Keats e la grande bellezza

Piazza di SpagnaRoma vilipesa, Roma mortificata, all’onore delle cronache per la quotidiana miseria del comportamento umano, ma Roma è una città senza tempo e immortale. Così la viviamo e la sentiamo visitando la casa di John Keats: la grande bellezza in una stanza e nel cuore della capitale.

Nel programma del turista che visita Roma certamente non manca una sosta a Piazza di Spagna e Trinità dei Monti: ma non tutti sanno che al numero 26 di questa famosa piazza, ai piedi della splendida scalinata, c’è una casa di vecchia costruzione, ben conservata, ove vissero tra la fine del 1820 e l’inizio del 1821 il poeta John Keats ed il pittore Severn, e dove sono raccolte e conservate molte testimonianze di questo loro soggiorno romano.

Spinti da quella magica e silente emozione che spesso il fascino della poesia si impossessa di noi, saliamo i lucidi scalini in nera ardesia, un po’ consunti, ed all’apertura del portoncino ci sentiamo spinti all’interno verso una sala d’ingresso alquanto sobria, dal soffitto con travi in legno a cassettoni dal tenue color azzurro, e con fiori a rilievo incastonati nei pannelli centrali.

Forse è solo una nostra impressione ma per qualche misterioso motivo ci viene naturale camminare in punta di piedi e parlare sottovoce. Eppure tutt’intorno ci sono soltanto libri ed un odore di vecchio legno, di rilegature in pelle che entra nelle narici e ci fa valutare inspiegabilmente il tutto tipicamente inglese.

L’arredamento è quello che si usava nel 1800, c’è il piccolo studio del pittore Severn, e la cameretta di Keats è rimasta tale e quale, salvo la posizione del letto.

Ricordiamo che questo giovane poeta venne a Roma in cerca di salute, in questa città, ora come allora, intensa, completa, disperata e bella. Ed egli così la descrisse nelle lettere inviate agli amici: “É una città meravigliosa, desolata, affascinante e tragica, attraversata dai rintocchi funesti della malaria. Quì, ogni cosa si collega agli interessi di carattere religioso, il popolo trova risorse ed allegria solo nel periodo del carnevale dato che l’esistenza dei romani riassume in sé la monotonia, l’indolenza e la calma per molti periodi dell’anno fino ad esplodere in un singolare buon umore, e dove l’assenza di rancori e di maldicenze vince talvolta il cattivo governo”.

Del Colosseo scrisse: “In questa nobile costruzione la contemplazione regna sovrana, la bellezza delle sue rovine è di per sé incomparabile.” Bellezza, questa è la parola scelta per descrivere la vecchia Roma, bellezza e decadenza.

Shelley nell’ elegia dedicata al suo amico Keats disse:” In questa alta capitale, dove regale morte conserva la sua pallida corte in bellezza e decadimento egli venne…” E Byron lasciò scritto:” Venne e vide il cipresso, udì il gufo, camminò lentamente sulla via, su gradini di rotti troni e templi….”

Keats sarebbe sicuramente divenuto uno dei più grandi poeti dell’ottocento inglese se si pensa che a soli 25 anni ed in poco tempo, dal 1817 al 1820, scrisse poemi e liriche, pubblicò volumi con drammi e collane di racconti. E pensare che aveva intrapreso gli studi di medicina, poi lasciati, quando attratto dall’arte ellenica ne colse l’essenza dello spirito. La sua ideologia è quella del contemporaneo liberalismo, senza pretese teoriche ma calda di un sincero entusiasmo. Si formò sui poeti del rinascimento quali Spencer, Fletcher, Milton, adorò Shakespeare e Wordsworth e seguì l’esempio di Leigh Hunt.

keats-shelley_house_-_romaLa stanza di Keats

Ma egli aveva purtroppo così poco da vivere e nelle sue lettere, quasi un diario, così belle e profonde c’è la sua confessione. “Quando io sono in questa camera,” una volte scrisse “ se un passero viene davanti alla finestra, io prendo parte alla sua esistenza, poiché il poeta non ha identità. Il sole, la luna, il mare, l’uomo e la donna sono creature di impulso poetico, il poeta invece è nessuno”.

