Amazon ci ucciderà tutti (Ma ne siamo proprio sicuri?)

Amazon ci ucciderà tutti? Ovvero: ucciderà davvero il nostro modo di concepire l’approvvigionamento quotidiano di beni e servizi meglio noto come “consumi”? E più in generale: siamo pronti per il nuovo mondo? Cioè: siamo davvero al post-consumismo o consumismo-estremo?

Una sequela piuttosto intrigante di interrogativi, che ne nasconde moltissimi altri: che futuro per i posti di lavoro del commercio? Quale il futuro per la pubblicità? Per i diritti dei consumatori? E poi: ma siamo proprio sicuri che la fine di questa storia sia la fine del commercio tradizionale?

Cominciamo: chi è Amazon?

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Amazon, è vero: ma anche tantissimo altro. Diciamo: tutto quel meccanismo di funzioni e di idee che spezzano la mediazione commerciale in presenza. Per dirla con una parola sola: l’e-commerce. Cioè l’acquisto di beni e servizi senza l’intermediazione di una persona fisica. Cioè: l’abolizione della figura dei commessi.

Usiamo Amazon come una sineddoche, come una parte per il tutto, perché il megacolosso guidato da Jeff Bezos è probabilmente il più significativamente attivo in questo campo.

Il 7 dicembre 2016 ci ha mostrato in anteprima quanto avrebbe fatto tre giorni dopo: aprire un supermercato senza casse, né cassieri, né commessi. Se pensavate che usare gli strumenti di autolettura dei prodotti e pagamento autonomo alla cassa che si stanno velocemente diffondendo da noi fosse tecnologicamente figo, guardate un po’ qua: siamo entrati nell’era dell’autonomazione del consumo. Del vecchio negozio c’è solo lo scaffale: tutto il resto è incredibilmente hi-tech.

Uno spazio strapieno di sensori, telecamere e app pronto a leggere ogni movimento del consumatore che, una volta scaricata l’applicazione sullo smartphone, diventa egli stesso sia consumatore che commesso, facendo rilevare al sistema i propri acquisti insieme ad una miriade di altre informazioni: gusti, tendenze, potere d’acquisto, voglia di innovazione. Una vera e propria miniera d’oro per gli addetti marketing. E per chi voglia risparmiare sul costo del personale.

Torniamo davanti al pc. Perché siamo un’anomalia

Ok, quello è lo stra-futuro (ne siamo sicuri? Continuate a leggere…). Torniamo per un attimo al presente. Ovvero: dove siete adesso: davanti al pc (o – più probabilmente – con in mano uno smartphone). Per farlo, andiamo a leggerci insieme lo studio, pubblicato a dicembre, dall’Osservatorio eCommerce B2c.

Uno studio che è una fotografia, scattata con una delle migliori macchine fotografiche sociali in commercio, parecchio ma parecchio dettagliata sull’e-commerce italiano. Analizzando il mondo del commercio digitale nel nostro Paese dobbiamo partire da un presupposto: siamo un’anomalia.

Fino ad oggi il tasso di penetrazione della domanda/offerta avvenuta in rete è pari quando alla metà, quando addirittura ad un quarto rispetto a quanto avvenga nelle principali economie europee (Francia, Uk, Germania). Non solo acquistiamo meno degli altri, ma acquistiamo anche cose diverse: se negli altri Paesi il paniere dell’online è composto per il 70% da beni e per il restante 30% da servizi, da noi è quasi l’inverso: compriamo nel 56% dei casi servizi, nel 44% beni.

Stiamo vivendo un nuovo boom?

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Ok, quindi: compriamo molto meno degli altri e compriamo cose diverse rispetto agli altri. Tutto vero: ma non per sempre. L’osservatorio che citavamo prima infatti ci racconta cifre da boom: “Il 2016 è stato l’anno più importante per l’eCommerce, durante il quale si sono affermati nuovi modelli di business guidati dal concetto del cross” afferma Roberto Liscia, presidente Netcomm, citato nel rapporto.

“Anno più importante” e “cross” sono parole che stanno bene insieme: perché online il cross, (che è un termine inglese, è vero, ma chiunque abbia visto una partita di pallone sa di cosa stiamo parlando…) è fondamentale.

Il cross infatti è il passare attraverso l’esperienza d’acquisto per massimizzare i guadagni facendo venir voglia al compratore di comprare altro, sia soddisfacendo bisogni pregressi, sia soprattutto facendogliene venire in mente altri. Dicevamo: cifre da boom. Nel 2016 il commercio online in Italia ha scontrinato qualcosa come 17.7 miliardi di euro di fatturato. Con una crescita che è stata dell’8% per i servizi e del 32% per i prodotti. Il comparto che di gran lunga vale più degli altri è il turismo, capace di movimentare da solo online quasi 6 miliardi di euro.

Tra i beni, invece, il primo comparto è l’abbigliamento (quasi 3 miliardi) seguito da “informatica ed elettronica” (2 miliardi e mezzo), “food” (853 milioni), “arredamento” ed “editoria” (entrambi poco sopra i 600 milioni). Cifre che farebbero ingolosire chiunque, e che hanno fatto gola soprattutto a tutte le insegne famose che vendono questi prodotti e questi servizi in Italia. Ci avete fatto caso? La stragrande maggioranza delle pubblicità online parla proprio di quei servizi lì…

Siamo davvero alla fine di un’epoca?

e-commerce key on a white keyboard closeup. E-commerce concept image.

