Inchiesta demoscopica. Per risolvere la diaspora italiana
Ormai gli esperti la chiamano diaspora riferendosi ai 2 milioni di giovani con formazione medio-alta che negli ultimi 10 anni hanno lasciato l’Italia per lavorare all’estero.
Al netto di quanti sono rientrati la cifra è, comunque, inesatta per difetto perché non tutti i giovani che hanno lasciato il Paese hanno effettuano il cambio anagrafico di residenza. I dati ISTAT, allora, basandosi sull’ evidenza anagrafica indicano, un numero di expat (espatriati) 4 volte inferiore ai dati reali.
I costi della perdita del capitale umano
Il costo della diaspora è enorme. Computando le spese dal concepimento all’espatrio sia della famiglia sia quelle pubbliche tradotte in istruzione e assistenza (come la sanità o i costi sussidiati), la perdita ammonta a 600 miliardi di euro (riferita ai due milioni degli ultimi 10 anni).
Ci troviamo di fronte a una perdita di capitale umano che si riflette sulla grave crisi demografica, sulla insufficiente crescita della produttività, sulla difficoltà delle imprese a trovare il personale idoneo e, quindi, a fare investimenti, a una minore domanda interna e così via.
Urge intervenire ma ancora prima conoscere
I dati riportati ce li fornisce la Fondazione Nord-Est. Particolarmente attenta al fenomeno ha lanciato l’allarme per quella che definisce “un’emorragia umana sociale ed economica che rende più traballante la sostenibilità del debito pubblico italiano.”
“Urge intervenire ma ancora prima conoscere” dice la Fondazione che, conseguentemente, lancia un’indagine demoscopica che ruota intorno alle seguenti domande: quali sono i motivi che alla base delle partenze, quelli alla base delle condizioni per eventuali ritorni (perché molti vorrebbero ma non ci riescono) mentre i giovani che restano lo fanno per soddisfazione o per mancanza di occasioni per partire e come considerano le qualità della vita in Italia, riescono a costituire una famiglia e se no cosa li aiuterebbe a raggiungere questo obiettivo.
In realtà saranno eseguite 2 inchieste, una rivolta agli expat, l’altra ai loro coetanei (fascia di età dai 18 ai 34) rimasti in Italia; seguirà un approfondimento sulle principali problematiche che emergeranno dalle inchieste sia attraverso focus group sia con interviste mirate. I dati ottenuti confluiranno nella configurazione di un’istantanea esaustiva che verrà analizzata nelle 3 seguenti principali direttrici: la diaspora, la caduta demografica e i NEET (i giovani che né studiano né lavorano).
La denatalità. Più cani che bambini
Riguardo la denatalità (problema iniziato nel secolo scorso) nel 2020 per la prima volta ha toccato quota 7, vale a dire 6,8 nati ogni mille residenti. Mentre cresce l’età media del genitore alla nascita del primo figlio che si attesta a 31,6 (dati 2021).
Statistiche confermate da una sconfortante ma non sorprendente notizia proprio di questi giorni e che vede come a Piacenza (Emilia Romagna) ci siano più cani che bambini. In dieci anni gli amici a 4 zampe sono raddoppiati: erano 6.316 al 31 dicembre 2012, sono 11.125 adesso. I bambini sono 10.335 della fascia 0-11 anni. E attenzione, il numero dei cani indica solo gli animali registrati all’anagrafe canina e dotati di microchip. Poi ci sono i “clandestini”…. .
Ecco perché è urgente conoscere i motivi per cui i giovani partono ma, soprattutto, le ragioni per cui tornare. Servono concrete misure adeguate che rendano l’Italia un Bel Paese non solo di nome ma anche come posto in grado di offrire ad ognuno le possibilità per realizzare il proprio progetto di vita. Non si può più aspettare.
L’indagine demoscopica della Fondazione Nord – Est, condotta con il supporto della Regione Veneta, sarà la prima di questo genere in Italia. Vi collaborano Daniele Marini, professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova che sarà a capo del coordinamento scientifico e Questlab, società esperta in elaborazioni dati nell’ambito della ricerca sociale ed economica.
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