Indonesia. La prima scuola islamica per transgender
In Indonesia, il Paese con il maggior numero di musulmani, sorge, forse l’unica, sicuramente la prima madras per transgender al mondo: la Pondok Pesantren Waria Al-Fatah.
A Yogyakarta, nell’isola di Java, la scuola islamica è stata fondata nel 2008 da Shinta Ratri, una transessuale che si è fatta portatrice delle difficoltà che vivono le persone trans indonesiane nelle moschee, dove gli uomini e le donne pregano separati, un’abitudine che aumenta i problemi dei transgender, perché rifiutati violentemente come sono da entrambi i gruppi: femminile e maschile.
Shinta Ratri consapevole della necessità e del diritto per le donne trans di pregare con la legittima tranquillità e sicurezza, ha fondato la madras nella casa che fu di sua nonna, un caratteristico joglo di legno del XIX. Oggi Pesantren, punto di riferimento dei trans musulmani praticanti di tutta l’Indonesia, conta circa 40 allievi. Al contrario delle altre madaris, gli allievi non sono adolescenti o al massimo ventenni ma persone mature. Quattro delle studentesse vive nell’internato. Tra queste c’è Yumi Sara di 50 anni. Vive nella madras dal 2010. Quando non studia il Corano, Yumi Sara si occupa della condizioni dei malati di Aids nella città. “Ad Allah non interessa l’identità di genere” dice Sara “le persone trans sono delle creature belle create da Allah”.
Anche la fondatrice Ratri, oltre a dirigere la madras, si occupa dell’educazione sui temi LGTB nei campus della città.
La chiusura dell’ Indonesia
In Indonesia le persone trans sono denominate waria, fusione dei termini wanita – che significa donna – e pria – che significa uomo. Per loro l’inserimento sociale e professionale è tutt’altro che facile: lavorano molto nel mondo dell’arte, ma spesso per sopravvivere sono costrette all’accattonaggio e alla prostituzione. Anche se l’omosessualità e la transessualità non sono illegali, negli ultimi tempi queste 2 categorie sono nell’occhio del ciclone dei conservatori e fondamentalisti. Nel 2016 la Associazione Psichiatrica del Paese ha dichiarato che le persone trans “soffrono di disturbi mentali” e come tali vanno curati. Una reazione dura che ha portato a maggio e a novembre 2017 all’arresto di 191 transessuali e omosessuali con l’accusa di pornografia o blasfemia. Mentre, riporta eldiario.es, il parlamento indonesiano dibatte su un provvedimento che escluderebbe le persone LGTB dai programmi televisivi nazionali.
La stessa madras Pesantren nel 2016 ha risentito del clima discriminatorio e ostile, ed è stata costretta a chiudere per vari mesi, perché pur ricevendo violente minacce da parte di gruppi conservatori, le autorità locali non le hanno assicurato la giusta protezione. Ma Pesantren gode di stima e prestigio e sono in molti nella stessa Yogykarta a sostenere l’istituzione e la sua missione.
Tra i tanti, come riferisce eldiario.es c’è Arif Nuh Safri (nella foto a lato), professore di teologia presso uno dei Centro di Studi Coranici della città. Safri lavora come volontario presso la Pesantren, organizzando sessioni di preghiera e letture coraniche. Convinto che ogni persona ha diritto di accedere alle verità religiose, il professore ha spiegato a eldiario.es che “quando parliamo di religione, parliamo di umanità. Se parliamo di religione, ma non rispettiamo l’umanità, perdiamo il senso stesso della religione”.
L’apertura del Bangladesh
Le parole di Nuh Safri non rappresentano un eccezione nel vasto e variegato mondo islamico. Nel 2016, mentre l’Indonesia viveva una recrudescenza discriminatoria contro i Lgbt, in Pakistan invece si navigava nella rotta opposta. Una sentenza non giuridicamente vincolante ma firmata da 50 religiosi ha dichiarato che le persone transessuali hanno il diritto di sposarsi, di essere sepolti con rito musulmano e di godere delle stesse prerogative di successione (fonte Reuters gennaio 2016).
Anche in questo Paese, come in Indonesia, i trans gender sono emarginati; la decisione dei religiosi, infatti, è seguita alla morte di una transgender di 23 anni, decesso causato dal rifiuto di un ospedale pubblico di curarla. I professori del corano nella loro sentenza hanno scritto: “Dare fastidio alle persone transgender, prenderle in giro o pensare a loro come inferiori è contro la sharia (legge islamica sacra ndr). Atti pari a opporsi a una delle creazioni di Allah”.
Andare oltre ai pregiudizi
La sentenza dei professori coranici del Bangladesh, così come la madras di Shinta Ratri rappresentano esempi importanti d’apertura culturale. Dimostrano come nel mondo musulmano, com’è accaduto ovunque nel corso dei lunghi e lenti processi evolutivi, anche se a volte sembra che si compiano passi all’indietro, in realtà, pur con fatica, si avanza.
D’altronde nello stesso Occidente democratico e moderno non è passato molto tempo da quando l’omosessualità e la transessualità sono state riscattate dall’elenco delle malattie mentali e riconosciute come espressione del personale orientamento sessuale. Ancora meno tempo è trascorso da quando riconosciamo (non ancora appieno) i diritti delle persone LGBT.
Sarebbe buona e onesta pratica, dunque, cercare di capirci di più e di giudicarci di meno; di superare i pregiudizi reciproci perché come dice l’imam Nu Safri “quando parliamo di religione, parliamo d’umanità”.
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