La sua giovinezza infatti altro non era che una strana e misteriosa compagna. Sembrava dovesse vivere con lui ed invece ad un certo punto se ne andava in silenzio. C’erano segni dell’abbandono, egli se ne rese conto quando inesorabilmente le forze l’abbandonarono e la giovinezza si staccò dal suo corpo per rispecchiarsi in quello dei suoi amici Severn e Byron, e le parole che egli disse poco prima di morire: “Non abbiate paura” sono in un manoscritto di Severn qui in questa camera, ed ancora fanno eco indirizzate al visitatore come un suo ultimo messaggio.

Sullo scrittoio vi sono tanti suoi oggetti, una ciocca di capelli, il suo calamaio, il tagliacarte, la cartella in pelle ed un ritratto di Fanny Brawn, la tenera amante di John Keats alla quale il poeta non voleva scrivere né riceverne lettere e il cui nome scritto o letto, così disse, gli avrebbe procurato un dolore così forte che mai avrebbe potuto sopportare.

“Per un poeta il nome è un cappio, il nome adesca, il nome imprigiona” Non volle infatti che il suo nome fosse inciso sulla lapide tombale bensì fosse riportata la frase: “ Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua” E quante volte, affacciandosi alla finestra sentì il rumore dell’acqua proveniente dalla fontana del Bernini e come gioiva per quel dolce rumore così amico alle sue orecchie che gli teneva compagnia durante il silenzio delle lunghe notti invernali!

Scrisse:” Voi non potete sapere e non potete comcepire quanto è preziosa ogni macchia sui muri di questa camera e come ogni minuto di questi ultimi mesi a Roma vorrei fonderli in oro tanto da poterli usare nell’anno in corso, se io avessi ancora da vivere. Ma non l’ho.”

Questa piccola stanza ci lascia davvero senza fiato, ci sembra di essere sulla soglia del reale e leggere un suo testo e decifrarne così i segni dell’ispirazione del poeta. É come cercare una sorgente, vedere i paesaggi di Emily Bronte, la luce di Rembrant, i colori di Giotto, i personaggi di Dickens, tutto rivela il segreto del motivo creativo del poeta e tutto è pertanto poesia:“Quando io chiudo queste imposte, io vedo lontani intensi bagliori, cieli pieni di splendide lune e scintillanti stelle, zampillanti esalazioni, fuochi di diamanti e scolpite fontane tremolanti con profonde incandescenze.”

Quando Keats morì Shelley scrisse in calce ad una foto ove il giovane John appare con il capo reclino: “Lui non è morto, dorme, ha aperto gli occhi iniziando il sogno della vita.” Un anno dopo pure Shelley chiuse in modo tragico la sua esistenza e le sue ceneri raggiunsero l’amico, nel cimitero degli Inglesi, ove furono deposte in un angolo tanto bello che lo stesso Shelly aveva definito: “Luogo che potria far i cor di morte amanti.”

L’iniziale sensazione di magia che ci aveva accompagnato mentre salivano le scale di questo palazzo, sta per svanire e ci sentiamo improvvisamente afferrare dalla disperazione, usciamo da queste stanze in punta di piedi come eravamo entrati. Giù in strada il frastuono del traffico e delle voci ci stordisce, ma risuona dentro di noi una frase letta chissà dove e quando, ma vera al cento per cento: “ Un uomo resterà immortale finchè il suo nome verrà ricordato su questa terra.”

Nota

Per chi desidera approfondire la personalità del pittore Severn, compagno di viaggio in Italia di Keats e poco conosciuto, vi consigliamo JOSEPH SEVERN E TOLFA

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