Decode. Competenze digitali per l’insegnamento nel XXI secolo

Digitalizzazione del sapere o potenziamento del sapere tramite gli strumenti digitali nelle scuole del Terzo Millennio? Il concetto chiave come in ogni epoca storica che mira all’essenza della formazione, ossia fornire ai propri discepoli gli strumenti per interpretare la realtà, si riflette in un progetto europeo di ampio respiro, di recente conclusione: DECODE.

Il progetto DECODE – DEvelop COmpetences in Digital Era – Competenze, buone pratiche e insegnamento nel XXI secolo – è stato realizzato all’interno di una partnership strategica nel campo dell’istruzione, nell’ambito del programma Erasmus + KA2 rivolto ad esplorare le competenze necessarie ai professionisti della formazione nell’era digitale, partendo da questa consapevolezza: “le tecnologie digitali rappresentano, oggi, un volano economico e un discrimine per l’inclusione sociale”.

Per queste ragioni, l’Europa invita le istituzioni nazionali e locali  ad investire sia per promuovere la loro integrazione nelle pratiche di insegnamento, sia per favorire il potenziamento delle competenze degli insegnanti nell’utilizzo di tali tecnologie a scopo didattico.

A questo scopo, il progetto si è sviluppato come intervento di ricerca-azione, volto a favorire il confronto e lo scambio delle pratiche più efficaci nell’uso e nella valorizzazione delle risorse digitali negli ambienti educativi. Per sua natura un intervento di ricerca-azione costituisce una forma di sperimentazione sociale, tramtite l’azione collettiva di un gruppo costituitosi per risolvere problemi quotidiani.

Il progetto di ricerca-azione DECODE è stato condotto grazie a una partnership tra università, centri di ricerca, istituti di formazione, scuole e associazioni professionali, valorizzando all’interno della collaborazione competenze specifiche, diversità degli approcci ed esperienze di ciascuno.

 

Il progetto vede l’Italia come capofila, tramite un gruppo di ricercatori che fanno capo a Link Campus University guidato da Stefania Capogna. L’Italia partecipa al progetto tramite tre soggetti: oltre all’Università capofila partecipa anche l’ANP – associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola e l’Università Roma TRE.

Paesi coinvolti: Spagna (Universitat Oberta de Catalunya), Finlandia ( Ominia, la Joint Authority of Education e Regional Center di Espoo), Romania (Institul de Stinte ale Educatei), Regno Unito (Aspire International).

Il progetto, della durata di tre anni, si è sviluppato dall’ 1° luglio 2016 e si è concluso il 3o agosto 2019, con una pubblicazione degli esiti del lavoro di ricerca.

Il materiale prodotto nei tre anni di lavoro rappresenta una preziosa biblioteca virtuale dove reperire informazioni, buone pratiche, idee per attuare non solo un’innovativa politica digitale, indicando le modalità progettuali e le azioni da compiere per potenziare le competenze digitali degli insegnanti in Europa e, pertanto degli studenti e studentesse e della scuola nella sua veste istituzione e nella sua mission educativa e socio-culturale.

Per attingere dalla fonte, ne abbiamo parlato con Stefania Capogna,  responsabile del progetto, Professore Associato, Direttrice Centro di Ricerca Digital Technologies, Education & society, Link Campus University.

Quali sono stati i risultati più sorprendenti che sono emersi dal progetto?

La cosa che ci ha sorpreso di più nello studio è stato rilevare come, pur a fronte della diversità dei modelli e dei sistemi educativi, delle culture di riferimento e delle tradizioni normative, nel momento in cui si entra nella scuola e si dà voce ai docenti, ci si scontri con lo stesso vissuto e con gli stessi problemi.

I temi ricorrenti e trasversali sono sintetizzabili in: carenza di risorse per la scuola, assenza di una vision e di una strategia in grado di ripensare un modello di scuola capace di rispondere alle sfide dei tempi, resistenza da parte di una quota significativa di colleghi, carenza di formazione per far crescere le competenze didattiche, in special modo in tema di ICT, carenza e inadeguatezza delle infrastrutture, frammentazione e difficoltà a fare sistema e a valorizzare le esperienze positive.

Si registra lo stesso scoramento diffuso, indicatore di un corpo professionale in crisi di identità e di legittimità. Sembra venuto meno il patto sociale e si rischia di navigare a vista, e questo deprime anche i docenti più appassionati e motivati che faticano a trovare una comunità professionale in cui riconoscersi e all’interno della quale continuare crescere e a formarsi.

