Arte oltre il genere. Il primo passo di Berlino

Il Festival Internazionale del Cinema di Berlino ha preso le sue prime decisioni per il festival 2021. La Berlinale 2021 è programmata come un festival in presenza. Tra le decisioni prese, particolarmente rilevante, figura la nuova categoria Performance Awards Gender-Neutral.

La Berlinale ha riorganizzato i premi assegnati dalla Giuria Internazionale al Concorso. Per la prima volta, i premi per la recitazione saranno definiti non in base al genere ma sulla base della prestazione artistica. Invece dei premi per il miglior attore e la migliore attrice si avrà l’Orso d’argento per la migliore interpretazione protagonista” e un “Orso d’argento per la migliore interpretazione non protagonista

“Crediamo che non separare i premi nel campo della recitazione in base al genere costituisca un segnale per una maggiore consapevolezza e sensibilità in relazione al genere nell’industria cinematografica” hanno commentato i responsabili del Festival, Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian.

Un cambiamento “nominale” carico di significato e di implicazioni socio-culturali, antropologiche e nel suo senso più autentico, politiche.

Ne abbiamo parlato con Paolo Valerio, Professore Onorario di Psicologia Clinica e Presidente Onorario del Centro di Ateneo Sinapsi, Università Federico II di Napoli, Presidente della Fondazione Genere Identità e Cultura e Presidente dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere.

Qualcosa sta cambiando

“Qualcosa sta cambiando rispetto alle “gabbie” connesse al genere e alle sue espressioni. Un passo in avanti verso una società che amplia i confini legati al codice binario.”. Apre così la conversazione il Prof. Valerio, con quella fermezza pacata che lo caratterizza e che, finché l’ascolti, ti fa ri-credere nelle possibilità benefiche e solidali dell’essere umano. Mentre pronuncia le suddette parole compare nel suo viso un sorriso indulgente verso una società che tende a volere classificare, definire a tutti i costi, dimenticando, spesso, l’essenza dell’essere umano che va oltre ogni definizione, nel rispetto di sé stesso e dell’altro.

Quale è il punto chiave, essenziale che emerge dalla decisione della Berlinale di non etichettare qualità e competenze, quale per esempio il talento, che non ha genere? Mi fa riflettere Valerio, rispetto a una mia perplessità se non sarebbe stato meglio assegnare un terzo premio per una categoria non binaria. “Perché, esiste un Premio Strega per donne e per uomini, un premio Nobel differenziato per genere?”. No, in effetti, no. L’etichettatura comporta inevitabilmente una stereotipizzazione basata sul genere di cui, forse inconsciamente, ognuno di noi è vittima.

Il Prof. Valerio, psicologo ed esperto dell’Identità di genere rileva come il “cambio di paradigma” dovrebbe attuarsi fin dai primi anni di vita. Quando si dice a un bambino: “Che fai piangi come una femminuccia” o a una bambina le si mette in mano una bambola, solo perché appartiene al genere femminile, senza rendercene conto stiamo formando/indirizzando una sensibilità, un comportamento, stiamo creando concetti socio-educativi e formativi che poi si svilupperanno e si cristallizzeranno nel tempo. Con una forte ricaduta personale.

Di seguito le riflessioni del Prof. Valerio.

  •  Identità sessuale: un costrutto complesso. A questo punto potrebbe essere utile fare un po’ di chiarezza sul concetto di  genere, differenziandolo dal sesso.

A tal proposito bisogna cominciare a parlare di  identità sessuale, che è costituita da almeno 4 elementi: sesso biologico, identità di genere, espressione o ruolo di genere, orientamento sessuale.

L’identità sessuale, come la  ricerca in  campo psicologico ha ormai dimostrato, non è qualcosa di già dato, basata esclusivamente sui genitali o sui cromosomi, ma è qualcosa che si costruisce nel tempo, attraverso un lungo e complesso processo interattivo nel corso del quale si intrecciano in modo imprevedibile aspetti biologici, psicologici, socio-culturali ed educativi.

