Clima. La delusione di COP 24

“Far fallire le motivazione di questo vertice sarebbe immorale e suicida” così si è espresso Antonio Guterres il segretario generale dell’Onu nel corso del summit sul clima, COP 24 che si è concluso in Polonia il 14 dicembre 2018. Ma questa affermazione – né retorica né (ahinoi) eccessiva –  è stata accolta e tenuta in considerazione dai grandi del mondo riunitisi a Katowice,  per affrontare le calamità, già in atto in varie parte del mondo, prodotte dai cambiamenti climatici?

Tante erano le aspettative  che si concentravano intorno a questo incontro internazionale. Certo, per realizzare il suo obiettivo primario: creare l’agenda sugli Accordi di Parigi (COP 21 del 2015), ossia il programma di tutte le azioni che ogni Paese decide di mettere in campo per realizzare il contrasto contro i danni incombenti per il riscaldamento globale.

Un obiettivo che gli Stati si erano già prefissati nei vertici precedenti COP 22 e COP 23, sempre disatteso e rimandato.  Ma soprattutto su Katowice incombeva il rapporto scientifico Report Global Warming dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico), pubblicato nell’ottobre 2018, che smentisce gli stessi Accordi di Parigi.

Se questi ultimi, infatti, prevedevano un possibile sforamento dell’aumento  della temperatura di 2 gradi, il Report dell’IPCC (redatto da 91 autori di 40 Paesi, su  6 mila riferimenti scientifici)  afferma che, per limitare i danni catastrofici del surriscaldamento globale, possiamo superare soltanto di 1,5°  gradi i valori dell’epoca pre-industriale (1885). 1° C di media lo abbiamo già raggiunto, lo sforamento dunque non può superare l’innalzamento di 0,5° C.

Per salvarsi dai cataclismi già in essere dobbiamo raggiungere l’abbattimento delle emissioni di gas serra entro il 2050: gradatamente ma velocemente, portare le emissioni di biossido di carbonio determinate dalle attività umane,  entro il 2030 al 45% in meno rispetto ai livelli del 2010. Salvarci, possiamo, dunque, ma abbiamo 12 anni di tempo.

Questa era la portata del vertice di Katowice. La conclusione cui è giunto,  è all’altezza di quanto realmente il mondo ha bisogno? La risposta in realtà è, complessivamente, deludente.

Quale obiettivo raggiunto? Soltanto quello che si rimandava da anni

Finalmente dopo 3 anni è stato raggiunto l’obiettivo della creazione del libro delle regole, attraverso il quale attuare l’Accordo sul clima di Parigi,  il Katowice Climate Package, come è stato definito, attraverso il quale i Paesi forniranno le informazioni sulle misure nazionali attuate per ridurre le emissioni, le ormai famose NDC.

Del Package fanno parte anche i dettagli sulla finanza climatica, ovvero il contributo di risorse destinato alle economie in via di sviluppo  –  particolarmente vulnerabili ed esposte ai danni del cambiamento climatico – affinché adottino fonti di energia pulita; stabilite inoltre  le linee guida per stabilire i nuovi obiettivi di finanziamento dal 2025 in poi e la valutazione dei progressi nello sviluppo e nel trasferimento della tecnologia.  Il libro, infine, ha stabilito gli standard a cui i Paesi sottoscriventi  dovranno adeguarsi:  svincolarsi dagli impegni presi per loro sarà più difficile.

Ma le critiche non mancano. Le associazioni del settore lamentano una mancanza di chiarezza sul modo in cui i Paesi industriali contabilizzeranno il finanziamento verso i Paesi deboli. Come si raggiungerà, si chiedono,  l’obiettivo previsto di 100 miliardi di dollari entro il 2020?

Schivati i richiami degli scienziati

Orecchie da mercante, l’aspetto più grave di questo COP 24, rispetto alle pregnanti esortazioni e indicazioni del Report dell’IPCC.  Molti i Paesi giunti impreparati, altri  hanno glissato su come tagliare le emissioni.

I Paesi insensibili ai richiami della scienza sono oltre agli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, il Kuwait, la Russia, la Polonia e l’Australia.

La Polonia non ha intenzione di cambiare la sua fonte energica primaria (l’80% del fabbisogno nazionale) costituita dal carbone.  Il Kuwaitl’Arabia Saudita e la Russia sono tra i maggiori produttori di greggio e non hanno intenzione  di apportare cambiamenti alla loro economia basata, appunto, sullo sfruttamento delle fonti fossili, per rispettare il dimezzamento delle emissioni di CO2 entro il 2030. L’Australia, nel corso della COP 24 ha esposto i benefici del carbone.

Il Brasile,  anticipando le politiche ambientali  della prossima  presidenza di Jair Bolsonaro (1° gennaio 2019), ha ritirato la sua candidatura per accogliere il prossimo summit sul clima (COP 25).  Bolsonaro è un negazionista, rinnega che siano le attività umane a produrre il cambiamento climatico. Rifugge  dagli Accordi di Parigi; vuole riprendere la deforestazione della foresta amazzonica (il polmone verde del mondo) per ampliare le aree dedicate alla coltivazione della soia e all’allevamento del bestiame. Pensa di accorpare il ministero dell’Ambiente con quello dell’Agricoltura, quasi la configurazione della grande forza economica del Paese: i grandi  proprietari terrieri e l’industria agroalimentare.

Un discorso a parte meritano gli Stati UnitiNon tutti i 51 Stati seguono le politiche anti ambientaliste del presidente Donald Trump, che ha ritirato gli Usa dagli Accordi di Parigi ed è deciso ad eliminare i vincoli sulla protezione ambientale introdotti dalla precedente amministrazione Obama.  15 infatti sono gli Stati ribelli (che hanno partecipato alla COP 24),  tra i quali la California, lo Stato più abitato degli States e, al 2017, quinta economia del mondo.

Se mezzo grado vi sembra poco

Se lo status quo rimane inalterato l’aumento della temperatura potrebbe raggiungere un innalzamento dai 3° ai 4° C della temperatura media globale, ossia il doppio rispetto alle raccomandazioni degli scienziati (non oltre l’1,5°C, considerando che 1°C lo abbiamo già raggiunto, l’avanzo a disposizione è di solo 0,5%).

Mezzo grado di differenza sembrerebbe quasi un’inezia. In realtà per gli scienziati il raggiungimento dei 2° C provocherebbe tra i tanti mali: l’innalzamento del livello del mare (l’Italia è particolarmente in pericolo), l’erosione costiera, alluvioni, lunghe stagioni secche alternate da piogge devastanti, acidificazione degli oceani. Fenomeni che  porterebbero a carestie (per perdita di pescato ad esempio) e allo scarso accesso  all’acqua per dissetarsi: la popolazione mondiale potrebbe diminuire del 50%.

I prossimi vertici

L’agenda Onu per l’ambiente ha fissato il prossimo vertice, COP 25, in Cile, nel corso del quale saranno perfezionati gli elementi del regolamento dell’Accordo di Parigi e si inizierà a lavorare sugli obiettivi futuri.

Il 2020, quando si svolgerà  COP 26 (l’Italia, oltre alla Gran Bretagna si è offerta per ospitarlo) i Paesi dovranno dimostrare di aver mantenuto gli impegni presi  in scadenza per quell’anno e fissare i successivi per i prossimi 10 anni. Quelli, secondo gli scienziati dell’IPCC, decisivi per salvarci dal riscaldamento globale e salvare la vita sulla Terra, almeno per come l’abbiamo intesa finora.

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