La locandiera. Svegliatevi bambine
Si è conclusa la rappresentazione de La Locandiera di Carlo Goldoni, presso il Teatro Rifredi che passa la palla ad un suo, forse, alter ego romano, il Teatro Vascello che ospita la compagnia Proxima Res dal 28 gennaio al 2 febbraio 2020.
Il regista Andrea Chiodi trasforma i tre atti in un unico tempo che accompagna la vicenda ormai nota della locandiera di Firenze che ama essere corteggiata dai suoi istrionici ospiti. Imprenditrice, donna d’affari e malaffari. Carnefice e parimenti vittima del suo essere donna.
Si apre il sipario su uno stilizzato fervore settecentesco. Abiti, parrucche, appendiabiti mobili, un tutto armonico che accompagna lo spettatore verso un altrove, lontano dal presente e dalle sue infinite pieaces teatrali. “Svegliatevi bambine..” appunto suggerisce la canzone che fa da sottofondo. Domina il bianco: un candido tavolo al centro della scena, un palco nel palco. Gli attori come fantasmi si vestono dei loro personaggi e, a turno, divengono narratori, divulgatori di vicende umane.
Cinque bravissimi interpreti per otto figure che via via si trasformeranno, nascondendosi talvolta sotto la tavola o celandosi nell’ombra silente del retro; tutto nell’attesa che la storia dia forma alla loro intimità. Come nei migliori quadri la tela bianca si tingerà presto di un’oscura malinconia, sebbene si rida al crescere delle gag.
Tutto si muove nel disincanto, statiche restano solo le bambole-manichino che rappresentano ognuno un personaggio della pièce con cui gli stessi attori parlano, trasformando i monologhi in dialoghi, Questi puppets sono citati dallo stesso Goldoni che nelle Mémoires: li designa come giocattoli utilizzati nella sua infanzia per dar vita a storie dove scorrono giocosità e rigore critico, un binomio goldoniano
“ Prendi una donna trattala male …” cantava Ferradini relegando la femminilità negli angoli dell’incoscienza. Di contro, la Mirandolina (Mariangela Granelli), appare sulle prime affabile incantatrice. Eppure cinica. Con alchimica saggezza misura parvenze e delusioni nel sottile gioco della seduzione. Perché ammaliare è un arte, pericolosa, diabolica, perversa a tal punto da spogliare della presunta mascolinità le sue vittime. Primo fra tutti il Marchese di Forlipopoli, magistralmente interpretato da Tindaro Granata che, in un crescere di vezzi, gridolini e urla strazianti dimostra la sua transitorietà. È altresì un precario dei tempi moderni, un nobile decaduto atto a mantenere il livore e l’orgoglio del rango sociale che fu.
Altra vittima è un mercante arricchito, il Conte d’Albafiorita, abile a fare del vile denaro vettore di amor profano. Sottile l’interpretazione di Caterina Carpio, non a caso alle prese con lo sfidare Mirandolina.
Ultimo decaduto il Cavaliere di Ripafratta, (Fabio Marchisio), burbero e nemico acceso delle donne. Sprovveduto maschietto cadrà anche lui nella rete della mantide religiosa, biscanziera di passioni e amori.
Ma la conquista, si sa, sazia in apparenza, lasciando in bocca l’amaro della solitudine che neanche un promesso sposo può addolcire. Così Mirandolina accetterà di convogliare a liete nozze con Fabrizio, suo fedele aiutante alla locanda, impersonificato da Caterina Filograno, altro eccentrico gioco delle parti!!!
Infine, un doveroso epilogo. Al Teatro Rifredi si ha sempre il piacere di continuare l’azione rigenerante del teatro, dialogando con il suo direttore artistico, Giancarlo Mordini. Abile locandiere, delizia sempre i suoi ospiti con delicati aneddoti, storie nelle storie. E se la vocazione del teatro è uno sguardo dialettico al presente, è stata una piacevole scoperta sapere che nelle repliche mattutine studenti e studentesse hanno partecipato con vivida attenzione. Una generazione che ha pur voglia di ri-generazione!!!!!