Swaziland celebra il suo primo Gay Pride
Il 30 giugno 2018, centinaia di persone hanno partecipato al primo Gay Pride nel piccolo Stato dello Swaziland (nella foto a lato), minuto regno di 1 milione di abitanti, dove vige l’unica monarchia assoluta in Sudafrica – e una delle poche rimaste al mondo – e dove l’omosessualità è considerata un reato.
Organizzata dall’Associazione locale The Rock of Hope, appoggiata dall’Ong All Out, associazione internazionale per i diritti Lgbt, la manifestazione si è svolta in un clima di allegria e senza incidenti. Come aveva promesso la Polizia locale nel rapporto consegnato alla Rock of Hope che garantiva alla manifestazione la massima sicurezza. Sebbene nei giorni precedenti si fossero levate voci contrarie dallo stesso corpo della Polizia e dai tanti detrattori appartenenti soprattutto all’ambiente religioso.
Grande fermento nel mondo dei social network per questo primo Gay Pride che segna un evento storico nella comunità Lgbt e un altro importante primo passo verso la conquista universale dei diritti civili .
La Swaziland, che recentemente ha cambiato il suo nome per Regno di eSwatini, non considera l’omosessualità un reato in sé, né è stata esplicitamente proibita, ma è un reato per il diritto consuetudinario, di conseguenza si registrano casi di condanna per sodomia.
Meno chiarezza invece si riscontra sia nel rapporto tra 2 donne sia verso la transessualità, la quale non è perseguitata ma non esistono regolamenti che permettano il cambiamento legale o clinico di sesso. Non va dimenticato, però che il piccolo regno fa parte del Commonwealth e come tale ha subito la grande influenza del Regno Unito, dove fino al 1967 l’omosessualità è stata considerata un reato.
Dei 49 Stati dell’Africa subsahariana, soltanto 21 permettono le relazioni gay, perché sono state depenalizzate o perché si trovano in uno stadio di alegalità istituzionale; tra questi troviamo il Sudafrica, la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda, la Costa d’Avorio e la Repubblica del Ciad.
Nei rimanenti Stati sub sahariani i rapporti tra persone dello stesso sesso continuano a essere considerati delitti contro natura e come tali perseguibili e condannati severamente anche con la pena di morte: come avviene in Mauritania dove gli uomini vengono lapidati, mentre le donne sono condannate dai 3 mesi ai 2 anni di carcere; castighi fisici anche in Sudan, dove gli omosessuali sono condannati alle frustate o in Mauritius costretti ai lavori forzati; la pena perpetua invece è ancora in vigore in Uganda o in Tanzania; con pene severe fino a 25 anni di carcere sono previste nel Ghana, o condanne più miti ma che prevedono sempre l’arresto e la prigione (dai 6 mesi ai 3 anni) come avviene in Guinea, Somalia e Burundi.