Da guerrieri ad atleti. Per salvare il re della foresta

In Kimana (Kenya) si è appena conclusa la 4° edizione dei Maasai Olimpics, i Giochi Olimpici dei Masai, introdotti come alternativa al tradizionale rito di passaggio all’età adulta, che vorrebbe i giovani diventare coraggiosi guerrieri attraverso la caccia ai leoni, dimostrando la loro abilità con le lance, tagliando la coda del leone come trofeo, mostrandola poi ai 7 villaggi che visita.

Una tradizione che dura da oltre 500 anni e, dunque, radicata. E così, nonostante le tribù nomadi Masai, abituate come sono alla convivenza con i grandi felini, svolgano un ruolo fondamentale per la loro conservazione e protezione, in Kenya si contano poche centinai di esemplari.

Il re della foresta è, dunque, a rischio estinzione. Un problema che ha indotto 8 anziani dell’etnia Masai (gli anziani sono ritenuti i custodi della cultura) a sposare l’iniziativa della Fondazione Big Life: sradicare la tradizione della caccia dei leoni e convertirla in un tabù culturale, attraverso un vasto programma che prevede anche l’introduzione dello sport competitivo.

Da cacciatori ad atleti: le Maasai Olimpic

Da cacciatori ad atleti: l’attività fisica competitiva con il quale misurare la propria capacità fisica e di resistenza. “Andare a caccia di medaglie invece di leoni” è lo slogan dei Maasai Olimpics per portare la popolazione alla conservazione del loro habitat naturale, la “via della conservazione”, l’unica che può garantire un futuro sostenibile in grado di salvaguardare la sopravvivenza stessa dei Masai.

Dal 2012, ogni 2 anni, i giovani tra i 12 e i 15 anni delle tribù Masai competono nel corso di 5 mesi a livello locale e regionale, per approdare alle Olimpiadi nazionali che comprendono per gli uomini le seguenti attività sportive: corsa di resistenza (5 chilometri) corsa di velocità (800 e 200 metri), salto in alto, lancio del giavellotto e del ‘rungu’ il bastone tradizionale usato dai guerrieri sia in guerra sia a caccia.

Anche le ragazze Masai partecipano ai Giochi: per loro sono le gare di mezzofondo (1500 metri piani) e gara di velocità (100 metri).

Troppi uomini e troppi pochi leoni

“Troppi uomini e troppi pochi leoni” per questa etnia che è riuscita nel corso dei secoli a sopravvivere nella savana con l’ allevamento:  superando severe crisi di siccità,  con le loro mandrie di bovini, ovini e caprini, prosperando inseguendo la fauna selvatica con la cadenza delle migrazioni stagionali e selezionando gli animali più robusti, adatti alle terre aride, preservando così la savana di Amboseli – Tsavo.

Un’area, quest’ultima, che si estende tra il Kenya meridionale e la Tanzania settentrionale: una delle più ricche di sauna selvatica del continente africano, ma che secondo i dati, non ufficiali, riportati dal National Geographic, in un’estensione di 2200 miglia quadrate sopravvivono appena 100 leoni.

Non solo tradizione 

Ma non è solo la tradizione a rendere i Masai nemici dei leoni. L’economia di queste tribù, dicevamo, dipende dagli allevamenti di bestiame, i cui animali sono spesso vittime dei grandi felini.  E la popolazione locale a sua volta uccide i leoni per difendere i suoi animali.

Per questo la National Geographic Society, oltre al contributo versato di 150mila dollari (circa 130mila euro), ha creato un fondo pubblico per partecipare al progetto Maasailand Preservation Trust che sostiene fra l’altro il Trust’s Predator Compensation Fund (PCF) che fornisce un risarcimento ai pastori Masai locali per ogni animale perso per colpa dei leoni. Instaurando il principio di compensazione, scrive il National Goegraphic, il programma sembra dare buoni risultati, “alleviando l’onere finanziario dell’allevatore” e rimuovendo “qualsiasi giustificazione razionale per le rappresaglie” contro il re della foresta.

 

Fotografia di copertina: by Katami Michelle

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