Se non siamo gigli siamo pur sempre figli di questo mondo

Se tu penserai, se giudicherai/da buon borghese/li condannerai a cinquemila anni più le spese./Ma se capirai, se li cercherai/fino in fondo/se non sono gigli son pur sempre figli/vittime di questo mondo” – da La città vecchia, di Fabrizio De Andrè

 

Era una notte stellata, bella e profumata di salmastro, come può solo esserlo una notte in riva al mare. I gradoni in cemento del teatro Conchiglia erano freddi, ma nessuno ci faceva caso. La gente, vicina l’una all’altra, si trasmetteva il calore sufficiente per sentirsi in perfetta sintonia con le canzoni di De Andrè portate nell’aria dalla voce di Francesco Faber.

La magia tutt’intorno era talmente evidente che  sembrava di rivedere il cantautore genovese lì presente sul palco. Il pubblico, proveniente da molte regioni italiane, accompagnava ogni canzone sull’onda di ritornelli, talvolta difficili da capire in quanto espressioni dialettali, ma che chissà perché quasi tutti li conoscevano.

Oggi ritorna, prepotente come un tuono, ma lucente come un lampo, l’immagine di Fabrizio De Andrè, dato che papa Francesco ha preso in prestito questo cantautore ed ha inserito le parole di una sua canzone come prefazione al libro Quarantena di Alver Metalli (uscito in formato ebook), che racconta la vita e la storia di Padre Pepe sotto forma di diario e che descrive “la peste” in una bidonville di Buenos Aires.

Tra le catapecchie argentine dette La Cárcava dove vivono persone abbandonate, sole, o nuclei famigliari molto numerosi che, in spazi impossibili, non vedono né sole, né stelle, padre Pepe ha preparato per loro un posto dove possono attendere fino a quando la “peste” non sarà passata.

Il Papa l’ ha definito un libro piccolo ma prezioso perché ci dà la testimonianza che non c‘è zona, per quanto oscura, dove un raggio del Buon Dio non arrivi a riscaldare i cuori ed a illuminare esistenze invisibili. Ecco quindi come tutto ci riporta a un Fabrizio De Andrè, ateo, anarchico, arrabbiato con Dio, nato in una famiglia borghese e benestante, ma che ha voluto ricordare e incontrare con le sue parole un mondo sul quale si chiudono spesso gli occhi.

E la frase di una sua canzone Il sole del buon Dio non dà i suoi raggi perché troppo impegnato a scaldare la gente di altri paraggi, fa da apripista ad altre, quali Si chiamava Gesù”, Preghiera in gennaio e Spiritual, tutte trasmesse da Radio Vaticana e di domenica, in contrasto con la censura optata dalla Tv nazionale.

Erano quelle sue aperture che De Andrè aveva voglia di portare sul palcoscenico perché affascinato da Cristo che definiva il più grande rivoluzionario della storia. Con La Città Vecchia, forse il cantautore genovese aveva preso a prestito la canzone Embrasse moi  del poeta francese Prevert, al quale si sentiva molto simile,  ove vi era un giudizio sul cattolicesimo, sferzante ma provocante, per i giovani di quel lontano 1946, usciti dalla cruda seconda guerra mondiale.

Oggi, questa peste chiamata Covid  mette in evidenza una povertà che proprio nelle periferie – e non solo – del mondo, regna sovrana e non riesce più a nascondere e tacitare l’urlo di richiesta d’aiuto di uomini, donne e bambini cresciuti in mezzo a droga, violenza e miseria.

Da De Andrè ad Alver Metalli, da Padre Pepe a Papa Francesco è un quadrato che racchiude un’attesa, per quanto lontana e buia, affinché un raggio di quel sole divino, si apra ed arrivi a riscaldare le zone del mondo, in modo che questa “peste del 2020” possa così essere cancellata ed allontanata. Il sole benedetto, astro del ciel, riuscirà a spegnere tutti i focolai che stanno colpendo la nostra terra? Questa è la nostra speranza.

 

 

 

 

 

Immagini dall’alto: 1) cantautore Fabrizio de Andre   – Foto IPP/Cinetext- WARNING AVAILABLE ONLY FOR ITALIAN MARKET – Italy Photo Press 

 

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