Quando parliamo di competenze digitali degli insegnanti a che cosa ci riferiamo esattamente? In che modo queste competenze si possono declinare nell’insegnamento quotidiano?

Le competenze digitali degli insegnanti vanno inquadrate all’interno di una più ampia strategia di sviluppo in tema di digital policy ed è quello che ha cercato di fare la Comunità Europea con il Digital Education Action Plan (COM/2018/022) che individua 11 linee di azione che possiamo raggruppare in tre grandi categorie così distinte: migliorare l’uso della tecnologia digitale per l’insegnamento e l’apprendimento; sviluppare competenze e abilità digitali; migliorare l’istruzione attraverso un potenziamento delle capacità di analisi e previsione dei dati.

La competenza (e l’efficacia) dell’azione educativa è soltanto parte di un progetto di empowerment collettivo che interessa la società, le organizzazioni, la cittadinanza e gli educatori come è espresso dal Learning and Skills projects

All’interno di questo dibattito si è affermato il  quadro europeo comune per la competenza digitale degli educatori (DigCompEdu), per orientare scientificamente la politica e favorire la realizzazione di strumenti e programmi di formazione regionali e nazionali.

Il DigCompEdu è indirizzato agli educatori a tutti i livelli di istruzione, ed ha rappresentato il quadro concettuale di riferimento attraverso cui sono state indagate le competenze digitali dei docenti. Tale framework infatti propone anche un modello di valutazione//autovalutazione su una scala di padronanza di competenze a sei livelli che si rende particolarmente utile per analizzare le diverse dimensioni della competenza digitale ad uso educativo.

Come è articolato il modello di valutazione?

Il modello descrive le sei fasi attraverso cui si sviluppa la competenza digitale di un educatore, in modo da aiutare gli educatori a identificare il proprio livello e fare scelte congruenti con il loro progetto di crescita professionale. L’identificazione dei livelli di padronanza si ispira ai sei livelli di competenza utilizzati dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER), che vanno da A1 a C2.

Nelle prime due fasi, Newcomer (A1) ed Explorer (A2), gli educatori assimilano nuove informazioni e sviluppano pratiche digitali di base; nelle due fasi intermedie, Integrator (B1) ed Expert (B2), essi applicano, espandono e strutturano  ulteriormente le loro pratiche digitali; nel livello di padronanza più elevato, Leader (C1) e Pioneer (C2), trasmettono le loro conoscenze, sperimentano le pratiche esistenti con approccio critico e sviluppano nuove pratiche.

 Dal progetto risulta che gli insegnanti italiani e rumeni sono coloro che dichiarano una percentuale più alta di certificazioni. Questo dato descrive  una maggiore competenza digitale degli insegnanti italiani e rumeni e, di conseguenza, anche dei relativi studenti e studentesse?

No, non direi questo, rischia di essere una semplificazione. Prima di tutto bisogna specificare che la ricerca non ha alcuna velleità di rappresentazione statistico-rappresentativa, si è trattato di una ricerca esplorativa. La differenza è da imputare a mio avviso prevalentemente alla differenza culturale complessiva e dei sistemi e dei modelli educativi.

Ricordiamo infatti che il sistema anglofono è in generale un sistema più liberista; quello finlandese si caratterizza notoriamente come una best practice in tutte le comparazioni internazionali; mentre il caso spagnolo è stato molto particolare perché si è focalizzato sulla regione della Catalonia, portatrice di un modello avanzato (ma limitato al territorio catalano) sotto il traino della Open University della Catalonia (UOC), che sin dalla sua fondazione (1994) ha investito sulla diffusione della cultura digitale sul territorio.

Al contrario sembra che la rincorsa alle certificazioni rappresenti il tentativo di compensare lo scarto drammaticamente evidenziato da tutti i ranking internazionali. Non a caso i dati dicono anche che in Italia, più che negli altri paesi, i docenti, anche quando hanno una certa competenza digitale, faticano, più degli altri, a integrarla nelle proprie pratiche professionali.

Per quanto riguarda gli studenti, purtroppo la ricerca non ha indagato le loro competenze, questo è sicuramente un ulteriore utile e interessante obiettivo di ricerca da perseguire. Tuttavia, se ci riferiamo ad altre ricerche svolte su questo punto, emerge un significativo digital gap sia sul piano delle competenze hard (gestione dei rischi digitali, gestione della sicurezza e delle privacy, big data, knowledge management ecc.) che su quelle soft (e-leadership, organizzazione e coordinamento, comunicazione ecc.).

