Il cinema Odeon di Milano non chiude ma si rinnova
L’Art Decò delle sue entrate e del foyer, dei suoi lampadari e dei suoi marmi policromi, della scalinata e del salone al piano terra non saranno offesi dal restyling a cui sta per essere sottoposto lo storico cinema Odeon di Milano, che il 31 luglio 2023 proietterà i suoi film.
Poi chiuderà i battenti e inizieranno i lavori che lo trasformeranno in un centro polifunzionale con negozi, ristoranti, uffici, mantenendo l’impostazione liberty dell’edificio costruito nel 1929 e, secondo il progetto comunicato dalla proprietà, il cinema non scomparirà: le 5 sale, e non più 10, saranno collocate al piano interrato.
Durante la riqualificazione dell’edificio i lavoratori saranno ricollocati negli altri multisala della proprietà, The Space Cinema.
Odeon, un luogo iconico nell’ affascinante vecchia Milano, a due passi dal Duomo, fece la sua prima proiezione il 26 novembre 1929, con il film La spedizione del Barone Franchetti in Dancaglia.
L’edificio subì gli orrori della Seconda guerra mondiale: colpito da un bombardamento nell’agosto 1943, all’inizio del successivo settembre riprendeva già l’attività supplendo anche alla chiusura de La Scala (chiuso per danni più seri): oltre alla tradizionale attività cinematografica le sue sale accoglievano i concerti.
Nel 1986 venne acquistato dal gruppo americano Cannon, che ne fece una multisala sacrificando il teatro sotterraneo; nel 2009 la proprietà passò al gruppo The Space Cinema.
Ed è stata proprio The Space, con il fondo Aedison (Dea Capital Real Estate Sgr), ad aver informato con il comunicato congiunto di cui sopra nel maggio scorso – ripreso da milanoweekendt.it – sulla data di inizio e il tipo di riqualificazione dell’intera struttura, che dovrebbe riaprire nel 2024.
D’altronde la crisi della fruizione dei film in sala, aggravata dal successo delle piattaforme streaming, agevolato dal lungo periodo di confinamento per la pandemia Covid-19, viene da molto lontano.
Il suo inizio viene fatto risalire agli anni Sessanta del Novecento. Se nel 1962 l’Italia aveva il primato europeo di spettatori con 728 milioni (Germania 420, Inghilterra 380, Francia 290) e mieteva i più ambiti riconoscimenti globali (come non citare il Premio del Festival di Mosca che nel 1964, in pieno socialismo sovietico, premiava Otto e mezzo di Fellini, esemplare antitesi dell’ideologia del regime), l’anno successivo già si osservava l’inizio del lento ma inesorabile calo della vendita dei biglietti: 200 milioni in meno nei successivi 10 anni.
Le cause si rintracciano nel diffondersi della televisione e nella recessione – a seguito del boom economico – che investì l’industria italiana, compresa quella cinematografica.
Le case di produzione dagli anni Settanta, per non morire, si dedicheranno ai cosiddetti B movie, che verranno nelle decadi successive incensati dal regista statunitense Quentin Tarantino, ma che nel frattempo -scrive Francesco Piccolo nel suo La bella confusione – facevano perdere “la capacità di penetrazione internazionale del prestigio cinematografico italiano”. Negli anni Ottanta, fecero il resto l’introduzione del video-registratore, le cassette dei film a noleggio, la diffusione di quelle “pirata”. Quel che ne restava sembra – al momento – essere assorbito dalle piattaforme web che sono anche produttrice.
Rimanendo a Milano, di fatto, gli ultimi 50 anni hanno visto le sale cinematografiche passare dalle 160 alle attuali 28.