È qualcosa che è frutto della stretta e inestricabile interazione tra quella che definiamo cultura e quella che definiamo natura.

  • Identità di genere. Non mi soffermerò a lungo sul sesso biologico che come sappiamo fa riferimento alle caratteristiche genetiche, ormonali, anatomiche e fisiologiche dell’essere umano, sulle cui basi si distinguono i 2 sessi: Maschile e Femminile.

Sappiamo però che questo non basta a definire l’identità sessuale di una persona, in quanto dobbiamo anche considerare l’identità di genere che va intesa come il senso intimo, soggettivo, profondo di appartenere a un sesso e non all’altro. 

Questa però non va considerata come binaria o dicotomica. Esistono diverse sfumature identitarie. Infatti, alcune persone, benché siano state assegnate alla nascita in base all’apparenza dei genitali esterni a un sesso,  percepiscono se stesse come  appartenenti al sesso opposto o alcune, di non appartenere strettamente a nessuno dei due sessi biologici. Le prime vengono definite persone transgender, le seconde, persone non binary gender queer.

Naturalmente sto cercando di chiarire molto sinteticamente concetti che richiederebbero una più lunga e articolata trattazione.

  • Espressione di genere. Continuando il discorso sull’identità sessuale, dobbiamo considerare un’altra componente, l’espressione di genere o, come si diceva prima, i ruoli di genere.

Questa è la manifestazione pubblica dell’identità di genere, attraverso la quale comunichiamo a noi stessi e agli altri il genere a cui sentiamo di appartenere. Faccio riferimento a quell’insieme di comportamenti, atteggiamenti, modalità di presentazione sociale che nell’ambito di un determinato contesto socio-culturale è riconosciuto come tipicamente e rigidamente maschile o femminile.

Come tutti abbiamo appreso nel corso della nostra vita sociale, esistono regole precise riguardo a ciò che è considerato un’espressione accettabile del genere maschile o femminile.

Guai a chi non si uniforma o non rispetta queste regole. Sei un maschietto, non potrai mai indossare abiti rosa. Sei una femminuccia, devi giocare con le bambole e non con i fucili che è un gioco da maschi. Sapendo però che quello che nella nostra società viene severamente stigmatizzato è la femminilizzazione del maschio.

Quando diciamo a un bambino davanti ai suoi amichetti, non piangere, non fare la femminuccia, lo stiamo esponendo al rischio di essere insultato o preso in giro da chi assiste alla scena.

  • Orientamento sessuale. Infine, l’ultima componente dell’identità sessuale è l’orientamento sessuale, che indica la direzione della sessualità e dell’affettività in termini comportamentali o di fantasie verso persone del sesso opposto (eterosessualità), dello stesso sesso (omosessualità), di entrambi i sessi (bisessualità).

 

  • La persona: combinazione delle quattro componenti. Queste quattro componenti possono combinarsi tra loro in una miriade di modi mai prevedibili, perché , come ho prima accennato, sono influenzati dall’incontrollabile ed inestricabile relazione tra fattori culturali, sociali, ambientali e fattori connessi ad aspetti biologici.

A tutti questi, per rendere il tutto più complesso, dobbiamo poi aggiungere il caso… . Da quanto detto, possiamo comprendere quanto possa essere difficile per una persona sfuggire agli stereotipi di genere e ai pregiudizi ad essi connessi e quanto possono essere necessarie iniziative quali quella del Festival di Berlino di assegnare premi distinti non in base al genere di appartenenza o al genere percepito, ma sulla base della prestazione artistica.

  • Benessere sociale e prevenzione del minority stress. Sul piano sociale viene lanciato un forte messaggio che va a scardinare alcuni principi del nostro ordinamento societario che è ancora basato su identità binarie e su costrutti patriarcali, sessisti, eteronormativi e genderisti, in base ai quali esistono solo due sessi, maschio e femmina…ed è  è meglio essere maschio che essere femmina e tutto ciò che non si configura come  eterosessuale è considerato contro natura.

