Contro la malaria. Le promesse dell’ingegneria genetica
“Nei Paesi endemici la malaria rappresenta la malattia trasmessa da vettore zanzara più diffusa al mondo, nei Paesi non endemici è la malattia d’importazione più importante legata principalmente ai viaggi in aree tropicali e all’aumento dei flussi migratori” (fonte: epicentro.iss.it).
Se nelle zone con temperature miti la malaria è stata eradicata già nella prima metà del XX secolo, persiste nelle aree tropicale e sub tropicale, soprattutto in Africa, dove è stimato che uccida 400mila persone l’anno. Mentre in Paesi del Sud-est asiatico, del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, del Pacifico occidentale e dell’America centrale e meridionale è presente con “diversi gradi di endemia ”. Pertanto, ci informa, l’ISS, la malattia colpisce ancora “quasi metà della popolazione mondiale soprattutto quelle residente in Paesi poveri”.
In Italia tra il 2013 e il 2018 sono stati registrati 3.805 malati e nel 2020 si ha avuto notizia di malati nel lecchese, nel trevigiano e nell’agrigentino.
Nonostante gli ingenti investimenti e le tante misure prese la lunga sfida tra la malaria e l’uomo continua. Ma una speranza sembra arrivare dall’ingegneria genetica e precisamente dallo studio di un team di ricercatori internazionali del quale fa parte il microbiologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova.
Gene drive, ossia la spinta genetica
Ispirandosi a meccanismi naturali il team ha messo a punto gene drive (spinta genetica o controllo genetico), la biotecnologia che potrebbe ridurre nell’ambiente il numero di zanzare responsabili della trasmissione della malattia.
“Il gene drive – spiega il microbiologo dalle pagine de ilbolive.unipd.it – è una tecnica che permette di diffondere una modificazione genetica in un’intera popolazione, partendo da pochi individui. Si tratta di un meccanismo che in qualche modo ribalta le leggi dell’ereditarietà, perché tutti gli organismi che si riproducono sessualmente hanno il 50% delle probabilità di ereditare una caratteristica genetica dal padre o dalla madre e il 50% di trasmetterlo alla progenie. Questo significa che una determinata caratteristica genetica in una popolazione rimane costante, a meno che non ci sia una forza selettiva positiva che ne favorisce la diffusione o una forza selettiva negativa che la ostacola”.
Il risultato è bloccare la capacità riproduttiva per ridurre il numero di zanzare responsabili della trasmissione della malattia.
I ricercatori sono riusciti a modificare il genoma della zanzara femmina antimalarica (Anopheles stephensi), assicurando poi “l’ereditabilità del nuovo tratto alla discendenza in quasi il 100% dei casi: intervenendo sul gene doublesex (una sorta di interruttore genetico per la determinazione del sesso dell’insetto), hanno ottenuto una zanzara sterile, incapace di pungere; la tecnica del gene drive (un dispositivo molecolare con cui hanno equipaggiato il gene bersaglio) ha garantito, “sulla base di modelli matematici di genetica delle popolazioni l’estinzione della popolazione di insetti in laboratorio nel giro di 7-11 generazioni. Un’altra strategia mira invece ad aumentare le zanzare maschio, che non trasmettono la malaria, innestando il gene drive sul cromosoma Y, che determina il sesso maschile”.
Una lunga storia
L’idea viene da lontano: Flaminia Catteruccia, ricercatrice italiana (allora presso l’Imperial College London, oggi trasferitasi a Harvard) riuscì a modificare stabilmente il genoma di una zanzara (Anopheles stephensi), per la prima volta nel 2000. Due anni più tardi si ottenne il genoma completo dell’insetto e nel 2003 gli studi di del professore canadese Austin Burt aprirono la strada al controllo delle popolazione di insetti attraverso la modifica del loro genoma.
Il primo gene drive risale al 2011 grazie allo stesso Burt e a Crisanti (all’epoca all’Imperial College London) che dopo 8 anni di tentativi ottennero nel 2011 i risultati del DNA sperati: un gene che avevano inserito nel genoma delle zanzare si era irradiato attraverso la popolazione, raggiungendo oltre l’85% dei discendenti degli insetti. Si trattava della prima “spinta genica” ingegnerizzata: una modificazione genetica progettata per diffondersi attraverso una popolazione a tassi di ereditarietà superiori al normale ottenuta con la tecnica di editing genico CRISPR, l’ormai famoso “taglia e incolla”.
Tornando al presente, il team che ha raggiunto l’ultimo traguardo pubblicato su Nature Communications è formato da scienziati dell’Imperial College di Londra, della North Carolina State University, dell’Università tedesca di Würzburg e della britannica Keele University.
Immagine 2 e in copertina: Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, nel 2011 mise a punto il ‘gene drive’