo arrivati a questo punto?
Non ci sono virgole nei paragrafi di questa brutta pagina di storia dove resta inciso che la pace è una chimera, un sogno di vana gloria di chi guarda avanti senza volgersi indietro, senza cioè rammentare coloro che hanno messo in campo la propria vita per dare un fondamento a questa maledetta, armonica convivenza fra i popoli.
L’uguaglianza nelle moderne democrazie sarebbe dovuta essere un punto di partenza, un avvio verso l’equità che per sua natura tiene conto delle inevitabili differenze che ci caratterizzano in quanto esseri umani, in quanto persone con la propria storia e tradizione. Confini sconfinati.
Ebbene, stiamo attraversando una falda storica, e lungo il cammino la protesta resta l’unico baluardo dell’esistenza come ci ha ricordato sul finire della serata Santoro. La fratellanza fra i popoli non erige muri, perché le barriere, seppur caduche, lasciano segni indelebili…