Roma città aperta. Lo stornello universale del Capitano
Un giocatore, una città. Lo spirito calcistico che confluisce e rafforza il senso di appartenenza all’urbe. Il saluto di Totti, il capitano della Roma avvenuto domenica 28 maggio 2017, ha lasciato il segno. Le scarpe appese hanno spaccato l’opinione pubblica. Il polo dei fedelissimi sta elaborando il “lutto”, di contro il polo degli “anti” sostiene la tesi del falso mediatico e della “Roma non è Totti”. Immancabile la terza fazione che dal centro che proclama il suo IN MEDIO STAT VIRTUS !
Ebbene, al di là delle polemiche stiamo assistendo ad un fenomeno: ad una settimana dall’addio di Totti il rammarico commisto di orgoglio e pregiudizio non sembra placarsi. I Campioni di ieri e di oggi hanno partecipato con un saluto, e un richiamo al senso della sportività. Maradona, all’alba del suo ritorno allo stadio San Paolo del Napoli, ha voluto omaggiare il calciatore sui social. Altro commiato eccellente: il casco di Rossi, beniamino del moto gp, su cui è impressa la.famosa frase dell’attaccante giallorosso ” mo je faccio er cucchiao”; una pietra miliare.
Un attaccamento all’attacante, che si mostra come un’epidemia inarrestabile. Un fenomeno, lui Totti straordinario atleta, esempio non solo per le sue prodezze in campo, ma per l’attaccamento alla sua città. Amato e criticato, ha creato comunque una complessa fenomenologia che va forse considerata al di là dell’aspetto strettamente sportivo. Oltre l’area.
Per l’ennesima volta il capitano ha saputo fare goal, provando ad andare oltre l’individualismo vigente, accomunando tutti in un afflato unanime. In questa epoca senza inni, i suoi inchini accanto alla famiglia hanno commosso il mondo. La sua sfilata si è fatta mentore di quotidianità. Un segno del tempo che si fa demiurgo della realtà e interrompe il sogno collettivo. Un sogno lungo 25 anni.
I primi ad essere colpiti dalla morsa degli anni i romani che, proprio secondo Totti, vivono il privilegio di essere nati nell’Urbe. Una lontana chimera di fierezza, oggi increspata dalla mortificazione quotidiana. Tutti con Totti, mentre la città immobilizzata si prostra su malesseri congeniti come la sua eternità.
Chi vive a Roma conosce lo strazio giornaliero di questa capitale capitolata nell’inefficienza strutturale, dove le macerie del presente rendono il futuro un’ombra tremula. Eppure, Tutto per Totti l’ha cancellata; tutti per Totti in nome di un farsi comunità entro e fuori dagli spalti, all’ombra della sera. … E poi l’eco dei mille rimpianti.
Qualcuno ha sofferto per la magia depauperata del suo campione, qualcun altro si è commosso pensando a un caro che li lascia, versando lacrime giallorosse. C’è chi si è rivisto adolescente nello sguardo del proprio figlio, anche lui testimone di fede. Un Olimpico, con la sua divinità.
Quello che fa riflettere è che ancora oggi c’è bisogno di deificare il presente, affinché si possa vivere l’opportunità dei propri miti. Democrazia dell’oltre. Cosi questa onda anomala di fede e fedeltà ha superato i confini nazionali, è andata oltre. Oltre la nostra giovane repubblica, prima, seconda pur sempre repubblica da festeggiare. Se ne è parlato sui rotocalchi di tutto il mondo. “Uno dei congedi più iconici nel mondo del calcio“, intitola il britannico Mirror. Questo stupisce. O forse è segno degli avvenimenti degli ultimi tempi?
A me ha colpito l’incontro con un bimbo di undici anni che, seppur non romano, mi ha descritto il suo personale legame con il calciatore. Una fratellanza a suo dire. Con fermezza critica si è acceso nel raccontare i suoi sentimenti dinnanzi alle immagini di quell’Addio. Emozioni che ha saputo ben dosare sebbene sia sfumata una fervida commozione mentre sagace, citava il vuoto che da ora in poi l’attende. “Io sono cresciuto con Totti” mi ha detto, congedandosi.
Io, personalmente, sono cresciuta fra le grida di mia madre che cantava “noi c’avemo er core grosso mezzo giallo e mezzo rosso”, mamma Roma, Roma città aperta che riconosce il chiasso del suo popolo che crede…