Goethe e la Grande Bellezza. La magia dei ricordi
Capita molto spesso che riordinando gli scaffali dove da anni riposano molti libri, una busta scivoli per terra, e tu raccogliendola scopri di aver tra le mani qualcosa che ti ricorda una bella giornata di tanti anni fa.
Ti viene così naturale pensare che il ricordare è vivere, perché con il tempo ci si dimentica di tutto, ci si dimentica perfino di avere una memoria e se lo ignoriamo è come perdere un pezzo della nostra vita ed alla fine capiamo che abbiamo rischiato di perdere anche ciò che mai avremmo voluto scordare: ovvero i giorni felici ed i nostri sogni.
Già, quella busta, oramai non più bianca, che noncurante del contenuto, dapprima abbandoni sulla scrivania ma che poi la curiosità ti invita ad aprire. All’interno un cartoncino con scritta questa frase: “ Il più sciocco fra tutti gli errori è quando i giovani, pur intelligenti, perdono la loro originalità perché riconoscono quelle verità che già da altri sono state riconosciute.” Goethe.
Adesso tutto mi è più chiaro. Era una splendida domenica di giugno. Il caldo a Roma si faceva sentire fin dalle prime ore del mattino, ma quando si aveva una voglia matta di girare da soli e fare i turisti quasi per caso senza un programma prestabilito la calura quasi non la si accusava.
Io ed una mia amica ci ritrovammo così in Piazza del Popolo, e subito entrammo nella chiesa di S. Maria, compendio di vari secoli della storia dell’arte e dell’architettura. Affascinate dai quadri del Pinturicchio e da quelli del Caravaggio, sostammo a lungo sotto quelle navate.
C’era un via vai di persone, però il silenzio la faceva da padrone, le emozioni entravano nel nostro io e le domande ci si ripetevano dentro senza sosta. Come e perché gli artisti di quegli anni erano stati capaci di dipingere quei volti di Madonna e Bambino che ancor oggi ci sorprendevano così tanto?
E quella profonda tragicità della Crocefissione di S.Pietro e della Conversione di S.Paolo, ove la figura predominante era il cavallo pur nella tenebrosa colorazione, riuscivano ad esplodere provocando in te una reazione di umana afflizione da farti quasi male?
Non restava che pregare, volgere gli occhi in alto, a destra, a sinistra ed immagazzinare nella propria memoria il più possibile di quelle meraviglie.Uscire da quel luogo sacro, affrontare quel fascio di luce solare che baciava la facciata della chiesa ed andare al centro della piazza fu questione di secondi. L’ombra dell’obelisco non recava alcun sollievo e così procedemmo verso la via del ritorno a casa.
Imboccammo via del Corso assaporando un gustoso gelato, ma la nostra attenzione fu attratta da una targa: Casa e museo Goethe. La nostra conoscenza del tedesco e del poeta era alquanto limitata ma la nostra curiosità nelle cose e per i personaggi che avevano lasciato una traccia nel panorama della letteratura trovava sempre quello spazio sufficiente affinché non rinunciassimo ad arricchire il nostro bagaglio letterario.
Salimmo quelle scale e subito fummo permeati da quello spirito teutonico un po’ freddo che sprigionava da quelle stanze un poco disadorne. Ma ben presto lo scorrere delle sue opere, ove la satira aveva la parte predominante, le molte foto che accompagnavano il periodo vissuto a Roma dal 1786 al 1788, furono il biglietto d’ingresso per meglio conoscere il poeta.
Forse, ed anche senza forse, egli amò questa città, come altri scrittori faranno in futuro, molto più dei veri romani, Quei due anni vissuti in questa casa, che affittò sotto falso nome, li raccontò come una prova liberatrice, come un pellegrinaggio verso un mondo così diverso dalla sua Germania, da Weimar, che oramai definiva la sua prigione, e che divenne così per lui la conquista della libertà verso la sua maturità.
A Roma scoprì il suo campo d’osservazione verso l’architettura classica, la poesia popolare, scoprendosi amante della pittura, e pur nella sua intima solitudine riuscì progettare l’opera Faust.
Rientrando a Weimar era un uomo più forte e consapevole di chi in effetti era, e che cosa voleva. Era padrone dei tesori che aveva appreso nel suo soggiorno in Italia.
Il carattere di Goethe si espresse in pieno quando cominciò a dirigere un teatro, scontrandosi con attori, pubblico, critica, ma grazie all’amicizia di Schiller riuscì a mettere in scena molte opere che ebbero un successo a dir poco clamoroso.
Tutto ciò divenne di nostra conoscenza grazie all’interlocutrice che ci accompagnò in quelle stanze e che riuscì a farci amare il personaggio essenzialmente giudicato un lirico, ma profondamente consapevole di quanto l’amore e la natura fossero parti essenziali della vita. I suoi versi esprimevano l’entusiasmo della contemplazione, i suoi romanzi erano una rivoluzione e spesso i protagonisti, dopo la delusione riuscivano a trionfare, ed andavano incontro al nuovo secolo in modo semplice perché il concatenarsi delle esperienze li avevano resi loro stessi.
Ci sorprese non poco sapere che il Faust ebbe un’incubazione di circa sessant’anni ed a Roma furono scritte le scene della Cucina delle streghe e Bosco e grotta, forse perché visse qui in prima persona il periodo del carnevale.
In fondo il protagonista di questo testo altro non è che l’uomo, con il suo carico di storia e il suo anelito di libertà, con la sua ansia di conoscere e di operare. E chi è se non Goethe stesso il vero personaggio, celato nelle vesti di Faust, che quella domenica di giugno abbiamo incontrato, conosciuto, scoperto, apprezzato e perché nò amato, e che è rimasto nei nostri ricordi attraverso quel quadro appeso al centro della sala; il cui viso nascosto dal quello scuro copricapo dalla larga tesa, con quella tunica bianca, semi sdraiato, con alle spalle la raffigurazione della campagna romana riflessa dal quel sole seminascosto tra le nuvole!
Riprendo in mano la busta caduta dal libro, e sul cartoncino posto all’interno aggiungo di mio pugno questo aforisma di Goethe: “ La magia è credere in noi stessi. Se riusciamo a farlo, allora possiamo fare accadere qualsiasi cosa.”
Ebbene è successo davvero qualcosa, dopo tanti anni, i ricordi di un giorno particolare non sono andati perduti. Evviva.