Dei paesi coinvolti nel progetto (Italia, Spagna, Finlandia, Romania, Regno Unito, quale è secondo lei il paese che usa in modo più diffuso la tecnologia digitale e in che settori/materie viene applicata? In quale metodo di studio e di lavoro?

A questa domanda posso rispondere solo in maniera “impressiva”, non abbiamo dati per dare una risposta sistematica. L’impressione è che il paese in cui l’uso del digitale ha conosciuto un processo di ‘domesticazione’ più significativo, sia la Finlandia.

Quando si parla di ‘domesticazione’ si intende la capacità di appropriazione dello strumento/innovazione, in questo caso del digitale. Un’appropriazione che conduce quindi a una ‘normalità’ e a una “diffusività” che conduce alla presenza e all’uso dello strumento nella vita di tutti i giorni. E questo crea quella cultura diffusa che rappresenta l’impalcatura immateriale su cui si insinua e si sviluppa ogni progetto educativo, la continuità tra dentro e fuori, l’alleanza con la comunità educante; un’alleanza che si fonda prima di tutto sulla condivisione dei codici espressivi.

Sono numerosi gli esiti di ricerca che mostrano infatti che indipendemente dal modello educativo, l’integrazione nella, e il sostegno della, “comunità educante”, e cioè della collettività, rappresenta il fulcro essenziale di ogni best practice.

Si prevede un programma specifico da diffondere nelle scuole per la formazione dei docenti?

Una delle azioni del progetto, la quinta per esattezza, a valle della fase di ricerca e di analisi dei bisogni, ha previsto la progettazione e la realizzazione di un percorso formativo realizzato in ambiente on-line, sulla base di un modello didattico comune e condiviso che ha previsto la replica, nei cinque paesi partner, dello stesso percorso. Il modello proposto si è ispirato alla definizione di Competenze Digitali dei Docenti  adottata dalla Catalogna, basata sulla distinzione tra competenza strumentale e metodologica del docente.

L’obiettivo infatti era quello di potenziare le competenze metodologiche intese come “la capacità che gli insegnanti hanno di mobilitare e trasferire tutte le loro conoscenze, strategie, abilità e attitudini rispetto alle tecnologie per l’apprendimento e la conoscenza (TAC) in situazioni reali e concrete della loro pratica professionale al fine di:

  1. a) facilitare l’apprendimento e lo sviluppo da parte degli studenti delle loro competenze digitali;
  2. b) attuare processi di miglioramento e innovazione nell’istruzione in base alle esigenze dell’era digitale;
  3. c) contribuire al loro sviluppo professionale in conformità con i processi di cambiamento che avvengono nella società e nella scuola” (Generalitat de Catalunya, 2018: 11).

Il percorso è stato progettato utilizzando la metodologia del Challenge Base Learning (CBL Framework), caratterizzata da tre fasi interconnesse: coinvolgere, investigare e agire.

Infine, il modello di valutazione adottato ha teso a mettere i docenti coinvolti al centro del processo di apprendimento, attraverso la realizzazione di attività di autovalutazione e di co-valutazione guidate mediante rubriche di valutazione.

Alla fine del lavoro è stata proposta anche un’attività di peer-evaluation (valutazione tra pari) sulla base della quale sono state selezionate le situazioni di apprendimento più apprezzate dagli stessi docenti partecipanti, le quali sono confluite sul sito di progetto.

Certamente sarebbe interessante e necessario capitalizzare questo lavoro ed estendere e/o ripetere la rilevazione e l’attività formativa in una logica di miglioramento continuo. Un miglioramento che ha bisogno di intercettare e valorizzare le risorse migliori, supportando e accompagnando chi si sente sopraffatto e/o ai margini del cambiamento in atto.

Per una lettura integrale del progetto, consigliamo di visitare l’esaustiva piattaforma DECODE, dove si possono analizzare ogni  attività del progetto, i materiali, risultato della ricerca-azione, le best practices, le attività di disseminazione.

Un prezioso repertorio che rappresenta un’ottimo per-corso di apprendimento su come inserire le tencologie digitali nella didattica quotidiana attraverso strumenti operativi e pratiche d’eccellenza in una dimensione glocal, caratteristica unica dei cittadini europei.

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