Il comportamento collettivo? Una disciplina in crisi da studiare

Quanto ci stanno cambiando i social network? Tanto al punto da rappresentare una minaccia per l’umanità secondo le conclusioni dello studio multidisciplinare Gestione del comportamento collettivo globale (Stewardship of global collective behavior) firmato da 17 scienziati e pubblicato dalla rivista scientifica PNAS.

Nell’ abstract dello studio gli scienziati spiegano il perché. “Nell’uomo, i flussi d’informazione sono stati inizialmente modellati dalla selezione naturale. E i nostri adattamenti sociali si sono evoluti nel contesto di piccoli gruppi cacciatori-raccoglitori che risolvevano i problemi locali attraverso vocalizzazioni e gesti. Mentre oggi sono sempre più strutturati dalle tecnologie di comunicazione emergenti che forniscono informazioni a basso costo e le trasferiscono rapidamente a livello globale. Siamo nell’era digitale, dove l’ascesa dei social media hanno accelerato i cambiamenti nei nostri sistemi sociali, con conseguenze funzionali poco comprese”.

Il divario tra la conoscenza e la comprensione del funzionamento delle tecnologie su vasta scala rispetto alla complessità dei sistemi tecnologici “implica una serie di pericolo per le società democratiche e per il progresso scientifico e per “affrontare le crisi globali”. Perché “se si lasciano liberi di agire, i meccanismi di comunicazione dei social, che tra l’altro comprendono “mi piace”, commenti e condivisioni, potrebbero portare a “manomissioni elettorali, malattie, estremismo violento, carestie, razzismo e guerra” sostengono gli studiosi.

Una disciplina in crisi il cui studio richiede sforzi raddoppiati

“Non esiste un motivo per cui una buona informazione salga in cima a qualsiasi ecosistema tra quelli progettati” spiega il co-autore Carl Bergstrom – e la mia impressione è che i social media in particolare, così come una gamma più ampia di tecnologie Internet, tra cui la ricerca guidata da algoritmi e la pubblicità basata sui clic, abbiano cambiato il modo in cui le persone ottengono informazioni e si formano opinioni sul mondo. E sembra che lo abbiano fatto in un modo che renda le persone particolarmente vulnerabili alla diffusione della disinformazione”.

“Ora ci troviamo di fronte a sfide globali complesse dalle pandemie ai cambiamenti climatici e comunichiamo su reti disperse collegate da tecnologie digitali come smartphone e social media” terminano gli studiosi – Con legami sempre più forti tra processi ecologici e sociologici, evitare la catastrofe a medio termine (ad esempio, coronavirus) e a lungo termine (ad esempio, cambiamenti climatici, sicurezza alimentare) richiederà risposte comportamentali collettive rapide ed efficaci, ma non si sa se le dinamiche sociali umane produrranno tali risposte”.

“Sosteniamo che lo studio del comportamento collettivo debba essere all’altezza di una “disciplina in crisi” proprio come hanno fatto la medicina, la conservazione e la scienza del clima, con particolare attenzione a fornire informazioni utili ai politici e ai regolatori per la gestione dei sistemi sociali”. Lo studio, dunque, include un appello rivolto agli altri ricercatori che dovrebbero raddoppiare i propri sforzi per comprendere la nuova struttura del comportamento globale, data anche l’urgenza dei problemi sociali collegati alla materia di studio.

Esattamente come accade in biologia, portano ad esempio i 17 autori, alla presenza di una specie in estinzione, dove la ricerca orientata alla conservazione, deve andare più veloce del processo di decimazione degli animali sotto osservazione.

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