Un contesto sociale che accetta e valorizza le diversità nelle varie complesse forme con cui si possono configurare, in base al genere, all’etnia, all’età, all’abilità, all’orientamento sessuale o alle credenze religiose e che considera la libera espressione di sé un diritto di tutte le persone, non può che indurre benessere e prevenire le nefaste conseguenze sul piano somatico e psicologico di quello che definiamo come minority stress, il disagio e lo stress legato all’appartenenza a qualunque minoranza.

Purtroppo gli stereotipi di genere, sono stati dominanti nella società del secolo scorso e sono stati da una parte scardinati dalle lotte delle minoranze, rappresentate in prima fila dalle donne che hanno a lungo manifestato per affermare il diritto alle pari opportunità, a partire da quelle del voto e all’accesso delle professioni (forse nessuno ricorda che nel nostro Paese fino alla metà degli anni ‘60 le donne non potevano accedere alla Magistratura perché non considerate abbastanza emotivamente equilibrate).

Dall’altra parte sono stati rinforzati dall’educazione, basti pensare all’immaginario favolistico ( Biancaneve e i sette nani, Cenerentola, Cappuccetto Rosso)  in base al quale la nostra generazione è cresciuta, fortemente caratterizzato e paralizzato dai ruoli di genere assegnati ai maschi e alle donne.

Le vecchie abitudini sono dure a morire

Old habits, die hard”, canta Mick Jagger. Un breve racconto che il mio illustre interlocutore ha la bontà di narrarmi è quanto mai emblematico rispetto all’interiorizzazione socio-culturale di cui siamo vittime. Una docente di scuola primaria di fronte al comportamento di un gruppo di bambini rispetto ad una loro compagna di pelle scura, anziché imporre a parole l’inclusione, condivide con i bambini una poesia che parla dell’autunno, della lenta caduta delle foglie dal colore scuro.

Affidandosi alla suggestione poetica, la maestra riuscì in modo naturale a far avvicinare i bambini, alla “diversità”. Tuttavia la stessa maestra assistette divertita e compiaciuta dell’estro dei suoi bambini che avevano organizzato il “gioco delle veline” in cui i maschietti giudicavano l’avvenenza delle loro compagnucce. Probabilmente era talmente interiorizzato in lei il “ruolo di genere” che non si rese conto di quanto fosse diseducativo, l’apparente gioco innocente.

L’inconscia interiorizzazione dei ruoli comporta inevitabilmente delle storture educative e, dunque, di sviluppo nella crescita della persona.  L’incasellamento di ruolo può portare a scelte formativo-professionali lontane della propria “essenza” solo per timore di essere definito, classificato. Certe professioni come il ballerino (il film Billy Elliot docet), il fashion designer sono considerate professioni in cui la maggior parte degli individui sono di orientamento omosessuale. Ma è davvero un’equazione o una conseguenza del ruolo socio-culturale per cui persone con orientamento eterosessuale non sperimentano questi settori o, almeno, in minore percentuale?

Una polarizzazione che si evidenzia fin dalla scelta della scuola secondaria di II grado, con la classica concentrazione maschile negli istituti tecnici e quella femminile nei licei linguistici e di scienze umane.

Saluto il prof Valerio che mi lascia un’immagine suggestiva: la scena di un documentario sulla scuola di Maria Montessori, in cui si vedono bambini e bambine che lavano insieme i piatti dopo pranzo: “Va ridisegnata l’educazione per il benessere individuale e sociale. Sono fiducioso e ottimista al riguardo”.

 

 

Immagini: 1) Paolo Valerio, Professore Onorario di Psicologia Clinica e Presidente Onorario del Centro di Ateneo Sinapsi, Università Federico II di Napoli, Presidente della Fondazione Genere Identità e Cultura e Presidente dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere; 2) Maria Montessori, famosa fodantrice del metodo educativo che porta il suo nome

 

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