L’aducanumab, il nuovo farmaco contro l’Alzheimer. Facciamo chiarezza
Non deve creare illusioni e/o false speranze l’approvazione dell’ente governativo statunitense, Fda (Food and Drug Administration) del farmaco aducanumab per il trattamento del morbo di Alzheimer che presenta “potenzialità per rallentare il decorso della malattia”.
Una precisazione quest’ultima che indica come il farmaco non sia la soluzione per sconfiggere la malattia come spiega Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma. “Non sarà per tutte le persone colpite da Alzheimer – precisa Rossini -. Questo nuovo farmaco è il primo in grado di interferire con uno dei tanti ‘killer’, la proteina beta-amiloide ma per quello che ricordo ha potenziali effetti collaterali come microemorragie cerebrali. Chi lo farà (stimo in Italia circa 100mila pazienti candidali se ci sarà l’approvazione dell’Ema e dell’Aifa) dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e aver documentato la presenza della proteina beta-amiloide”.
Lo stesso ente americano ha chiesto alla Biogen (l’azienda che produce la terapia) un nuovo test clinico e ricordiamo che l’approvazione non ha ricevuto il consenso della Commissione indipendente di esperti della Fad, per la quale non ci sono prove sufficienti che dimostrino che l’ aducanumab possa davvero alleviare la malattia.
Aducanumab è un anticorpo monoclonale e la somministrazione avviene con un’iniezione al mese per via endovenosa che nella terapia contro l’Alzheimer contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stadio iniziale della malattia. Il costo annuo del trattamento potrebbe arrivare a superare i 50mila dollari l’anno. Dunque senza l’intervento del sistema sanitario rimarrebbe (rimarrà?) un intervento soltanto per pochi malati.
Perché allora tanto clamore? Perché è “dal 2003 – riporta il Washington Post – che nessun farmaco è stato approvato per l’Alzheimer” e perché si tratta del primo trattamento che interessa il decorso e non si limita ad aggredire i sintomi della demenza.
Ma teniamo a mente: si è vinta una battaglia (forse), non la guerra.