Il tasso di crescita del commercio online parla di un mondo che sta cambiando, e lo sta facendo vorticosamente. Se ne stanno accorgendo i consumatori e gli addetti ai lavori di moltissimi dei comparti investiti dalle vendite online, soprattutto quelli che vivono e si interessano di settori a più alto valore tecnologico, vuoi per la presenza in Italia di una vera, sfacciata, massacrante concorrenza; vuoi perché i loro prodotti hanno un valore sociale in quanto hi-tech, gli operatori e i clienti di “informatica ed elettronica di consumo” vivono il mondo che sta cambiando più in fretta.

È frequente – anche da noi, anche nel nostro negozio di riferimento per l’acquisto dell’elettronica di consumo – trovare un sacco di cross: dagli schermi che, presenti nei negozi reali, permettono di fare ordini online per poi ritirare la merce in negozio; a siti di e-commerce – al contrario – che, tramite la logica del prenota e ritira, servono come agenda degli appuntamenti di acquisto nei negozi reali.

Insomma: la sfida delle vendite online si sta aprendo ad una velocità folle per un settore già stremato dall’abbattimento dei margini e dalla concentrazione in poche mani di molto del potere di intermediazione con i produttori. Velocità folle che, qui più evidentemente che altrove, fa porre la domanda principale: “Siamo davvero alla fine di un’epoca?“. Cioè: il mondo del commercio, quel qualcosa che invade, pervade e sottende praticamente tutto quello che facciamo, sta davvero cambiando pelle, dimensioni e – soprattutto – ruolo sociale? Per dirla più direttamente: la nostra esperienza d’acquisto sta davvero per diventare un’esperienza solitaria, una intermediazione/decisione tra noi, un sito di e-commerce e il sito home banking della nostra banca?

Forse sì. O forse, come abbiamo scritto più volte nelle pagine del nostro giornale, l’innovazione socio-economica non risiede solo nella tecnologia.

“Sui social network ho riscoperto il gusto di dialogare con i clienti”

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Per concludere questo nostro tentativo di racconto di una storia epocale (al quale – già lo sappiamo – ne seguiranno molti altri, perché l’argomento ci sta parecchio a cuore), vogliamo raccontarvene una, di storia, molto meno globale e molto più personale. E’ la storia di Edda Formato, raccontata da Maria Elena Vincenzi su Repubblica.it  il 28 dicembre 2016.

Edda è una ragazza campana di 36 anni che si è trasferita da poco a Rimini dove ha impiantato un negozio piuttosto originale. Vende, infatti, abbigliamento coordinato per genitori e bambini. Ovvero: vende l’opportunità per le famiglie di vestirsi in maniera coordinata con prodotti sartoriali di ottima qualità.

Un prodotto carino, simpatico, ma difficilmente commercializzabile solo con un negozio fisico messo su da una ragazza alle prese con l’apertura di un mutuo in banca e con la crisi. Allora, ovviamente, ecco l’idea: aprire un commercio online. La cosa che rende Edda molto interessante nella nostra argomentazione è la sua scelta.

Non ha aperto un sito di e-commerce (nel quale il cliente entra da solo, guarda il catalogo, ordina, paga con la carta di credito e aspetta che gli arrivi il pacco – come Amazon, per intenderci!) ma ha posizionato il fulcro della sua esperienza online sui social network: “Mi piace il fatto che con i social si mantiene il contatto con i clienti. Posso comunque assistere chi compra da me” ha raccontato Edda nell’intervista. “La classica vendita sul sito è molto più impersonale: basta mettere la carta di credito e far partire la spedizione. Così invece – afferma la commerciante – mi scrivono quando ricevono il pacco, mi mandano la foto. È quello che mi rende felice del lavoro che faccio“.

Un lavoro che ha allora ancora un senso se una ragazza che ha fatto successo sui social (con quel prodotto carino ma di nicchia Edda ci campa, con diversi ordini al giorno procacciati tramite internet) ci dice di prediligere uno strumento che permetta ancora l’incontro con il cliente, di poterlo “assistere” nell’acquisto.

Concludendo: siamo proprio sicuri?

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È vero: questa, come sineddoche, come utilizzo di una parte per il tutto, è ancora più estrema di quella che abbiamo usato all’inizio usando le parole “Amazon” e “e-commerce” come se fossero dei sinonimi. Ma la utilizziamo lo stesso.

Perché racconta un mondo un po’ meno bisognoso di mediazioni (pur essendo una storia nata online!) da una parte, ma che necessità comunque di una consulenza. Un mondo nel quale il ruolo sociale dell’assistenza, della guida, del supporto alla vendita non è così senza valore. La storia di Edda, ne è un esempio.

Pensiamo inoltre a tutte le attività imprenditoriali in cui si punta al “co”, vale a dire a lavorare in strutture comuni ed integrative nei diversi ruoli professionali.  Nuovi scenari che richiedono e richiederanno figure professionali dai risvolti tecnici e socio-culturali modificati rispetto al passato. Il futuro non è poi così scontato come può sembrare. Comunque vada, ve lo racconteremo.

 

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Una risposta

  1. Paola ha detto:

    Molto interessante !!! Certo per chi come me è nato intorno alla metà del 1900 pensare di andare oltre all’ acquisto di biglietti aerei su Internet, o di prodotti a chilometro 0, è un po’ complicato, ma mio marito (coetaneo) è un accanito cliente di Amazon per vario genere di prodotti hi-tech, chissà dove vi porterà l’ e-commerce figlioli ?

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