3 maggio. Come sta la libertà di stampa?

Per il 3 maggio,  giornata mondialmente dedicata alla libertà di stampa (World Press Freedom Day), il Consiglio europeo, accanto all’Unesco, sottolinea la minaccia che incombe su  tale libertà nella “maggior parte del mondo”, nonostante sia stata  sancita dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 75 anni fa.

Tutti i giornalisti e operatori dei media, quotidianamente impegnati nel fornire informazione di qualità, purtroppo sempre più spesso  rivelatrice di gravi violazioni dei diritti umani e atrocità, e che reclamano ai politici la dovuta presa di responsabilità,  sono secondo il Consiglio  “sempre più esposti a calunnie, minacce e attacchi, anche attraverso la disinformazione”.

Accade in Ucraina, in Bielorussia e Afghanistan ma anche ai media indipendenti in Medio Oriente e Nord Africa, ai giornalisti locali nell’America centrale, ai vincitori del premio Nobel nelle Filippine e in Russia; e molti altri operatori dei media in tutto il mondo “continuano a pagare a caro prezzo l’esercizio della loro professione”.

Ancora una volta viene messo in risalto la vulnerabilità maggiore delle giornaliste sia in presenza che in remoto. Il 73% delle donne reporter sono sottoposte online alle minacce, all’incitamento all’odio sessista, al trolling, mentre offline sono esposte alla stigmatizzazione, agli abusi, alla violenza sessuale e di genere e all’omicidio. Mai come negli ultimi tempo si sono registrate tante giornaliste detenute.

Il rapporto di RSF

Il 20° World Press Freedom Index, pubblicato da Reporters Without Borders (RSF) rivela, invece, il duplice aumento della polarizzazione “amplificato dal caos delle notizie e dell’informazione, ovvero la polarizzazione dei media che alimenta le divisioni all’interno dei paesi, così come la polarizzazione tra i paesi a livello internazionale”.

I danni dell’online e della polarizzazione

Il rapporto che analizza e valuta lo stato del giornalismo in 180 Paesi tratteggia una situazione della stampa a tinte fosche.

Evidenzia gli effetti negativi “dello spazio informativo online globalizzato e non regolamentato che incoraggia notizie false e propaganda”. E riferisce di “società democratiche” all’interno delle quali crescono “le divisioni a seguito della diffusione dei media di opinione, secondo il modello Fox News e della diffusione di circuiti di disinformazione amplificati dal modo in cui funzionano i social media”.

Come è avvenuto negli Stati Uniti ( libertà di stampa al 45° posto, nella classifica di RSF), nonostante l’elezione del presidente Joe Biden. L’aumento della tensione sociale e politica è alimentato dai social media e dai nuovi media di opinione, soprattutto in Francia (26°). La soppressione dei media indipendenti sta contribuendo a una netta polarizzazione nelle “democrazie illiberali” come la Polonia (66°), dove le autorità hanno consolidato il loro controllo sulla radiodiffusione pubblica e la loro strategia di “ri-polonizzazione” dei media di proprietà privata.

Mentre a livello internazionale “le democrazie sono indebolite dall’asimmetria tra società aperte e regimi dispotici che controllano i loro media e le piattaforme online, mentre intraprendono guerre di propaganda con le democrazie”: due livelli di polarizzazione che aumentano la tensione.

L’invasione dell’Ucraina (106° posto) da parte della Russia (155°) alla fine di febbraio 2022, riflette questo processo: il conflitto fisico è stato preceduto da una guerra di propaganda. La Cina (175°), uno dei regimi autocratici più repressivi al mondo, usa “il suo arsenale legislativo per confinare la sua popolazione e tagliarla fuori dal resto del mondo, in particolare la popolazione di Hong Kong (148°), che è crollata nell’Index”. Cresce il confronto tra i “blocchi”, come si è visto tra l’India del nazionalista Narendra Modi (150°) e il Pakistan (157°). La mancanza di libertà di stampa in Medio Oriente continua a condizionare il conflitto tra Israele (86°), Palestina (170°) e gli stati arabi.

La situazione è pessima in 28 Paesi. Un record

La situazione è classificata come “pessima” in un numero record di Paesi: sono 28 nell’indice di quest’anno, mentre 12 paesi, tra cui la Bielorussia (153°) e la Russia (155°), sono nella lista rossa della classifica (che indica una libertà di stampa “pessima”).

I 10 paesi peggiori al mondo per la libertà di stampa includono il Myanmar (176°), dove il colpo di stato del febbraio 2021 ha riportato la libertà di stampa indietro di 10 anni, oltre a Cina, Turkmenistan (177°), Iran (178°), Eritrea (179°) e Corea del Nord (180°).

Dove la libertà di stampa gode di buona salute

Il trio di paesi nordici in cima all’indice – Norvegia, Danimarca e Svezia – continua a fungere da modello democratico in cui fiorisce la libertà di espressione, mentre “la Moldavia (40°) e la Bulgaria (91°) si distinguono quest’anno grazie a un cambio di governo e la speranza che ha portato a un miglioramento della situazione dei giornalisti, anche se gli oligarchi possiedono o controllano ancora i media”.

L’Italia

Nella classifica l’Italia si situa al 41° posto a causa “della situazione in cui si trovano numerosi colleghi minacciati, alcuni dei quali sotto scorta, e dello stallo in cui versano le proposte di legge di tutela del diritto di cronaca e della professione – ha precisato Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi- . Dalla cancellazione della pena detentiva per i giornalisti, peraltro sollecitata dalla Corte Costituzionale, al contrasto alle querele bavaglio sono numerose le proposte di riforma che il Parlamento continua a rinviare. Per non parlare dell’assenza di politiche di sostegno del lavoro regolare e di contrasto al precariato dilagante”.

 

Immagine di Arvin Latifi – pexels.com

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